Era un giorno come tanti altri… osservavo una triglia nel banco pesce del supermercato vicino casa. Sapevo che non sarebbe finita in una nostra padella, troppo caro il pesce fresco per una famiglia numerosa. Stavo lì, assorto nella compassione che provavo per quegli occhi spenti e lattescenti, che mi fissavano, immobili.
Un colpo ben assestato al mio carrello mi riportò bruscamente alla realtà: mi girai e guardai in volto il mio investitore. Occhi vispi, di una luce intensa, che contrastavano in maniera lampante con quelli della triglia. Era Enrico.
Mi disse, più o meno: “Non mi conosci ma so che anche tu hai cinque figli, come me. Perciò quel pesce non lo comprerai mai; insieme, invece, possiamo fare tante cose”. Lì per lì, confesso, non diedi molto peso alle sue parole. Anzi, lo liquidai con un superficiale cenno di saluto e lo illusi, almeno così pensavo, con un “arrivederci ad altra occasione” per approfondire l’idea.
Ma non avevo fatto i conti con la costanza, la pervicacia, la tenacia che contraddistingue un papà di famiglia numerosa: tre aggettivi rafforzativi dello stesso concetto.
Perché, in una famiglia numerosa, c’è sempre da moltiplicare: pani o pesci, nomi o aggettivi. E sì che avrei dovuto saperlo, dato che anch’io sono papà di famiglia numerosa.
E infatti, solo poche ore dopo, Enrico suonava già alla porta della nostra casa.
Entrato, si siede e ribadisce il concetto: soli non contiamo nulla, insieme possiamo trovare accordi commerciali, fare convenzioni, pretendere e ottenere ascolto dalle Istituzioni, inviare segnali positivi alla società.
E’ un fiume in piena, Enrico, fin troppo normale quando alla fine del mese le bollette da pagare, gelide e sicure nella loro onnipotenza, ti guardano con aria arrogante sul grande tavolo di casa dove le hai posate. Austere aspettano in silenzio, compassate: sanno che presto riceveranno il tributo della quietanza e non importa nulla se, questo tributo, arriverà solo a costo di grandi sacrifici e rinunce.
Perché se non le quietanzi, i tuoi bimbi resteranno al freddo e al buio dal giorno dopo. Loro, le bollette, impietose, questo lo sanno: parrebbero umili pezzi di carta e invece hanno potere di vita o di morte, di serenità o tristezza, di gioia o angoscia sui nostri immediati destini familiari.
Come la spia della riserva nel serbatoio dell’auto, una grande auto, pagata con smisurate rate, perché le grandi auto non sono mai a prezzi di mercato o di offerta speciale. Anche quella spia, arrogante, ogni volta che si accende, sa che provocherà un sussulto al tuo cuore; sa che dirai: “Oh, no, di nuovo!”. Gode, la spia della riserva, ogni volta che te lo sente dire: lei sa che non la potrai lasciare accesa ad occhieggiarti per molto tempo. E, quando davanti alla pompa del carburante, gorgogliando orgogliosamente, entreranno litri di liquido nauseabondo, un pezzo consistente del tuo sudato salario ingrasserà le accise superlative che gravano sul liquido stesso.
Perché la guerra dell’Abissinia e il terremoto del Belice, presentano ancora il conto, dicono. E la spia, felice di averti umiliato ancora una volta, tornerà silente per aspettarti al prossimo varco: stolto, non puoi fare a meno di me, hai troppi figli da portare a scuola, all’oratorio, alle attività sportive… tornerò presto a trovarti e ti punirò per esserti aperto alla vita, oh, eccome se ti punirò! Tutte le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici, scrisse Tolstoi. L’Associazione ha idee e si pone domande semplici, tanto semplici che qualunque amministratore pubblico dovrebbe essersele poste prima di noi da molto, molto tempo:
perché, per esempio, noi che siamo magari in sette con un solo contatore, dobbiamo pagare più di sette single o più di tre coppie e un single, che di contatori ne hanno rispettivamente sette e quattro?
