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SINTESI della CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA

SINTESI della CONFERENZA NAZIONALE DELLA FAMIGLIA

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8–10 novembre 2010


Piano nazionale della Famiglia

La crisi della famiglia è grave ma non irreversibile. Politiche familiari adeguate possono contribuire ad invertire una tendenza che rischia di avvelenare il clima sociale e di annullare quel patto generazionale che per tanti anni ha assicurato il benessere relazionale indispensabile al futuro del Paese. La terapia che potrebbe rivelarsi vincente si chiama – come ha annunciato il sociologo Pierpaolo Donati alla Conferenza nazionale della famiglia di Milano – ‘Family mainstreaming’. È in sostanza quel Piano nazionale per le politiche familiari che l’Italia non ha mai avuto e che dovrebbe raccogliere in modo organico tutte le iniziative finalizzate a rendere più agevole la vita delle famiglie, a partire dall’impegno educativo e dalle relazioni tra genitori e figli.
Dalla ‘tre giorni’ dovrebbe infatti uscire un documento quanto più possibile completo e condiviso, perché frutto di sintesi tra le proposte del governo, le analisi degli esperti e le osservazioni delle associazioni familiari. Sono otto i punti fermi del Piano illustrato ieri da Donati, che è anche direttore tecnico­scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
I principi ispiratori del Piano.
Questa bozza di Piano propone innovazioni stabili e strutturali di medio-lungo periodo che si ispirano ai principi dell’ordinamento costituzionale italiano e lo ampliano nell’ottica di una politica familiare all’avanguardia nel panorama europeo.
1. Cittadinanza sociale della famiglia. L’obiettivo è promuovere interventi che favoriscano la costituzione e lo sviluppo della famiglia come soggetto sociale avente diritti propri, supplementari rispetto ai diritti individuali, in rapporto alle funzioni sociali svolte dal nucleo familiare (secondo il dettato degli arti. 2, 3, 29, 30, 3 Costituzione).
2. Politiche esplicite sul nucleo familiare. Gli interventi dovrebbero essere mirati per quanto possibile, sulla famiglia come luogo della solidarietà relazionale fra coniugi e fra generazioni (anziché affrontare singole categorie sociali – come il bambino, la donna, l’anziano, ecc. – nella supposizione, del tutto astratta, che aiutando tali destinatari venga sostenuta la famiglia). Alcuni di questi entitlements vanno alle persone come soggetti individuali di diritti (per es. il nido per il bambino, l’assistenza domiciliare al disabile o all’anziano non autosufficiente) e pertanto non richiedono un riferimento al legame di coppia (non richiedono il requisito del matrimonio dei genitori del bambino che va al nido o della persona da assistere). Altri interventi, invece, riguardanti l’imposizione fiscale sul reddito familiare complessivo, ossia benefici o vantaggi concessi sulla base del reddito familiare totale, a legislazione vigente, richiedono il riferimento all’esistenza di un vincolo legale nella coppia di riferimento, perché, in assenza di tale vincolo e degli obblighi reciproci di coppia che esso comporta, sarebbero possibili comportamenti di cheating o darebbero per presupposto delle assunzioni di responsabilità che, di fatto, potrebbero non avere luogo. Il Piano raccomanda che gli interventi a favore delle famiglie siano estesi il più possibile alle situazioni di fatto bisognose di riconoscimento, in particolare alla relazione bambino nelle famiglie monogenitoriali.
3. Politiche dirette sul nucleo familiare. L’obiettivo è quello di sostenere la forza e la funzione sociale delle relazioni familiari come tali (relazioni di coppia e genitoriali), anziché utilizzare la famiglia come ammortizzatore sociale, ossia come strumento per altri obiettivi (come la lotta alla povertà, la politica demografica o altri problemi sociali). Beninteso, questi ultimi obiettivi sono meritori e debbono essere perseguiti. Ciò che si vuole sottolineare è il fatto che il sostegno delle famiglie come nuclei di solidarietà sociale rappresenta un obiettivo a sé stante, e non può essere confuso con politiche contro la povertà o demografiche, benché le politiche familiari possano e debbano avere ricadute positive su queste ultime.
