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Stretta nella morsa

Stretta nella morsa

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La famiglia ma fino a quando?

“Il fenomeno della povertà, che si va estendendo nel nostro Paese, non può che essere osservato attraverso la famiglia”: Luca Pesenti, sociologo dell’Università Cattolica di Milano, ha sinora concentrato molti suoi studi sull’esclusione sociale, sul funzionamento del welfare, sulle politiche del lavoro. È stato dal 2008 a quest’anno direttore dell’Osservatorio sull’esclusione sociale della Lombardia e fa parte della Commissione nazionale d’indagine sullo stesso tema. Per il Sir commenta i dati diffusi oggi dall’Istat sulla povertà in Italia.

Stando ai numeri forniti dall’Istituto di statistica, la situazione peggiora. Le persone che vivono nell’indigenza, o quasi, aumentano. E le famiglie sembrano accusare le ricadute della crisi economica. Condivide questa chiave di lettura?

“Direi proprio di sì. Potremmo affermare che la recessione tocca direttamente le famiglie e che costituire una famiglia e mettere al mondo dei figli siano oggi fattori che espongono in misura crescente al rischio-povertà. Ciò vale, a maggior ragione, per quei nuclei che hanno dai 3 figli in su”.

Istat parla di 8 milioni di poveri. Numeri sconcertanti…

“Si tratta di cifre davvero preoccupanti. Anche se, per una lettura più precisa di quanto sta accadendo, non dobbiamo concentrarci principalmente sulla cosiddetta ‘povertà relativa’, che ci consegna queste cifre, quanto sulla ‘povertà assoluta’. Il primo è, infatti, un indicatore di diseguaglianza sociale, il secondo, invece, è il dato che attesta con più evidenza quanti siano gli italiani che sperimentano la povertà, costituita da privazioni materiali pesanti, da una disponibilità di reddito insufficiente per vivere dignitosamente. In questo caso siamo di fronte a 3 milioni e 400 mila persone, una cifra impressionante, la quale è andata crescendo dal 2008 in avanti, esattamente in parallelo con l’avvento della crisi economica e occupazionale. Ed è un dato che aumenta a ritmi vertiginosi”.

Ma questa situazione recessiva chi colpisce più direttamente?

“Anzitutto chi perde il lavoro. Sono oltremodo colpite le famiglie dove il livello d’istruzione è minore, le famiglie operaie, quelle dove si ha una presenza di genitori relativamente giovani, oppure i nuclei che vivono nelle Regioni meridionali della penisola, dove soprattutto in questo ultimo anno la povertà è tornata a mordere con maggior forza. All’inizio della crisi, la disoccupazione aveva colpito soprattutto il Nord e il Centro del Paese, nelle Regioni a maggior presenza industriale; ora il Mezzogiorno torna al centro dell’attenzione e le statistiche lo confermano”.

Si allarga la forbice tra ricchi e poveri?

“La povertà sta crescendo a ritmi accentuati laddove si sta peggio a livello sociale, culturale e territoriale. Aggiungerei che la crisi in Italia si avverte maggiormente che altrove perché alla base vi è una ineguale distribuzione della ricchezza. Anche la pressione fiscale iniqua, che grava sui ceti medi non meno che su quelli benestanti, è un ulteriore motivo di impoverimento. Si pensi solo all’Imu: si sarebbe potuto scegliere la strada di una tassa sui grandi patrimoni, invece si è varata un’imposta che tocca anche la prima casa. Questo è esattamente un fisco antifamiliare”.

Secondo l’Istat sono oltremodo esposte al rischio di povertà le famiglie “monogenitore”: è vero?

“Abbiamo la conferma che nei casi in cui due coniugi si separano, tale situazione mostra, oltre al peso affettivo e relazionale, anche un peggioramento della condizione economica. Marito e moglie separati, specie se hanno figli, sono più esposti alla povertà. Forse non si riflette abbastanza sui ‘costi’ indiretti, oltre che diretti, di una separazione o di un divorzio…”.

L’Istat descrive una situazione nazionale davvero pesante. Ma negli altri Paesi europei quali realtà si riscontrano?

“L’Italia evidenzia una situazione pesante. Non a caso, assieme alla Grecia, è l’unico Paese che non ha un reddito minimo garantito o un sostegno al reddito. Sempre l’Italia ha il peggior risultato europeo circa l’efficacia dei trasferimenti statali, ovvero il nostro welfare non funziona a dovere. In Germania e Francia, ad esempio, Paesi per tanti aspetti paragonabili al nostro, lo stato sociale ha risultati più evidenti; hanno inoltre un reddito minimo garantito e il loro sistema fiscale tende a essere molto più leggero verso le famiglie che hanno figli. Più figli si hanno, meno si paga. Questo fa una grossa differenza”.

Siamo un fanalino di coda in Europa?

“Possiamo riflettere su un altro fattore rilevante, posto in evidenza dagli studi dell’economista Luigi Campiglio. Il risparmio delle famiglie italiane in questi anni è andato decrescendo, mentre, pur in presenza della crisi internazionale, in Germania e Francia è aumentato. Sono dati che dovrebbero farci pensare”.

a cura di Gianni Borsa