• it
Testimoniare il valore della famiglia per il bene comune

Testimoniare il valore della famiglia per il bene comune

233 views
Condividi

Il relativismo pare essere diventato l’imperativo culturale dei giorni nostri: tutto è buono, vero e bello se soddisfa due condizioni: non dev’essere di nocumento diretto al vicino, deve piacere e deve andar bene all’individuo. Le rivendicazioni di ognuno devono essere rispettate, che trovino fondamento in principi particolarmente profondi oppure che poggino solo sulla convinzione del singolo (o del gruppo di riferimento). Tutto è relativo, la Verità non c’è e non serve impegnarsi a cercarla, ognuno è verità a sé. Non è più necessario confrontarsi, argomentare e valutare le conseguenze delle diverse scelte: il bene comune cede inesorabilmente di fronte all’interesse di parte. Allora, ogni desiderio diventa volontà, ogni istanza reclama diritti. E’ uno degli effetti della secolarizzazione: viene così vanificato l’esercizio di un sano pluralismo da esercitare alla luce della ragione, del dato di natura e della storia dell’uomo.
Relativismo è ciò che si respira oggi anche attorno ai temi della famiglia, dell’affettività e della genitorialità: tutto va bene ed è equivalente, basta che sia tecnicamente possibile e che la società, se prima condannava, possa progressivamente tollerare, quindi accettare e poi promuovere.
Anche tra molti cristiani pare essersi insediata una sorta di ‘deferenza relativista’ secondo cui è giusto che chiunque possa esprimere le proprie attitudini e possa veder riconosciute dal diritto le proprie istanze. Allora, se c’è chi si adopera per la legalizzazione del matrimonio omosessuale, non ci si chiede quale ne sia la portata perché “basta volersi bene” (o come ha dichiarato Obama “Love is love”), dimenticandosi che il matrimonio non può essere ridotto ad una questione di affetti e somma di libertà individuali. Se si invoca la possibilità di adottare per lesbiche e gay, non si riflette abbastanza su quali siano le esigenze di fondo che la sostanziano e le sue conseguenze: stabiliremo che ai prossimi bambini non sarà più garantito per legge avere un padre ed una madre? Se in nome dell’ingegneria genetica si vuole diventare mamma alla soglia dei sessant’anni, non si commenta per non offendere il naturale desiderio di maternità, ma non ci si chiede che fine faranno gli oltre 18.000 embrioni crioconservati in Italia nel 2011. Se si propone una legge sull’omofobia, non ci si preoccupa che il testo inizialmente discusso aprisse alla possibilità di criminalizzare la libertà di pensiero: ci verrà forse tolta la possibilità di esprimere giudizi sui comportamenti delle persone? E’ questa ben altra cosa dall’offesa della dignità altrui, che va comunque sempre rispettata (ma questo andrebbe con forza ricordato anche a chi propone l’eutanasia per malati terminali o giustifica l’aborto del bimbo concepito).
In realtà, non possiamo non chiederci quale sia il bene migliore per i bambini che verranno, non confrontarci con il dato biologico, non richiamare cos’abbia mosso la costruzione della civiltà, se sia corretto riconoscere i limiti e le leggi della natura, se esista una concezione di bene comune che richieda un adeguato supporto normativo. Questo dovrebbe valere per tutti; per un cristiano significa anche porsi in ascolto della Parola di Dio e del mirabile disegno che il Creatore ha posto fin dall’inizio: “maschio e femmina li creò … e i due saranno una carne sola” (Gn 1,27; 2,24). E’ proprio alla luce della Verità di Cristo che dobbiamo cercare di costruire il bene comune, restando comunque aperti al confronto vero con chi propone modelli diversi.
Ma le cose vanno chiamate col loro nome. Don Lorenzo Milani, in Lettera a una professoressa (1967), scriveva che “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti eguali fra disuguali”. Parlando di famiglia l’esempio pare calzante: possiamo mettere sullo stesso piano qualsiasi tipo di legame affettivo, qualsiasi forma di genitorialità, qualsiasi modello di società? Oggi è fortemente messo in discussione l’istituto della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Ai cristiani – ma non solo – è chiesto di testimoniare con decisione e senza paura la realtà della famiglia e dell’amore coniugale; valori cristiani, ma anche fortemente laici (basta rileggersi il Codice civile – guarda caso – il Libro primo!). Difendere la famiglia significa innanzitutto viverla in pienezza e richiamarne ovunque il ruolo primario ed insostituibile, consapevoli che siamo di fronte ad una sfida difficile e delicata. Proprio durante le recenti Giornate mondiali della Gioventù Papa Francesco, nell’omelia del 24 luglio, ha voluto richiamare tre semplici atteggiamenti: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio e vivere nella gioia. Sia questo un compito anche per chi crede nella famiglia.

Cinzia e G. Marco Campeotto
Direttori Ufficio diocesano di Pastorale Familiare
Coordinatori ANFN per la provincia di Udine

Condividi
Previous articleFesta regionale Toscana 1 settembre
Next articleE’ nato Isacco