E i sette single lavorano tutti, mentre invece i nostri bambini sono piccoli, non lavorano e, perdiana!, non devono lavorare.
E perché devo pagare l’ICI come se vivessi in una reggia quando basta una divisione, semplice operazione matematica che si impara sui banchi delle elementari, per comprendere che i metri quadri a disposizione di ogni singolo componente della mia famiglia sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli disponibili individualmente per le coppie di gay o dei single o dei pensionati?
E perché le coppie di fatto in Italia hanno più diritti delle coppie di diritto? Nella mia famiglia infatti si fa il cumulo dei redditi solo perché ci siamo sposati, mentre due conviventi o finti separati il cumulo non lo fanno e quindi risultano magari incapienti. I diritti o sono di tutti o sono privilegi, giusto?
E perché per iscrivere i figli a scuola, per comprare i libri, per mandarli alla mensa, perché per la tariffa sullo sporco o per il biglietto dell’autobus ogni singolo mio figlio vale “uno” mentre quando compilo l’ISEE per avere un aiuto dallo Stato vale solo 0,35?
E perché l’acqua al metro cubo per uso abitazione ha una tariffa sociale più alta della tariffa zootecnica?
E perché tale tariffa sociale cessa dopo i primi 108 metri cubi, uno sciacquone del water a testa per pochi giorni, mentre la tariffa agevolata zootecnica non cessa mai? perché dunque le vacche possono bere a volontà e pure farsi la doccia, mentre ai miei bimbi nemmeno l’acqua per lavarsi i denti riceve venia? e’ meglio allevare che figli: ma razza di società è mai questa? E, soprattutto, perché quando diciamo queste cose a chi di dovere, costui non capisce che ne va del futuro del Paese? Perché gli occhi che ci guardano, annoiati, sono tanto simili a quelli della triglia nel banco pesce del supermercato vicino casa? Quando va bene.
Perché quando va male, ci sentiamo dire che siamo degli incoscienti, che nessuno ci ha obbligato a fare tanti figli, che i nostri figli sono un peso per la società, che siamo già troppi in Italia. Fino alla volgarità: che le nostre mogli sono sempre in calore.
La ritenete una frase troppo forte per stare in una relazione di fine mandato?
Per chi legge e non ha famiglia numerosa forse sì, ma per noi papà e mamme – che la ascoltiamo umiliati e impotenti ogni giorno, che abbiamo imparato a trattenere le lacrime di fronte alle offese – spiacente, no: ha solo la crudezza del doverci fare i conti ogni giorno, con questa frase.
Perché volgare, da vulgaris, significa semplicemente: diffuso. Di questo e altro parlammo quella sera. Poi Enrico tornò alla sua casa, anch’essa situata come la nostra nel Quartiere La Famiglia di Brescia. Un nome, un destino.
Nessuno, né Egle e Mario né Angela e Enrico, sapeva che, quel giorno, avremmo iniziato una nuova, splendida avventura. Dolce e faticosa insieme, impegnativa e semplice insieme, come tutte le avventure.
Fu facile per me, consigliere comunale, avere accesso ai dati delle famiglie numerose di Brescia: il mio Comune vanta uno dei più efficienti Uffici Statistica del Paese. Pochi minuti dopo la richiesta, sapevo già vita, morte e miracoli delle 468 famiglie numerose residenti in Comune.
E, efficienza per efficienza, avevo i loro nomi e indirizzi su etichetta. Fu ancora più facile trovare il primo di quella serie notevole di uomini e donne che da allora ci seguono e incoraggiano con affetto.
Era don Alfredo, il prete del nostro sposalizio. Don Alfredo ci offrì gratuitamente il teatro parrocchiale, la piccola Marialetizia a sette anni iniziò la sua opera, che continua ancora oggi, di provetta segretaria dell’Associazione, piegando, imbustando, etichettando e francobollando le lettere che partirono con dentro l’invito ufficiale al “Primo Forum delle famiglie numerose bresciane”.
