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Storia di Ilaria e il privilegio di ottenere il part-time

Storia di Ilaria e il privilegio di ottenere il part-time

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Senza campanilismo si può ritenere che Bologna sia una delle città più avanzate d’Italia e forse d’Europa nel riconoscimento dei diritti delle persone: all’Università della città, l’Alma Mater, tra le più antiche al mondo con i suoi oltre 9 secoli di vita, ha visto la luce nel 1256 il Liber Paradisus (Libro del Paradiso),il primo testo di legge che aboliva la schiavitù.
Eppure, anche in questo contesto che tuttora ospita l’osservatorio Nazionale della famiglia e dà i natali ad alcuni dei più attivi politici del momento, nell’AUSL Bologna, l’azienda sanitaria cittadina con oltre 8.500 dipendenti, una mamma di famiglia numerosa ha dovuto penare le cosiddette “camicie dell’inferno” per ottenere il part-time. E per giunta l’ha ottenuto in deroga ai regolamenti, quasi per gentile e magnanima concessione !
La storia di Ilaria (nome di fantasia) è decisamente significativa e potrebbe essere raccontata da molte mamme numerose impiegate nel settore pubblico sanitario: fisioterapista di un ospedale ausl, nel 2006, al rientro dell’aspettativa post partum chiede di poter ridurre l’orario (e lo stipendio) per conciliarlo meglio con le esigenze della famiglia (4 figli di 11, 9, 4 ed 1 anno). Richiesta respinta poiché i plafond per il part-time erano già saturi ed accompagnati da lunghe file di attesa.
Nel 2008 nasce il quinto figlio e Ilaria torna a chiedere il part-time anche perché si trova a dovere accudire la suocera invalida al 100%. La risposta è sbalorditiva: la stessa lettera negativa di 2 anni prima, diversa solo per data e protocollo.
Ma Ilaria non si perde d’animo e si rivolge a un avvocato, anche perché nel frattempo il marito è stato trasferito fuori sede e l’accudimento dei bambini si è fatto sempre più complicato.
Dopo più di 4 mesi di trattative, e dopo avere prospettato un ricorso d’urgenza in tribunale a tutela della cura dei minori, finalmente Ilaria ottiene dal direttore generale dell’Ausl una deliberazione che IN DEROGA ai regolamenti interni ed agli accordi sindacali le concede il part-time.
Tutto bene quel che finisce bene? Non proprio, perché il ricorso alla misura di eccezionalità ha comportato diverse conseguenze per Ilaria: il nuovo contratto viene registrato in tutta fretta e senza essere sottoscritto dalla stessa, le vengono imposti due mesi di ferie anticipate che scadono proprio all’inizio delle vacanze estive dei ragazzi, maturate a tempo pieno e smaltite (con perdite effettive) a part-time e inoltre le vengono imposti riunioni e corsi sempre al di fuori degli orari di lavoro, vanificando così i benefici dell’orario ridotto. Ma soprattutto iniziano le vessazioni delle colleghe, che magari si erano viste a loro volta rifiutare il part-time e considerano l’epilogo della vicenda legale un vero e proprio “privilegio” da “raccomandati”.
E così Ilaria ha potuto “assaporare” ciò che provano molte mamme in part-time, considerate delle imboscate, definite spiritosamente delle “casalinghe”, secondo una cultura del lavoro che non prevede per nulla l’esistenza di una famiglia (magari numerosa, o con bambini piccoli o componenti disabili) alle spalle del lavoratore. Come se l’accudire i figli non fosse a sua volta un dovere imposto dalla Costituzione e non un lusso per privilegiati…
Ilaria, con grande fatica anche economica, ha ottenuto il part-time e poco alla volta farà il callo (si spera) ai commenti ed agli atteggiamenti che dovrà subire nell’ambiente di lavoro.
Ma che senso ha tutto ciò ? Il part-time nasce per consentire di dedicare cure e attenzioni ai propri figli come fra l’altro prevede l’art. 37 della Costituzione, per poter fare di questi delle persone che un domani si assumeranno responsabilità nell’interesse di tutti e non solo della propria famiglia.
Se ilaria, con 5 figli, ha dovuto superare tutti questi problemi per accedere alla riduzione dell’orario, quali speranze possono avere le giovani dipendenti che intendono mettere su famiglia ed avere figli e che non possono contare sull’aiuto di famigliari o altre persone? Nessuna: piuttosto rinunciano al lavoro, oppure rinunciano ad avere figli. E chi ci rimette è tutta la società.
Lanciamo allora una proposta: che il part-time diventi un diritto delle mamme e dei figli e non una gentile concessione. Non sarebbe male che qualcuno, magari proprio da Bologna, proponesse per legge il diritto al part-time per il genitore con almeno 3 figli in età scolare. Se ci fosse una legge in questo senso sarebbero le aziende private o pubbliche a doversi regolare di conseguenza e non le famiglie a dover sostenere battaglie impossibili per diritti che sono previsti dalla Costituzione e che vanno nell’interesse del Paese.
Pensiamoci.

Stefano ed Alessandra Lipparini
ANFN – Bologna ed Enti Locali