• it
La moto rottamata vale più d’un figlio

La moto rottamata vale più d’un figlio

20 views
Condividi

Immaginate che a fine mese in busta paga, invece di trovare i soliti e ridicoli assegni famigliari, vi venga aggiunta sullo stipendio una bella sommetta. Corrispondente a quanto lo Stato vi deve per averlo fatto risparmiare. Risparmiare? Sì, avete capito bene. La cifra si ottiene sommando le sottrazioni fiscali che vi spetterebbero perché mandate i figli in una scuola privata non statale (dunque pagate il doppio rispetto al vicino di casa), se avete un anziano in casa di cui vi occupate invece di spedirlo in un ospizio, mandate il piccolino di quattro anni all’asilo che insieme ad altre famiglie avete messo in piedi nello spazio comune del condominio. E ancora: se accudite un famigliare con handicap, per la scelta di uno dei coniugi di dedicarsi al lavoro domestico e all’educazione dei bambini, per i figli che avete messo al mondo perché saranno l’Italia di domani. Vabbè, avete ragione: state sognando, oppure non vivete in Italia.
Al massimo, potete riconoscere che questo governo qualcosa comunque lo sta facendo per rendere meno dura la vita in famiglia. Almeno a quelle, e sono quasi cinque milioni, che hanno diritto a ricevere il bonus, il contributo una tantum deciso dal governo nel 2008 per aiutare i nuclei a basso reddito. Un assegno variabile tra un minimo di 200 a un massimo di 1.000 euro secondo il reddito del richiedente. Lo scorso anno, il Fisco ci informa di aver pagato un miliardo e mezzo di euro per evadere le richieste del bonus: a fine operazione, dicono, la cifra erogata raggiungerà quota un miliardo e 600 milioni.
Tutto bene, allora? Bene, certamente sì, ma il bonus non è ancora la soluzione più efficace e «giusta» che invece richiederebbe una reale e innovativa politica per la famiglia. L’una tantum, sia pure necessaria come misura d’emergenza, non esce dalla solita logica assistenziale di governi (di destra, di centro e di sinistra) che anziché favorire la coppia come primo protagonista della convivenza sociale e civile, sembrano fare di tutto per contenerla, quando non apertamente scoraggiarla. La famiglia in queste condizioni non sarà neppure in grado di soddisfare il suo tradizionale ruolo di ammortizzatore sociale che negli anni passati ha consentito la tenuta della nostra società.
Così non se ne esce, necessitano volontà politica e coraggio: occorre rifondare il concetto di famiglia come società sovrana, che viene prima dello Stato e del mercato e come tale gode di diritti sociali propri anche in relazione al concorso della spesa pubblica. Il principio di sussidiarietà, insomma, dovrebbe scendere fino al livello fiscale implicando, ad esempio, la precedenza del risparmio fiscale (deduzioni-detrazioni) rispetto all’assistenza pubblica (assegni familiari). Un sistema fiscale giusto, infatti, non può basarsi solo sull’equità verticale, garantita dalla progressività delle aliquote, ma deve tendere a realizzare una vera equità orizzontale per cui, a parità di reddito, chi ha carichi familiari più onerosi non può pagare la stessa entità di tasse richieste a chi non ne ha (come, peraltro, recita l’articolo 53 della Costituzione).
In sostanza, un Fisco equo dovrebbe prevedere una deduzione dall’imponibile che tenga conto, anche se gradualmente, del costo annuo del mantenimento di ciascun figlio a carico (la somma media necessaria è di circa 8.000 euro per figlio). Le deduzioni, poi, devono essere universali: non vanno cioè previsti tetti di reddito che determino esclusioni, in quanto non si tratta di una misura contro la povertà ma di una misura di equità fiscale. Questo, del resto, è quanto avviene per le agevolazioni fiscali concesse relativamente alle spese a cui si riconosce una finalità sociale (rottamazione auto o motorini, ristrutturazioni edilizie ecc.). I figli invece, valgono meno di uno scooter sfiancato: sono visti come un bene privato, non come nuove generazioni sulle quali il Paese ha il dovere di investire.
Un esempio riassume con efficacia e con la forza delle cifre quello fin qui affermato. Se un lavoratore con un reddito di 25 mila euro spende mediamente per mantenere due figli 16 mila euro, potrà fruire di un risparmio d’imposta di circa 1.000 euro. Se invece la stessa cifra viene versata nelle casse dei partiti il risparmio sale a 3.000 euro. Se si hanno 91 mila euro e si spendono 32 mila euro per mantenere quattro figli, non ci sarà nessun riconoscimento fiscale per tali spese. Viceversa, se la stessa cifra viene erogata ad un partito è premiata con un risparmio fiscale di 6.080 euro. Insomma, un superbonus. Ma a vantaggio della Casta…
Luigi Santambrogio
Eco di Bergamo