Nome pomposo, prometteva bene. Infatti, quella sera, nella Parrocchia San Filippo Neri del Villaggio Sereno, c’erano un centinaio di famiglie pronte a raccogliere la sfida. Alcune tra esse vollero fare di più: trovarsi per sei mesi, ogni quindici giorni, a casa nostra per elaborare una Carta dei Valori e uno Statuto di quella che sarebbe stata la nostra Associazione. Erano Franco e Gabriella, Giorgio e Donatella, Stefano e Germana, Gianni e Cristina, Enrico e Angela, Mario e Egle. Dodici, come gli apostoli.
E nessuno che ha tradito. Costanza, speranza, fede e carità: così è iniziata una bella storia. Il resto non lo racconto, lo sapete anche voi perché, questa storia, l’avete costruita.
Dal giorno in cui andai all’Ufficio del Registro per la prima di un’infinita battaglia contro la burocrazia e l’indifferenza, l’Associazione ha iniziato ad esistere davvero solo grazie a voi. A voi, Alessandro e Mariuccia da Valdagno, primi tra i non bresciani ad iscriversi, a voi Pierluigi e Francesca, presenti al forum di Brescia e provenienti dall’allora lontana Modena, oggi così vicina rispetto ad Alghero, a Volla, a Catania, a Martina Franca. A te fratello e sorella, collega genitore, che hai creduto in noi senza nemmeno conoscerci ed hai accettato di associarti o diventare coordinatore nel tuo paese, nella tua città, nella tua provincia, nella tua regione di un’Associazione dal nome nuovo eppure a te così familiare e dolce: famiglie numerose. A te voglio dire il nostro grazie, per aver iniziato a riscrivere la storia della famiglia numerosa in questo Paese.
E’ proprio vero, coma canta il poeta: “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso… siamo noi, bella ciao, che partiamo… siamo noi questo piatto di grano…”. A te che oggi con noi sei in prima fila, a te che sai bene cosa significa: “non si può più indietreggiare, solo andare avanti”, perché l’hai detto tante volte, guardando l’azzurro del test di gravidanza, e non hai mai pensato, nemmeno per un momento, che una nuova vita sarebbe stata un peso per la tua famiglia.
A te dico un grazie, e una certezza: non metteremo in freezer i nostri sogni, perché sappiamo che, scongelandoli, li troveremmo tutti morti. A te voglio dire grazie anche a nome della Chiesa perché, anche se magari non credi, hai fatto tue “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”.
Hai fatto tuo cioè l’invito che apre uno dei più splendidi documenti mai composti, la Gaudium et Spes, guida sicura per l’impegno dei laici d’oggi che ricercano solidarietà e convivenza, pace e amore, verità e giustizia, equità e condivisione.
A te, che ricevi da sempre il sorriso misericordioso di Dio – come noto Padre di famiglia molto, molto numerosa – oggi vada anche il nostro sorriso di gratitudine per aver accettato di condividere questa nuova avventura. Siamo di religioni diverse? Tanto meglio, Dio è poliglotta e ci manda comunque buoni traduttori, gente docile e umile, ci capirà e ci capiremo di sicuro.
Qualcuno si è chiesto come sia possibile che un’Associazione appena nata e scalcinata come questa, senza fondi, senza santi in paradiso (tutto minuscolo, perché Santi ne abbiamo, eccome, un’intera schiera in Paradiso), con “dirigenti” che ritagliano – volontariamente – il tempo a favore dell’Associazione dal poco che resta dopo il lavoro, la famiglia, le attività del quotidiano; che prendono giorni di ferie e permessi non retribuiti per scorazzare nei luoghi del potere politico ed economico, sociale ed ecclesiale a perorare una giusta causa; che viaggiano in seconda classe per raggiungere Roma, camminano molto a piedi e poco in taxi e mangiando solo panini, quando va bene, che pagano di tasca propria le chilometriche bollette telefoniche conseguenza di sollecitazioni che ricordano, nemmeno troppo vagamente, la parabola della vedova e del giudice iniquo; che scrivono e parlano magari in un italiano poco forbito, che sanno di tutto un po’ e di specifico nulla, che proprio per questo si sono messi a studiare quanto e più dei loro figli per capire qualcosa del linguaggio arzigogolato degli azzeccagarbugli, qualcuno – dicevo – si è chiesto come un’armata Brancaleone come questa sia riuscita ad ottenere in poco tempo risultati così apprezzabili.