4. Equità sociale verso la famiglia. Nell’allocazione delle risorse, specie per via redistributiva (fiscalità), è necessario utilizzare un criterio universalistico di equità nei confronti del “carico familiare complessivo” (numerosità dei componenti e loro condizioni di età e salute). Una attenta considerazione deve essere svolta in relazione al processo di attuazione del federalismo fiscale, dal momento che la legge delega espressamente prevede (art. 2) un riferimento importante al favor familiae dal punto di vista del federalismo fiscale.
5. Sussidiarietà. Gli interventi debbono essere compiuti in modo da non sostituire ma sostenere e potenziare le funzioni proprie e autonome delle famiglie, in particolare mediante la scelta dei servizi esterni (in particolare i servizi sociali relazionali, come l’educazione dei figli, la mediazione familiare, l’assistenza domiciliare, ecc.)
6. Solidarietà. Gli interventi debbono sostenere la solidarietà interna fra i membri della famiglia (evitando incentivi alla frammentazione dei nuclei) e la solidarietà tra le famiglie mediante il potenziamento delle reti associative delle famiglie, specie laddove si tratti di organizzazioni familiari e di privato sociale che erogano servizi alle persone.
7. Welfare familiare sostenibile e abilitante. L’obiettivo è quello di promuovere un welfare familiare che sia compatibile con le esigenze di sviluppo del paese, il quale richiede politiche di capacitazione (empowerment) delle famiglie anziché di mero assistenzialismo. Il welfare italiano è ancora di vecchio stampo, cioè risarcitorio, ossia un modello che mira a migliorare le condizioni di vita delle famiglie più bisognose senza attivare circuiti societari (tra Stato, mercato, terzo settore, privato sociale e famiglie) capaci di farle uscire dallo stato di bisogno. Si spendono risorse, anche ingenti, per i poveri e gli emarginati, ma queste risultano scarsamente efficaci, nel contesto attuale connotato dal fenomeno della globalizzazione. Occorre muovere passi decisi verso un welfare abilitante, che incida sulle capacità di vita dei portatori di bisogni facendo leva proprio sulla capacità di iniziativa sociale ed economica delle famiglie. Tutto ciò richiede interventi che generino, anziché consumare capitale sociale, nelle sue varie forme, primarie e secondarie, ossia di legame interno (bonding), poi di connessioni associative tra ‘pari’ (bridging) e ancora di tipo reticolare fra attori sistemici (Stato, mercato, terzo settore, famiglie e reti informali) che operano a differenti livelli di intervento (capitale sociale linking, per esempio fra organizzazioni di secondo livello e organizzazioni di primo livello o reti informali).
8. Alleanze locali per la famiglia. L’obiettivo è quello di sostenere la diffusa attivazione di reti locali, costituite delle forze sociali, economiche e culturali che, in accordo con le istituzioni, promuovano nuove iniziative di politiche family friendly nelle comunità locali. Il criterio fondamentale che guida questo nuovo scenario è il passaggio da una politica della spesa (politics of delivery), che promette sempre nuovi benefici agli elettori, ad una politica di orientamenti all’impegno (politics of commitment) che impegna tutti gli stakeholders verso la mela di una società amica della famiglia e cerca la collaborazione di tutte le istituzioni e i soggetti coinvolti.
Monitoraggio dei provvedimenti legislativi e valutazione di impatto familiare della legislazione. Nella legislazione viene introdotto il principio secondo cui le misure adottate devono contemplare degli strumenti adeguati volti a monitorare gli effetti degli interventi stessi; in particolare viene introdotto uno strumento che valuti l’impatto della legislazione nazionale e regionale sulla famiglia (a partire dalle materie fiscali e tariffarie).
(dal documento preparatorio)

