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Perché sette figli?

Perché sette figli?

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di PINO ROVEREDO

Attraverso il Giardino Pubblico e immagino la situazione: un’intervista con una famiglia che non ho mai visto e conosciuto, una famiglia normale, all’apparenza, ma con una storia straordinaria che può raccontare la gioia di un’unione e la bellezza di sette figli sette! Svolto per via Scussa e penso all’accoglienza: che rumore ha una famiglia di nove persone? Salgo con l’ascensore, e poi aggiungo un piano di scale a piedi, perché la famiglia Gasparo abita in una soffitta. Attendo d’incrociarmi col suono e frastuono di voci, urla, rumore di passi, o il pianto di qualche neonato, e invece niente, tutto tranquillo. Sulla porta mi accoglie la pacifica stretta di mano di Lucio, il padre, e quando entro incontro il saluto educato di un ragazzo, poi una ragazza, poi un’altra ragazza, ancora una ragazza… In cucina trovo Emanuela, la madre, e sul tavolo lo spettacolo di Sara, l’ultima arrivata, che mi accoglie con il regalo di due bellissimi occhi e la simpatia di una «candelina» che gli cola giù dal naso…
Perché sette figli?
«Per una scelta di vita. Noi veniamo entrambi da due famiglie numerose, e siamo cresciuti con la cultura altruista della porta aperta, per questo: siamo sempre disponibili all’accoglienza. Sì, i figli sono stati una scelta, anche se mai programmata, e sono arrivati uno dietro l’altro come la conseguenza naturale di un desiderio. Mi ricordo che quando ho avuto in braccio la nostra prima figlia, dimenticando i dolori del parto, immediatamente ho desiderato l’arrivo di un’altra creatura. Mettere al mondo un figlio è un’emozione talmente grande, che ti travolge l’animo e la vita».
Me le raccontate le vostre creature?
«La prima è Marta, 18 anni, molto socievole e riflessiva, e la seconda è Claudia, 16 anni, lei è l’artista di casa. Quindi viene Nicolò che ha 14 anni, e che per la sua bontà ricopre il ruolo del paciere, e poi Piero, 12 anni, lui è un musicista sognatore. Poi c’è Miriam, 9 anni, che ha una grande passione per gli animali, e Lucia, 7, che ha gli occhi belli della principessa. E infine Sara, l’ultima arrivata, che ha due anni, e ha un sorriso e una delicatezza che ci solleva a tutti».
Viviamo in un’epoca veloce, distratta, spesso egoista: come lo raccontate o spiegate il mondo ai vostri figli?
«Insegnandogli ad avere fiducia nella gente. Ma anche provando a trasmettergli la nostra positività: la vita non è una preoccupazione, ma una gioia. Metti ad esempio ieri, che Lucio ha smarrito il borsello, con dentro documenti e una discreta somma di denaro. Ok, è successo, e per questo ci siamo dispiaciuti, ma non disperati. Esiste una provvidenza, no?… E poi l’amore per le piccole cose. Guarda, da qualche anno siamo riusciti a costruirci una piccola terrazza, bè, quando è la stagione dei tramonti, siamo tutti lì ad ammirare il trapasso, e non posso raccontarti il piacere e l’entusiasmo dei figli per la bellezza di quello spettacolo. Senza retorica, ma sono piccoli e grandi piaceri che fanno bene alla vita».
Nell’appartamento della famiglia Gasparo, dentro un piacevole calore e odore di legna che brucia nella stufa, c’è una grande cucina, cassetti dappertutto, un’altalena in mezzo alla stanza, giochi sparsi, e le camere con i letti incastrati nelle pareti. Guardando in giro si ha la sensazione lieta dell’asilo materno. Tutto e diviso e condiviso, anche le regole. Infatti, lo confesso, con una certa sorpresa, scorgo sulla parete la tabella dei turni. «Marta: lava i piatti. Claudia: stende la biancheria. Nicolò: pulizie bagni e dividere la biancheria. Piero: asciuga i piatti e riordina il lavello. Miriam: apparecchia la tavola. Lucia: vuota il lavastoviglie».
Com’è una giornata tipo della famiglia Gasparo?
«Noi ci svegliamo alle sei. Alle sette inizia il ciclo delle colazioni: c’è chi va via prima, chi dopo, e poi bisogna regolare i tempi, anche perché ci sono solo due bagni. Poi Lucio va a lavorare, e io sbrigo tutte le faccende di casa. Il pomeriggio lo si dedica alle lezioni, poi c’è l’attività scout, il catechismo, la piscina, e io mi faccio il mio bel giro di colloqui con maestri e professori, che sommati fanno più di sessanta l’anno. Alla sera si cena tutti insieme, e alle nove e mezza si spengono le luci e buonanotte. No, in casa nostra la tivù non ha un grande successo, e poi, posso dirlo?… Noi, amiamo tanto dormire».