A questi qualcuno non rispondiamo a parole. Li invitiamo ad uscire da questa stanza, oggi, e guardare fuori: lì c’è la risposta. Nel vociare gioioso dei nostri bambini, nelle loro grida, nei loro giochi, nei loro pasticci e nei loro capolavori, nei loro sogni, nei loro sguardi, nei loro pianti e nei loro sorrisi, nelle loro fatiche e nei loro traguardi raggiunti e superati, nei loro baci e abbracci a mamma e papà, nel loro imparare fin dalla culla a condividere e vivere la solidarietà e la gratuità coi fratelli e le sorelle, a stringersi, ad aggiungere un posto a tavola, a volersi bene: lì, tra loro e con loro, troverete la risposta alla vostra domanda.
Guardateli, guardateli adesso: capirete. Un proverbio spagnolo dice: “Parlare di tori non è la stessa cosa che essere nell’arena”. Preparatevi, italiani, brava gente: preparatevi perché non ci fermerete più. Non siamo gente che “dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”, come cantava il poeta genovese. Noi siamo nell’arena. Giochiamo a mani nude e a carte scoperte, nessuna loggia massonica o nuova setta esoterica; ve lo diciamo con chiarezza quel che siamo e desideriamo. Abbiamo solo una grande passione: cambiare, da subito, la cultura di morte e di fastidio nei confronti della famiglia che attanaglia questo Paese, per trasformarla in cultura di “sì alla vita, sì al futuro”. E la cambieremo. Nel blog del sito Radicali.it si parla di noi, incoraggiando i lettori a serrare i ranghi: “ecco, abbiamo un nuovo nemico clericale da affrontare”. Contateci. Signori dell’individualismo e dell’egoismo, Signori dell’edonismo e del liberismo, contateci. Lor Signori hanno già visto il nostro comunicato sociale? No? Lo guardino: in trenta secondi c’è tutto un programma.
Un colpo ben assestato al mio carrello mi riportò bruscamente alla realtà: mi girai e guardai in volto il mio investitore. Occhi vispi, di una luce intensa, che contrastavano in maniera lampante con quelli della triglia. Era Enrico.
Mi disse, più o meno: “Non mi conosci ma so che anche tu hai cinque figli, come me. Perciò quel pesce non lo comprerai mai; insieme, invece, possiamo fare tante cose”. Lì per lì, confesso, non diedi molto peso alle sue parole. Anzi, lo liquidai con un superficiale cenno di saluto e lo illusi, almeno così pensavo, con un “arrivederci ad altra occasione” per approfondire l’idea.
Ma non avevo fatto i conti con la costanza, la pervicacia, la tenacia che contraddistingue un papà di famiglia numerosa: tre aggettivi rafforzativi dello stesso concetto.
Perché, in una famiglia numerosa, c’è sempre da moltiplicare: pani o pesci, nomi o aggettivi. E sì che avrei dovuto saperlo, dato che anch’io sono papà di famiglia numerosa.
E infatti, solo poche ore dopo, Enrico suonava già alla porta della nostra casa.
Entrato, si siede e ribadisce il concetto: soli non contiamo nulla, insieme possiamo trovare accordi commerciali, fare convenzioni, pretendere e ottenere ascolto dalle Istituzioni, inviare segnali positivi alla società.
E’ un fiume in piena, Enrico, fin troppo normale quando alla fine del mese le bollette da pagare, gelide e sicure nella loro onnipotenza, ti guardano con aria arrogante sul grande tavolo di casa dove le hai posate. Austere aspettano in silenzio, compassate: sanno che presto riceveranno il tributo della quietanza e non importa nulla se, questo tributo, arriverà solo a costo di grandi sacrifici e rinunce.