Blangiardo: “Una società tutta in ritardo”. Nascite e anziani soli ormai sono “urgenze”
Prima di ogni terapia c’è la diagnosi. E quella pronunciata da Gian Carlo Blangiardo è netta: siamo malati. Colpiti da una grave forma di mutazioni demografiche “del tutto impensabili solo qualche decennio fa”. Basta uno dei tanti esempi portati alla Conferenza nazionale sulla Famiglia dal docente di Demografia all’università Bicocca di Milano:
“Chi nel 1974, in un clima di ‘bombe demografiche’ che non risparmiavano nemmeno l’Italia, avrebbe scommesso sul raggiungimento della crescita zero in un paio di decenni? Gli esperti, in tutta buona fede, delineavano per il 2000 uno scenario totalmente diverso: 65 milioni di popolazione italiana e quindi una densità di 214 abitanti per chilometro quadrato…”, contro i 180 attuali. E ancora: chi solo 30 o 40 anni fa avrebbe previsto “il raddoppio degli anziani dal 1971 al 2010”? Ma soprattutto la rarefazione dei giovani, oggi quasi 6 milioni in meno rispetto ad allora?
Nel frattempo, poi, è aumentato il numero delle famiglie in Italia, cresciute di ben 9 milioni, ma nel frattempo si sono per così dire ‘ristrette’ di dimensioni, scendendo sotto la soglia dei tre componenti in media per famiglia (2,4 è la media attuale, ovvero mezzo figlio per coppia). Insomma, nell’arco di una generazione la popolazione italiana ha subìto una trasformazione analoga a quella realizzata in un intero secolo di unità nazionale (1861-1961). E la febbre oggi è alta, al punto che non c’è più tempo per le diagnosi, è urgente passare alle cure.
Tre in particolare le priorità indicate da Blangiardo “in una logica di prospettiva”:
1. le difficoltà nei giovani a spiccare il volo e uscire dal nido per costituirsi una propria famiglia;
2. il divario tra il numero di figli che si desidererebbe mettere al mondo e quelli che in realtà si generano;
3. il numero sempre più grande di anziani soli al mondo.
Il volo dal nido. Come detto, il volo dalla famiglia d’origine in Italia lo si spicca sempre più tardi, e l’aver dilatato la permanenza dei giovani in casa dei genitori ha via via creato un effetto domino di ritardi: si studia più a lungo, si trova il primo impiego più tardi, si posticipa il matrimonio e quindi il primo (e spesso unico) figlio, che arriva ben oltre i 30 anni.
Il figlio desiderato (ma non procreato). Le donne italiane, però, continuano ad avere un’elevata propensione ad essere madri, tant’è che ognuna desidera in media almeno due figli, e questa è la bella notizia. La brutta è che invece si fermano quasi sempre al primo, così che la media nazionale attualmente è di un figlio e mezzo per donna (1,4). Molte le cause, ma è facilmente intuibile che avere i figli più tardi significa averne meno. Spaventata dalla denatalità, la nostra società affida sempre più spesso le proprie speranze alle donne immigrate, tradizionalmente più prolifere, ma i dati dimostrano che anche loro si adattano presto al modello riprodttivo della società che le ospita, specie nelle metropoli: solo nel 2006 mettevano al mondo 2,5 figli a testa in media (contro il nostro 1,4), mentre nel 2009 erano già scese a una media di 2 (con punte negative di 1,4 a Genova, 1,3 a Roma, 1,2 a Napoli). Nulla di sorprendente, visto che i problemi sono gli stessi delle coppie italiane: “È un segnale della loro integrazione”, anche se in negativo, “e non si può delegare a una collettività fragile come sono gli immigrati la magica soluzione del problema fondamentale del calo delle nascite”, ammonisce Blangiardo. Il contagio, dunque, si allarga.
Più anziani, più soli. “Evitare che per un italiano su venti la solitudine si trasformi in una vera e propria esclusione sociale è un impegno non marginale – avver­te poi il demografo – , un obiettivo al quale occorre lavorare sin da ora”. Altrimenti il quadro sarà presto molto grave: se gli ultra90enni attualmente sono quasi 500mila, nel 2031 saranno oltre 1 milione e 300mila, e in molti casi faranno parte dell’universo di oltre 8 milioni di persone sole. Uno scenario per nulla catastrofista, visto che già ora i dati dell’ultimo quindicennio segnalano, a fronte di un aumento degli ultra75enni pari al 63% circa, un ulteriore aumento di quelli soli (70% circa). Un problema che ci riguarda tutti, visto che l’obiettivo comune e condiviso è quello di invecchiare (unica alternativa al morire), e invecchiare felicemente è la conditio sine qua non perché ciò avvenga se­renamente.
(Lucia Bellaspiga avvenire 9 novembre 2010, pag. 10)