Come sono i rapporti tra i fratelli?
«Come tutti i fratelli, e chi li ha sa cosa voglio dire. Le solite relazioni, discussioni, anche liti, ma dura poco, poi passa tutto. Di fondo poi, c’è un grande affetto e una grande solidarietà, quella che solitamente gira nelle famiglie numerose».
Scusate se mi permetto, ma il bilancio famigliare?
«Abbiamo sempre cercato di non preoccuparci troppo, le poche volte che l’abbiamo fatto ci siamo trovati più stanchi e smarriti di prima. Quello che conta è accontentarsi dell’indispensabile. Quando facciamo la spesa, pur non trascurando la qualità, cerchiamo di acquistare solo le cose essenziali, e per il vestiario abbiamo abolito il superfluo, perciò, niente abiti o scarpe di marca. Solo quello che serve! Ecco, anche senza essere degli esperti in “economia”, ma portando un grande rispetto per il denaro, riusciamo ad arrivare a fine mese».
E i nonni?…
«Bè, loro sono stati preziosi, e ci hanno sempre dato una grossa mano, e sempre con grande discrezione, senza nessuna invadenza. E poi ci hanno anche insegnato che, prima dei figli, viene la coppia. Per questo, se abbiamo bisogno di una pausa, dobbiamo assolutamente concedercela, perché solo se l’unione è serena, i figli crescono bene».
E mentre Emanuela e Lucio si raccontano, la vita della casa continua a girarci intorno. Chi a studiare, chi al computer, chi a giocare dentro una tenda da campeggio sistemata in mezzo a una camera. Tutto tranquillo, senza nessuna agitazione, nemmeno per il sottoscritto che se ne sta lì a rubare l’indiscrezione della loro storia. Proprio come una casa che vive con la condizione della «porta aperta»: nessuno è estraneo, e tutti sono benvenuti.
Quante famiglie numerose ci sono a Trieste?
«Nella nostra città ci sono circa 500 nuclei famigliari con più di sei componenti. Sempre a Trieste c’è una famiglia che ha dodici figli, mentre in regione c’è una famiglia di Tarcento che ne ha quindici. Esiste anche l’Associazione nazionale famiglie numerose, di cui noi siamo coordinatori, e che ha lo scopo di rivalutare appunto, la funzione delle famiglie affollate. Famiglie capaci di dare alcuni valori che si stanno perdendo, vedi la cultura del sacrificio, l’attenzione della crescita, e poi tutti quegli aspetti solidali e affettivi che frequentiamo e possiamo vantare. Associazione nata anche per spiegare all’Istituzione che sì, i figli si partoriscono, ma poi si devono anche crescere. Spesso invece siamo penalizzati, soprattutto nelle quote sociali, quasi che procreare fosse una colpa».
I sogni, moltiplicati per sette, che fate per i vostri figli?
«Semplicemente, che vivano felici. Felici senza la costrizione ansiosa di un traguardo, perciò va bene se diventano casalinghe, operai, medici, purché siano sereni. E poi, più che un sogno, spero che incontrino l’amore per Dio che ho avuto la fortuna di incontrare io».
Una famiglia così può nascere solo da un grande sentimento. Il vostro è un grande amore?…
«Sì, il nostro è stato un graduale innamoramento, iniziato con una conoscenza e continuato poi con una grande volontà di stare insieme. Credo che oggi i nostri figli siano una dimostrazione. Ancora adesso il nostro è un sentimento che ha voglia di crescere, di accogliere, vivere, progettare, sperare… Certo, come nelle migliori famiglie, non ci facciamo mancare i nostri bravi diverbi o le piccole controversie, tutte agitazioni minime che cerchiamo di appianare prima della chiusura della luce, perché ci piace andare a dormire tranquilli».
Dopo un’ora d’incontro, dove io ho riempito i miei fogli di voci, e vicino, la piccola Sara ha riempito i suoi fogli con la libertà dello scarabocchio, comincio a distinguere i passaggi. Nicolò è quello che va a riprendere al telefono, Marta è quella che prende la sorella più piccola e la fa dondolare sull’altalena. Miriam e Lucia sono quelle che fanno coppia fissa, e Piero è quello che continua a infilare la testa sull’uscio, chiede qualcosa, fa un commento e poi sparisce. Scendendo le scale della casa di Via Scussa, mi porto via le impressioni, e con loro anche lo sciocco timore di essere stato un intruso. Andando, porto via anche la sensazione di aver guadagnato la conoscenza di una storia straordinariamente normale.
Il Piccolo