Perché se non le quietanzi, i tuoi bimbi resteranno al freddo e al buio dal giorno dopo. Loro, le bollette, impietose, questo lo sanno: parrebbero umili pezzi di carta e invece hanno potere di vita o di morte, di serenità o tristezza, di gioia o angoscia sui nostri immediati destini familiari.
Come la spia della riserva nel serbatoio dell’auto, una grande auto, pagata con smisurate rate, perché le grandi auto non sono mai a prezzi di mercato o di offerta speciale. Anche quella spia, arrogante, ogni volta che si accende, sa che provocherà un sussulto al tuo cuore; sa che dirai: “Oh, no, di nuovo!”. Gode, la spia della riserva, ogni volta che te lo sente dire: lei sa che non la potrai lasciare accesa ad occhieggiarti per molto tempo. E, quando davanti alla pompa del carburante, gorgogliando orgogliosamente, entreranno litri di liquido nauseabondo, un pezzo consistente del tuo sudato salario ingrasserà le accise superlative che gravano sul liquido stesso.
Perché la guerra dell’Abissinia e il terremoto del Belice, presentano ancora il conto, dicono. E la spia, felice di averti umiliato ancora una volta, tornerà silente per aspettarti al prossimo varco: stolto, non puoi fare a meno di me, hai troppi figli da portare a scuola, all’oratorio, alle attività sportive… tornerò presto a trovarti e ti punirò per esserti aperto alla vita, oh, eccome se ti punirò! Tutte le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici, scrisse Tolstoi. L’Associazione ha idee e si pone domande semplici, tanto semplici che qualunque amministratore pubblico dovrebbe essersele poste prima di noi da molto, molto tempo:
perché, per esempio, noi che siamo magari in sette con un solo contatore, dobbiamo pagare più di sette single o più di tre coppie e un single, che di contatori ne hanno rispettivamente sette e quattro?
E i sette single lavorano tutti, mentre invece i nostri bambini sono piccoli, non lavorano e, perdiana!, non devono lavorare.
E perché devo pagare l’ICI come se vivessi in una reggia quando basta una divisione, semplice operazione matematica che si impara sui banchi delle elementari, per comprendere che i metri quadri a disposizione di ogni singolo componente della mia famiglia sono di gran lunga inferiori rispetto a quelli disponibili individualmente per le coppie di gay o dei single o dei pensionati?
E perché le coppie di fatto in Italia hanno più diritti delle coppie di diritto? Nella mia famiglia infatti si fa il cumulo dei redditi solo perché ci siamo sposati, mentre due conviventi o finti separati il cumulo non lo fanno e quindi risultano magari incapienti. I diritti o sono di tutti o sono privilegi, giusto?
E perché per iscrivere i figli a scuola, per comprare i libri, per mandarli alla mensa, perché per la tariffa sullo sporco o per il biglietto dell’autobus ogni singolo mio figlio vale “uno” mentre quando compilo l’ISEE per avere un aiuto dallo Stato vale solo 0,35?
E perché l’acqua al metro cubo per uso abitazione ha una tariffa sociale più alta della tariffa zootecnica?
E perché tale tariffa sociale cessa dopo i primi 108 metri cubi, uno sciacquone del water a testa per pochi giorni, mentre la tariffa agevolata zootecnica non cessa mai? perché dunque le vacche possono bere a volontà e pure farsi la doccia, mentre ai miei bimbi nemmeno l’acqua per lavarsi i denti riceve venia? e’ meglio allevare che figli: ma razza di società è mai questa? E, soprattutto, perché quando diciamo queste cose a chi di dovere, costui non capisce che ne va del futuro del Paese? Perché gli occhi che ci guardano, annoiati, sono tanto simili a quelli della triglia nel banco pesce del supermercato vicino casa? Quando va bene.
Perché quando va male, ci sentiamo dire che siamo degli incoscienti, che nessuno ci ha obbligato a fare tanti figli, che i nostri figli sono un peso per la società, che siamo già troppi in Italia. Fino alla volgarità: che le nostre mogli sono sempre in calore.
La ritenete una frase troppo forte per stare in una relazione di fine mandato?