Valutazioni delle Associazioni

La bozza del Piano nazionale della Famiglia è stata arricchita dalla Conferenza di Milano e ora andrà trasmessa al governo e alle parti sociali. Lo ha detto, al termine della Conferenza sulla famiglia, il sottosegretario alle Politiche per la famiglia, Carlo Giovanardi.
C’è sostanzialmente accordo: la famiglia in Italia va aiutata e il problema alla Conferenza di Milano è stato affrontato a 360 gradi con associazioni, professori, volontariato, esperienze di amministrazioni locali. Nel chiuderla, Carlo Giovanardi ha specificato che la bozza di Piano ora è fatta, sarà sottoposta a Regioni, sindacati e Governo. La macchina l’abbiamo costruita, ora ci vuole la benzina, ha affermato. Dieci i punti del Piano nazionale della famiglia, affrontati con proposte concrete dai gruppi di lavoro in questi tre giorni: vanno dal fisco ai servizi per la prima infanzia; dalle famiglie con anziani a carico ai problemi di affido e adozione; dall’accoglienza della vita alla conciliazione fra famiglia e lavoro fino al ruolo educativo, media e immigrazione. (…)
Per Andrea Olivero, portavoce del Forum del Terzo Settore, la Conferenza ha messo in luce le buone pratiche sviluppatesi in Italia ma, afferma, manca l’assunzione da parte del governo di impegni precisi in merito alle risorse. E tempi certi e risorse certe per il Piano nazionale di politiche per la famiglia, li chiede anche il presidente del Forum delle Associazioni familiari, Francesco Belletti, secondo cui non si tratta di penalizzare i single, ma di ridistribuire i carichi fiscali più equamente con la proposta, ad esempio, del “fattore famiglia”, molto apprezzata qui a Milano. Tutto questo perché vi sia un Welfare a misura di famiglia.
Il commento di Pierpaolo Donati, sociologo e direttore scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia.
R. – E’ stata messa veramente a fuoco la tematica della famiglia come soggetto sociale, e anche, come esemplificazione di questo discorso, una proposta di riforma fiscale che sia equa nei confronti di tutte le famiglie, da quelle più povere a quelle più ricche, per favorire quelle in difficoltà e tassare maggiormente quelle che stanno meglio.
D. – Voi siete d’accordo con la proposta del Forum delle famiglie del “fattore famiglia” per cambiare il fisco?
R. – Sì, direi che questa sia una delle acquisizioni più chiare della Conferenza, e cioè l’abbandono del quoziente familiare sul modello francese e l’elaborazione di una proposta, che è tutta italiana – denominata “fattore famiglia” – che risponde a criteri completamente diversi rispetto al quoziente: è più semplice, istituisce una fascia di non tassazione, che significa rispettare il principio di sussidiarietà, ossia lasciare alla famiglia le risorse che la famiglia ha, senza tassarle, fino ad un certo livello di reddito, che è il livello di vita minimo decente, e di tassare invece i redditi che vanno al di là di questa fascia minima.
D. – Questo servirebbe, secondo lei, anche ad incentivare e a fare più figli?
R. – Noi, oggi, siamo in un sistema totalmente iniquo, per cui le coppie che hanno più figli sono penalizzate, sono tartassate, rispetto alle famiglie che non hanno figli o ne hanno di meno. Qui si tratta semplicemente di giustizia, non di privilegiare le famiglie numerose con figli. Si tratta semplicemente di dire: “Se tu hai un figlio in più, avrai un trattamento adeguato, equo e non sarai penalizzato per questo”.
D. – Aiutare la famiglia, però, non significa solo aiutarla dal punto di vista fiscale, perché la famiglia è inserita in un sistema complesso.
R. – Ci sono tanti punti. Certamente, dopo il fisco, la tematica prioritaria è la riconciliazione o conciliazione famiglia-lavoro: i servizi per i bambini, gli aiuti, anche in emergenza, per gli anziani, banche del tempo, flessibilità degli orari, un insieme di politiche. Se riusciremo ad avere una conciliazione vera e propria, potrà crescere il tasso di lavoro femminile, senza detrimento per la famiglia, senza che ci siano delle ricadute negative sulla famiglia, come c’è stato in passato. In passato, più lavoro femminile ha significato meno fecondità, meno natalità, più disastri nell’educazione dei figli per l’assenza dei genitori e così via.
D. – Il bilancio che esce da questa Conferenza è positivo?
R. – Abbiamo capito certamente la differenza tra il modello statalista del passato, quello che ha dominato anche la Conferenza di Firenze – la prima Conferenza nazionale sulla famiglia, tre anni fa – e quello che sta emergendo in Italia. In questa Conferenza, la grande novità che credo sia emersa è una grande fioritura di iniziative a livello territoriale e locale nei comuni, nei quartieri, nelle valli: non possiamo più aspettarci un vecchio Stato centralista e assistenziale. Certamente, lo Stato ha le sue responsabilità, deve anche accrescerle, ma sarà la società civile a doversi mobilitare nei prossimi anni.(ap).
(Debora Donnini radiovaticana 11 novembre 2010)

