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Il dovere di costruire la felicità: non mi adeguo

Il dovere di costruire la felicità: non mi adeguo

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Due nonni che divorziano dopo 40 anni di matrimonio interrogano su cosa intendiamo per matrimonio: non c’è un diritto alla felicità, ma un impegno a crescere insieme.
Sempre, di anno in anno

E gregio Direttore, i nonni di un amico, dopo 40 anni di matrimonio, hanno divorziato. Non è una notizia facile da accettare, nemmeno in tempi di debolezza come i nostri. Il termine «nonni» non va d’accordo con «divorzio»: così come l’erba è verde, il cielo è azzurro e l’auto ha le ruote, i nonni per definizione stanno sempre insieme. Giovani coppie che divorziano, questo sì – purtroppo – suona ormai plausibile: grazie ai modelli dei rotocalchi televisivi, il livello di tolleranza e comprensione nei confronti dei fracassi matrimoniali è alto per le generazioni attuali. Non che le conseguenze siano migliori: come la morte, la rottura del contratto matrimoniale porta sempre con sé dolore, sofferenza, tremore. Lo dice a chiare lettere anche il X° rapporto del Cisf, appena pubblicato. Nei figli, fa male più che mai. Nonostante film, reality, telenovelas o riviste cerchino di mascherarlo, le vittime innocenti della rottura resteranno per sempre segnate dalle ferite dello squarcio, quando da adulti cercheranno di costruire modelli affettivi. Ma dai nonni, proprio non te l’aspetti. I nonni non hanno divorziato neppure quando i matrimoni erano molto ‘arrangiati’ e il primo bacio avveniva solo dopo il ‘si’ pronunciato sull’altare. Per molti fu così: non scelsero quel coniuge eppure lo amarono tutta la vita e anche oltre.
Ma Il paradosso è che oggi le coppie si scelgono liberamente, si conoscono, si provano per un certo periodo prima del ‘sì’; ma i loro matrimoni non durano più che qualche viaggio, qualche passeggiata, qualche decina di mesi. Forse il modello del passato, oggi inaccettabile, nascondeva una grande sapienza che dovremmo riconsiderare. Non ci si sposa per essere felici. Stupisce dirlo ma è vero. Il matrimonio esiste prima di Holywood, prima della liberazione sessuale, prima del Romanticismo, prima dello stesso Stato. Soli siamo fragili; fin dalla nascita, abbiamo bisogno di un ambiente in cui crescere in fiducia e intimità, non in competizione o disputa. Un ambiente nel quale gareggiamo nello stimarci a vicenda. Questo è il matrimonio.
Molta frustrazione nasce da un equivoco: non c’è un diritto alla felicità, c’è un dovere di costruirla. Questo modo di guardare al matrimonio è poco attrattivo, poco seducente; eppure c’è bisogno proprio, per essere felici, di una comunità affettiva, di mutuo rispetto, di crescita insieme nei valori e nelle virtù umane, maggiori e più nobili del desiderio di soddisfare semplicemente il proprio ego. Vale anche dopo 40 anni di matrimonio.
Mario Sberna
avvenire, 23 novembre