Per chi legge e non ha famiglia numerosa forse sì, ma per noi papà e mamme – che la ascoltiamo umiliati e impotenti ogni giorno, che abbiamo imparato a trattenere le lacrime di fronte alle offese – spiacente, no: ha solo la crudezza del doverci fare i conti ogni giorno, con questa frase.
Perché volgare, da vulgaris, significa semplicemente: diffuso. Di questo e altro parlammo quella sera. Poi Enrico tornò alla sua casa, anch’essa situata come la nostra nel Quartiere La Famiglia di Brescia. Un nome, un destino.
Nessuno, né Egle e Mario né Angela e Enrico, sapeva che, quel giorno, avremmo iniziato una nuova, splendida avventura. Dolce e faticosa insieme, impegnativa e semplice insieme, come tutte le avventure.
Fu facile per me, consigliere comunale, avere accesso ai dati delle famiglie numerose di Brescia: il mio Comune vanta uno dei più efficienti Uffici Statistica del Paese. Pochi minuti dopo la richiesta, sapevo già vita, morte e miracoli delle 468 famiglie numerose residenti in Comune.
E, efficienza per efficienza, avevo i loro nomi e indirizzi su etichetta. Fu ancora più facile trovare il primo di quella serie notevole di uomini e donne che da allora ci seguono e incoraggiano con affetto.
Era don Alfredo, il prete del nostro sposalizio. Don Alfredo ci offrì gratuitamente il teatro parrocchiale, la piccola Marialetizia a sette anni iniziò la sua opera, che continua ancora oggi, di provetta segretaria dell’Associazione, piegando, imbustando, etichettando e francobollando le lettere che partirono con dentro l’invito ufficiale al “Primo Forum delle famiglie numerose bresciane”.
Nome pomposo, prometteva bene. Infatti, quella sera, nella Parrocchia San Filippo Neri del Villaggio Sereno, c’erano un centinaio di famiglie pronte a raccogliere la sfida. Alcune tra esse vollero fare di più: trovarsi per sei mesi, ogni quindici giorni, a casa nostra per elaborare una Carta dei Valori e uno Statuto di quella che sarebbe stata la nostra Associazione. Erano Franco e Gabriella, Giorgio e Donatella, Stefano e Germana, Gianni e Cristina, Enrico e Angela, Mario e Egle. Dodici, come gli apostoli.
E nessuno che ha tradito. Costanza, speranza, fede e carità: così è iniziata una bella storia. Il resto non lo racconto, lo sapete anche voi perché, questa storia, l’avete costruita.
Dal giorno in cui andai all’Ufficio del Registro per la prima di un’infinita battaglia contro la burocrazia e l’indifferenza, l’Associazione ha iniziato ad esistere davvero solo grazie a voi. A voi, Alessandro e Mariuccia da Valdagno, primi tra i non bresciani ad iscriversi, a voi Pierluigi e Francesca, presenti al forum di Brescia e provenienti dall’allora lontana Modena, oggi così vicina rispetto ad Alghero, a Volla, a Catania, a Martina Franca. A te fratello e sorella, collega genitore, che hai creduto in noi senza nemmeno conoscerci ed hai accettato di associarti o diventare coordinatore nel tuo paese, nella tua città, nella tua provincia, nella tua regione di un’Associazione dal nome nuovo eppure a te così familiare e dolce: famiglie numerose. A te voglio dire il nostro grazie, per aver iniziato a riscrivere la storia della famiglia numerosa in questo Paese.
E’ proprio vero, coma canta il poeta: “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso… siamo noi, bella ciao, che partiamo… siamo noi questo piatto di grano…”. A te che oggi con noi sei in prima fila, a te che sai bene cosa significa: “non si può più indietreggiare, solo andare avanti”, perché l’hai detto tante volte, guardando l’azzurro del test di gravidanza, e non hai mai pensato, nemmeno per un momento, che una nuova vita sarebbe stata un peso per la tua famiglia.
A te dico un grazie, e una certezza: non metteremo in freezer i nostri sogni, perché sappiamo che, scongelandoli, li troveremmo tutti morti. A te voglio dire grazie anche a nome della Chiesa perché, anche se magari non credi, hai fatto tue “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”.