Fattore famiglia, piano nazionale e territorio
Adottare il “fattore famiglia” e dare attuazione al “Piano nazionale per la famiglia”. Questi gli impegni che emergono dalla Conferenza nazionale della famiglia che si è chiusa oggi (10 novembre) a Milano. Al termine dell’assise il SIR ha chiesto a Pierpaolo Donati, sociologo e direttore del Comitato tecnicoscientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, di tracciare un bilancio e delineare le prospettive aperte dall’incontro.
Qual è la sua impressione sulla Conferenza?
“Il bilancio è decisamente positivo: il clima è stato costruttivo, si è percepita la volontà di risolvere assieme i problemi e anche chi ha dimostrato posizioni differenti non l’ha fatto con toni polemici, ma in un’ottica positiva, per mettere a fuoco e risolvere i problemi reali del Paese”.
Questa è stata la seconda Conferenza sulla famiglia. Cosa è cambiato da Firenze 2007 a oggi?
“Qui è emersa la grande ricchezza della società civile per realizzare delle vere politiche familiari, soprattutto a livello locale. A Firenze, invece, l’attenzione era centrata sullo Stato e le sue organizzazioni: in una prospettiva statalista si ragionava su quanta spesa potesse essere devoluta alle famiglie. Ancora oggi sullo sfondo c’è certamente lo Stato sociale, in particolare nella sua nuova espressione federalista, ma la novità è rappresentata dall’estrema ricchezza di esperienze in atto nei territori, spesso poco conosciute. La Conferenza ha espresso una nuova cultura, che chiede di affrontare i problemi concreti con un diverso assetto del welfare, che io chiamo ‘sussidiario, plurale, societario’”.

Nei giorni della Conferenza sono però emerse anche delle criticità: dai tagli ai fondi per le adozioni internazionali lamentati dall’Aibi alla riduzione del numero di consultori familiari, fino alla denuncia dell’economista Luigi Campiglio, secondo il quale in 15 anni i fondi a disposizione della famiglia (come gli
assegni familiari e i contributi per la maternità) sono diminuiti di oltre 11 miliardi di euro.

