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Prestito ai neonati? No grazie, abbiamo bisogno d’altro

Prestito ai neonati? No grazie, abbiamo bisogno d’altro

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L’ Associazione famiglie numerose l’ha definito «uno scherzo di Halloween, una zucca vuota». Gli esperti sono piuttosto scettici e lo stesso governo – che pure la proposta l’ha lanciata – sembra già intenzionato a ritararla e comunque ha bloccato tutto in attesa di verificare meglio le disponibilità economiche. Il prestito bebè – nuova versione del vecchio bonus: 5mila euro per ogni nuovo nato in una famiglia numerosa da restituire in 5 anni a un tasso del 4-5% – non ha certo suscitato entusiasmi nelle famiglie , già gravate dal peso economico di un fisco iniquo e ora ancora più preoccupate per i riflessi della crisi economica.
«Anzi, diciamo che siamo rimasti basiti, non abbiamo compreso la ratio di una simile operazione – commenta Alessandro Soprana, responsabile dei rapporti politici dell’Associazione nazionale famiglie numerose –. Abbiamo bisogno di tutto, tranne che di indebitarci ancora: perché allora offrirci un prestito a tasso ‘presunto agevolato’? Per i prestiti ci sono le banche e quando ci andiamo il funzionario ci sorride, si complimenta, ci dà una pacca sulla spalla e poi dice: ‘ma con 4 o 5 figli non ce la fate a restituire…
lasciamo stare’. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una politica strutturale che attendiamo da troppo tempo ormai. Di questa non si vede neppure l’ombra purtroppo, mentre la situazione economica generale e delle nostre famiglie si fa sempre più difficile».
Da parte sua il sottosegretario con delega alla Famiglia Carlo Giovanardi ha ammesso che «per ora adottare misure strutturali è difficile, si possono attuare quando ci sono i fondi per farle». Ribadendo però l’intenzione di incrementare le politiche di supporto alla famiglia: «asili nido, tempi di conciliazione, attenzione ai nuclei numerosi, e più in generale un’equità fiscale attraverso il quoziente familiare, che intendiamo realizzare nel corso della legislatura, fermi restando i rischi legati alla crisi».
Quanto al prestito bebè lo definisce «un’opportunità in più» respingendo le «critiche feroci» arrivate. Salva le «buone intenzioni del sottosegretario» Paola Soave, vicepresidente del Forum delle associazioni familiari. «Purtroppo non ha fondi da spendere, anzi subisce anche lui dei tagli di bilancio. Ha trovato 30 milioni e ha fatto una proposta di utilizzo – argomenta la Soave –. Il fatto è che le famiglie italiane sono fortemente creditrici verso lo Stato e non hanno intenzione di dimenticarsene e trasformarsi in debitrici. Con un prestito che certo non può essere decisivo nella scelta di avere o meno un figlio, non aiuta la natalità e come sostegno appare piuttosto inadeguato rispetto ai bisogni».
L’iniziativa, in effetti, è difficilmente inquadrabile. Si tratta di un’azione anti-povertà? O un intervento per favorire la natalità? Certo è non si può definirla una scelta di politica familiare, limitata com’è ai soli nuclei numerosi nei quali arrivi un (ennesimo) neonato. Già il vecchio bonus – l’assegna da 1.000 euro per ogni nuovo nato introdotto in maniera sperimentale in due differenti occasioni dai precedenti governi di centrodestra – non aveva sortito grandi effetti né sul piano dell’incremento della natalità per il suo carattere temporaneo, né su quello della lotta alla povertà per la sua scarsa consistenza. Tuttavia, si trattava quantomeno di una misura generalizzata e di una somma che le famiglie non dovevano poi restituire.
« Credo che, se anche verrà introdotto, saranno pochissime le famiglie a richiederlo. E sono molto dubbioso sulla sua utilità», commenta a proposito Federico Perali, docente di Politica economica all’Università di Verona. «La prima perplessità nasce dal fatto che iniziative singole e temporanee hanno scarsissimo effetto se non inquadrate in un pacchetto più ampio, articolato e strutturale. Il secondo motivo di scetticismo nasce dall’osservazione di iniziative per certi analoghe: quella dei prestiti d’onore agli studenti universitari. Perché in Italia funzionano meno che negli Usa? Perché da noi lo stipendio di un laureato è superiore appena del 25% a quello di un diplomato, negli Stati Uniti si arriva al 90% – spiega il professore –. Voglio dire che il gioco non vale la candela e questo prestito non sarebbe tale da ‘cambiare’ la prospettiva di vita delle famiglie ». Meglio investire in misure per agevolare l’occupazione femminile (e quindi far entrare un secondo stipendio laddove manca) e in generale la conciliazione fra vita familiare e lavorativa.
Il professor Perali, però, sottolinea la «forte domanda di equità fiscale orizzontale che sale dalle famiglie », cioè la necessità che i nuclei con più componenti paghino minori imposte rispetto alle famiglie che – a parità di reddito – sono formate da meno persone. La presenza di un bambino con meno di sei anni comporta un aumento dei costi del 19,4% rispetto al costo di una coppia senza figli. Se si considera una spesa media mensile di 1.740 euro, il costo del figlio in termini monetari, dato dalla differenza tra il costo della vita di una coppia con un bambino e quello di una coppia senza figli, corrisponde a 4.050 euro l’anno.
« Si tratta di un costo neppure minimamente riconosciuto dai livelli attuali di detrazione fiscale (900 euro l’anno a scalare entro i 95.000 euro di reddito lordo). Sarebbe assolutamente necessario, dunque, alzare i livelli di detrazione o deduzione per portarli almeno a coprire il puro costo di mantenimento di un figlio – spiega ancora Perali –.
Meglio ancora sarebbe studiare a fondo e introdurre con le necessarie accortezze il sistema del quoziente familiare che di fatto incorpora detrazioni/deduzioni adeguate e sempre ‘automaticamente’ aggiornate.
Soprattutto, il quoziente assume la famiglia come soggetto di riferimento». Nell’immediato, stante la crisi, andrebbero poi mirati interventi a favore delle fasce più disagiate o a rischio di cadere in povertà. «Le informazione per farlo ci sono, è sufficiente fare riferimento alle situazioni Isee e i costi penso sarebbero sopportabili».
Francesco Riccardi

Avvenire