Hai fatto tuo cioè l’invito che apre uno dei più splendidi documenti mai composti, la Gaudium et Spes, guida sicura per l’impegno dei laici d’oggi che ricercano solidarietà e convivenza, pace e amore, verità e giustizia, equità e condivisione.
A te, che ricevi da sempre il sorriso misericordioso di Dio – come noto Padre di famiglia molto, molto numerosa – oggi vada anche il nostro sorriso di gratitudine per aver accettato di condividere questa nuova avventura. Siamo di religioni diverse? Tanto meglio, Dio è poliglotta e ci manda comunque buoni traduttori, gente docile e umile, ci capirà e ci capiremo di sicuro.
Qualcuno si è chiesto come sia possibile che un’Associazione appena nata e scalcinata come questa, senza fondi, senza santi in paradiso (tutto minuscolo, perché Santi ne abbiamo, eccome, un’intera schiera in Paradiso), con “dirigenti” che ritagliano – volontariamente – il tempo a favore dell’Associazione dal poco che resta dopo il lavoro, la famiglia, le attività del quotidiano; che prendono giorni di ferie e permessi non retribuiti per scorazzare nei luoghi del potere politico ed economico, sociale ed ecclesiale a perorare una giusta causa; che viaggiano in seconda classe per raggiungere Roma, camminano molto a piedi e poco in taxi e mangiando solo panini, quando va bene, che pagano di tasca propria le chilometriche bollette telefoniche conseguenza di sollecitazioni che ricordano, nemmeno troppo vagamente, la parabola della vedova e del giudice iniquo; che scrivono e parlano magari in un italiano poco forbito, che sanno di tutto un po’ e di specifico nulla, che proprio per questo si sono messi a studiare quanto e più dei loro figli per capire qualcosa del linguaggio arzigogolato degli azzeccagarbugli, qualcuno – dicevo – si è chiesto come un’armata Brancaleone come questa sia riuscita ad ottenere in poco tempo risultati così apprezzabili.
A questi qualcuno non rispondiamo a parole. Li invitiamo ad uscire da questa stanza, oggi, e guardare fuori: lì c’è la risposta. Nel vociare gioioso dei nostri bambini, nelle loro grida, nei loro giochi, nei loro pasticci e nei loro capolavori, nei loro sogni, nei loro sguardi, nei loro pianti e nei loro sorrisi, nelle loro fatiche e nei loro traguardi raggiunti e superati, nei loro baci e abbracci a mamma e papà, nel loro imparare fin dalla culla a condividere e vivere la solidarietà e la gratuità coi fratelli e le sorelle, a stringersi, ad aggiungere un posto a tavola, a volersi bene: lì, tra loro e con loro, troverete la risposta alla vostra domanda.
Guardateli, guardateli adesso: capirete. Un proverbio spagnolo dice: “Parlare di tori non è la stessa cosa che essere nell’arena”. Preparatevi, italiani, brava gente: preparatevi perché non ci fermerete più. Non siamo gente che “dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”, come cantava il poeta genovese. Noi siamo nell’arena. Giochiamo a mani nude e a carte scoperte, nessuna loggia massonica o nuova setta esoterica; ve lo diciamo con chiarezza quel che siamo e desideriamo. Abbiamo solo una grande passione: cambiare, da subito, la cultura di morte e di fastidio nei confronti della famiglia che attanaglia questo Paese, per trasformarla in cultura di “sì alla vita, sì al futuro”. E la cambieremo. Nel blog del sito Radicali.it si parla di noi, incoraggiando i lettori a serrare i ranghi: “ecco, abbiamo un nuovo nemico clericale da affrontare”. Contateci. Signori dell’individualismo e dell’egoismo, Signori dell’edonismo e del liberismo, contateci. Lor Signori hanno già visto il nostro comunicato sociale? No? Lo guardino: in trenta secondi c’è tutto un programma.
E’ il nostro programma. Lor Signori si preparino, c’è da aggiungere posti a tavola: le famiglie numerose sono tornate. Per restare.