“Certamente c’è un problema di spesa, e io stesso ho lamentato gravissimi tagli per quanto riguarda le politiche familiari – il fondo per la famiglia è stato ridotto a meno della metà nella prospettiva della legge di stabilità –, mentre negli ultimi anni c’è stato un deprezzamento degli aiuti finanziari ed economici alle famiglie. Questo dato è assodato, e dimostra che in un momento di crisi economica lo Stato sociale non ce la fa. Ma il problema non è chiedere più soldi allo Stato, come fosse una mucca da mungere all’infinito. In presenza di scarsità di risorse, piuttosto, tutti gli attori della società civile devono contribuire: le imprese con un welfare familiare aziendale, le fondazioni bancarie dando priorità alle politiche familiari sul territorio, le associazioni di categoria creando le condizioni per servizi family friendly, i comuni adottando formule favorevoli alle famiglie numerose senza costi aggiuntivi… I cambiamenti possibili, così, sono notevoli”.
Alla Conferenza si è parlato di “fattore famiglia” al posto del “quoziente familiare”. Qual è la differenza, e come fare in modo che non resti solo uno slogan?
“La concretezza dipenderà dalla volontà politica. La differenza tra quoziente e ‘fattore famiglia’, invece, è notevole: il quoziente familiare è una forma di redistribuzione degli aiuti alle famiglie attraverso una macchina pubblica che preleva le risorse per poi gestirne, appunto, la redistribuzione, mentre il fattore famiglia è basato sul principio di sussidiarietà alla tedesca. Questo significa lasciare alla famiglia il reddito minimo per una vita decente, senza alcuna tassazione, mentre viene tassato ciò che supera questo livello. In più, le famiglie che non arrivano a quel livello di vita minima decente ricevono la ‘tassa negativa sul reddito’, ossia una somma che colma il divario tra il loro reddito reale e quel livello minimo. In secondo luogo il ‘fattore famiglia’ non richiede una grande macchina burocratica, non implica problemi costituzionali né modificazioni del sistema fiscale ed è modulabile: se a regime si stima possa costare 16 miliardi di euro, può essere applicato gradualmente a partire da 2-4 miliardi”.
Già nel 2007 lei parlò di un “piano nazionale di politiche per la famiglia”. Ora siamo nuovamente di fronte a una bozza: quali le prossime tappe per darvi attuazione?
“Allora predisposi una bozza che non venne recepita dal governo, e che è diventata l’infrastruttura del nuovo piano, arricchito dai lavori dell’Osservatorio e del Comitato tecnico-scientifico. Compito dell’Osservatorio, adesso, è prendere in considerazione i numerosi materiali presentati alla Conferenza, esaminarli e integrare questa bozza. Così, tra 2-3 mesi, potrà essere presentato il piano definitivo. Poi, però, questo dovrà essere valutato dal governo, avere il parere della Conferenza Stato-Regioni, passare nelle commissioni parlamentari e da ultimo tornare al governo per la decisione finale”.
E se, nel frattempo, dovesse cadere l’attuale governo?
“Noi siamo, come Osservatorio, un organismo tecnico-scientifico. Da parte nostra consegneremo il Piano al governo in carica in quel momento, il quale deciderà che farne…”.
(SIR – 10 novembre 2010)


«Legami familiari, valore che non si può acquistare»

