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Le buone ragioni del quoziente familiare

Le buone ragioni del quoziente familiare

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Le buone ragioni del quoziente familiare Il direttore risponde


Caro direttore, su Agorà del 5 febbraio il professor Luigino Bruni, commentando il recente studio di Alesina e Ichino «L’Italia fatta in casa» associa le critiche mosse dagli autori al «quoziente familiare « a un’idea della coppia come «un uomo e una donna disgiunti», mentre, sottolinea Bruni, «la famiglia è soprattutto un patto che fa di due persone disgiunte un soggetto collettivo, nel quale le decisioni si discutono e poi si prendono assieme, comprese quelle lavorative».
Se però è vero – come molti studiosi sottolineano – che il quoziente familiare penalizza il secondo percettore di reddito della famiglia (in Italia si tratta normalmente delle donne), premiando invece – da quanto mi è parso di capire – le famiglie numerose monoreddito di livello medio-alto, la sua attuazione non rischierebbe forse di danneggiare, oltre che l’occupazione femminile, proprio quella libertà di decisione delle famiglie in ordine alle scelte lavorative che giustamente il professor Bruni auspica?
Rita Torti, Parma

In realtà, gentile lettrice, messa così la questione è mal posta. Anzitutto perché il sistema fiscale del quoziente familiare non «danneggia» affatto il secondo percettore di reddito.
Piuttosto può – in certi determinati casi, riguardanti in particolare i redditi più bassi – risultare maggiormente conveniente rispetto all’attività lavorativa (e alle spese connesse) e quindi indirettamente scoraggiare le donne a partecipare al mercato del lavoro. Tuttavia, occorre tener conto di vari fattori prima di poter sentenziare, come con molta facilità fanno alcuni detrattori di questo sistema, che questo sia un effetto automatico e certo del sistema del quoziente . Per prima cosa basterebbe guardare all’esempio francese, nazione nella quale il quoziente è in vigore da decenni e che registra tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro superiori a quelli nostrani. In secondo luogo, molto dipende dai parametri effettivi con i quali si applica il sistema. Ad esempio, si può ridurre l’eventuale effetto-disincentivo modificando il calcolo del coefficiente familiare nell’ipotesi di occupazione del secondo coniuge, assegnandogli un peso unitario leggermente più elevato (ad esempio 1,2) rispetto a quello del coniuge a carico (1). In realtà, però, sono convinto che i tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro siano fortemente influenzati da altri fattori, rispetto al trattamento fiscale, come la presenza e la qualità dei servizi per l’infanzia, la flessibilità degli orari, la possibilità di ottenere un part-time, l’atteggiamento delle aziende. Per non parlare delle mutate condizioni culturali e sociali, con l’universo femminile ormai maggiormente istruito rispetto a quello maschile e i compiti di cura che – almeno nelle generazioni più giovani – si stanno riequilibrando fra i due sessi.
Il sistema del quoziente , in ogni caso, è divenuto ormai il simbolo di un’aspirazione e di una battaglia che, sul piano pratico, ha trovato anche altre ricette ispirate a una filosofia analoga e potenzialmente altrettanto efficaci, come il sistema delle deduzioni per carichi di famiglia. In questa direzione si muove la proposta del Forum delle associazioni familiari sulla quale lo scorso anno furono raccolte oltre un milione di firme.
Vede, cara lettrice, la riforma del fisco perché divenga a misura di famiglia non serve «per permettere alle donne di fare shopping o andare in palestra», come assai infelicemente ha sostenuto di recente l’ex ministro Vincenzo Visco, ma è anzitutto una battaglia di libertà e di giustizia. Libertà per le donne (e i loro mariti) di poter scegliere senza condizionamenti esterni da parte del sistema fiscale se lavorare fuori casa o se occuparsi primariamente dell’educazione dei figli, della loro crescita. E una battaglia di giustizia perché non è equo che – a parità di reddito – una famiglia con un solo percettore paghi molte, molte più tasse di un’altra famiglia nella quale i lavoratori sono due (per non parlare di quelle con figli a carico e senza). Basti un esempio: con 55mila euro di reddito lordo annuo, due coniugi entrambi lavoratori e con 2 figli a carico pagano 10.500 euro di imposte; una famiglia monoreddito con la stessa composizione ne paga 15.900. È il 50% in più e si arriva al doppio per i redditi più bassi! Un dato, questo, che, assieme a certe a ffermazioni, dovrebbe far arrossire pressappochisti e demagoghi.
avvenire