Il bene dei legami familiari non si può misurare con le statistiche. Eppure la qualità delle relazioni affettive, la forza delle emozioni virtuose, le storie condivise che costruiscono la trama unica e originale di ogni nucleo familiare rappresentano lo scrigno che custodisce il significato profondo del ‘fare’ e dell’’essere’ famiglia. «I legami affettivi fondati sull’amore e sul rispetto che, attraverso l’educazione diventano patrimonio condiviso e valore sociale aggiunto non si possono valutare con i numeri, ma sono irrinunciabili ed essenziali. I provvedimenti legislativi e gli interventi economici sono importanti ma – avverte Eugenia Scabini, docente di psicologia della famiglia alla Cattolica di Milano che ieri, alla Conferenza nazionale ha animato la sezione dedicata all’educazione – non sono tutto. Senza educazione qualsiasi forma di aiuto monetario rischia di risultare inadeguato».
Perché è importante far viag¬giare su binari strettamente correlati impegno educativo e interventi legislativi?
Se non comprendiamo il senso dei legami familiari, se non impariamo a coltivarli nel mondo e nella misura giusta, se non trasmettiamo in famiglia l’alfabeto delle relazioni, rischiamo di smarrire il significato dei nostri sforzi. C’è un’etica della famiglia che viene prima di qualsiasi profilo economico.
In questi giorni rimbalza spesso, da una relazione all’altra qui alla Conferenza nazionale, l’elenco delle patologie familiari: matrimoni posticipati, figli unici, famiglie vittime dell’isolamento sociale, separazioni e divorzi. Proviamo a leggere questi allarmi in chiave educativa?
Va bene. Partiamo.
Genitori sempre più anziani e, spesso, come conseguenza, figli unici. Quali ripercussioni?
Se papà e mamma non sono più giovanissimi, i problemi sono più di tipo biologico che educativo. La pretesa del figlio a tutti i costi, con le derive etiche che sappiamo, è frutto proprio di questa tendenza a posticipare la maternità. Ma se la natura è stata ancora generosa, direi che genitori un po’ anziani, quindi presumibilmente più maturi ed esperti della vita, potrebbero addirittura rappresentare una risorsa per i processi educativi.
Ma poi quel figlio rischia di rimanere solo.
Allora cerchiamo nuove forme di fraternità. Inventiamo alleanze tra genitori. Proviamo a rendere più solide e stabile le amicizie tra i piccoli. Se non è possibile creare per via naturale la società fraterna, ricostruiamola in altro modo con intelligenza e generosità.
Separazioni e divorzi. Quindi famiglie monogenitoriali, attraversate da lacerazioni e incomprensioni. C’è una strategia da suggerire ai sempre più numerosi genitori soli?
Devono convincersi che le dimissioni da genitori non si possono mai dare. Educare vivendo separati è più difficile, certo, ma non impossibile. Dipende dalla sensibilità e dall’impegno dei genitori. Che va indirizzato soprattutto a tenere quanto più lieve possibile il tasso di conflittualità.
Padri assenti. Un allarme ricorrente. È emerso che su dieci genitori che seguono i figli a scuola, nove sono madri. Quanto pesa questa paternità evanescente?
Tantissimo. All’interno di ogni famiglia ci devono essere due figure di riferimento con ruoli e caratteristiche precise, da non confondere mai. Sia i bambini che le bambine hanno bisogno di un padre per costruire, ciascuno dal proprio punto di vista e secondo percorsi specifici, la propria identità psicologica e relazionale. Per questo i padri che non si coinvolgono nel processi educativi rischiano di creare danni molto gravi. Ho però fiducia nei padri più giovani che rifiutano gli schemi della tradizione e scelgono l’impegno a tutto campo. Sì, è giusto sperare.
(Luciano Moia avvenire 10 dicembre 2010, pag. 6)


Il forum famiglie: un appuntamento da non vanificare

Si è chiusa il 10 novembre a Milano la Conferenza nazionale della Famiglia. Un’occasione unica per parlare di famiglia e di politiche per la famiglia. Un’occasione che grazie soprattutto all’azione del Forum ed alla buona volontà degli organizzatori e partecipanti non è stata distratta rispetto ai contenuti ed alle cose concrete.
Il Forum crede in questa Conferenza ed in quanto potrà significare per le famiglie italiane. Per questo è arrivato a Milano con una serie di proposte che sono state affidate e puntualmente raccolte dalla Conferenza.
A conclusione di questi tre giorni di intenso lavoro chiediamo che si proceda rapidamente alla stesura del Piano nazionale di politiche per la famiglia a partire dalla bozza elaborata dal Comitato scientifico della Conferenza e integrata dalle molte proposte emerse nel corso dei lavori.
Il Piano, per essere credibile, ha però bisogno anche che siano definiti tempi certi, risorse certe per l’attuazione di quanto previsto pur nella gradualità del medio periodo e chiarezza nelle priorità degli obiettivi.
documenti sulla conferenza in www.forumfamiglie.org/eventi.php?&evento=10877

FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Il lavoro comincia adesso
La Conferenza della famiglia chiude con alcuni punti fermi e qualche domanda.
1) La famiglia entra prepotentemente tra le priorità dell’Agenda del Paese, come capitale sociale. La famiglia non è un costo, sulla famiglia si investe con la certezza che lei restituirà con gli interessi quanto si investe.
2) La riforma del fisco in chiave familiare è urgente. La proposta del Forum delle associazioni familiari di un FattoreFamiglia, molto apprezzata in questi giorni è un modello innovativo su cui chiediamo un tempestivo dibattito e scelte coerenti in tempi brevi.
3) Le politiche specificatamente familiari devono essere mirate alla promozione dei nuclei socialmente responsabili. La famiglia dell’art. 29 della Costituzione consente di garantire e promuovere la Cittadinanza attiva delle famiglie.
4) Il welfare del nostro Paese può diventare un modello innovativo, basato sulle relazioni familiari e insieme capace di garantire i diritti delle persone.
Ed infine: due richieste urgenti ed una sfida.
a) Rifinanziare il Fondo per la non autosufficienza, sostenendo così in modo mirato le famiglie con carichi assistenziali;
b) una rapida definizione a livello nazionale dei livelli essenziali delle prestazioni, per sostenere il federalismo fiscale con scelte nazionali di garanzia.
A conclusione di questi tre giorni di intenso lavoro chiediamo che si proceda rapidamente alla stesura del Piano nazionale di politiche per la famiglia a partire dalla bozza elaborata dal Comitato scientifico della Conferenza e dal Forum largamente condivisa, integrata dalle molte proposte emerse nel corso dei lavori.
Il Piano, per essere credibile, ha però bisogno anche che siano definiti tempi certi, risorse certe per l’attuazione di quanto previsto, pur nella gradualità del medio periodo (3-5 anni) e chiarezza nelle priorità degli obiettivi. Su tutti questi temi il Forum sarà presente nel dibattito pubblico nazionale e locale.
Comunicato stampa 10 novembre 2010
www.forumfamiglie.org/comunicati.php

LE PROPOSTE DEL FORUM.
Il Forum delle Associazioni Familiari ha presentato alla Conferenza nazionale per la famiglia uno stando, presentando un fascicolo di proposte relative ai 10 gruppi di lavoro.
www.forumfamiglie.org/allegati/documento_472.pdf
Il testo relativo ai consultori familiari
la riforma dei consultori
Appare urgente una rivisitazione della Legge 405/75 “Istituzione dei Consultori familiari”, finalizzata a rendere il Consultorio Familiare concreto ed efficace strumento di promozione della famiglia e di tutela della maternità e della vita umana fin dal concepimento.
Obiettivi operativi
Rispetto alla riforma del sistema consultoriale, si segnalano i seguenti punti qualificanti:
1. Ridefinizione del profilo del servizio consultoriale. Con l’attribuzione delle competenze sui Consultori familiari alle Regioni ed alla Sanità, in questi anni si è assistito ad una progressiva sanitarizzazione dei consultori, il cui ambito d’azione viene spesso definito dal vecchio Progetto Obiettivo Materno Infantile, approvato nel lontano 2000. E’ urgente ridefinire la pluralità delle professionalità necessarie in consultorio e la interdisciplinarietà delle prestazioni, orientate a sostenere la famiglia ed il singolo nelle diverse fasi del ciclo di vita familiare e nelle varie criticità: separazioni coniugali (cui offrire proposte di mediazione familiare e gruppi di parola per i minori), divorzi, malattie e lutti, percorsi di adozione o affido.
2. Istituzione di Cabina di Regia per il coordinamento e l’integrazione socio-sanitaria dei Servizi. In tale Cabina, interministeriale, devono essere presenti delegati del ministero della Salute e del Welfare, nonché referenti dei Consultori Asl e del privato sociale, per l’opportuno coordinamento, per l’apprestamento di percorsi formativi e di scambio di buone prassi, nell’ottica di una concreta applicazione del principio di sussidiarietà.
3. Sussidiarietà e servizio socio-sanitario integrato. In tutte le Regioni è necessario superare una concezione di pubblico che coincida unicamente con ciò che è statale. In particolare, occorre superare l’ormai obsoleta distinzione tra consultori pubblici e consultori “privati”, retti da organismi del terzo settore, per andare verso un sistema di accreditamento che riconosca una rete pubblica di servizi consultoriali composta da enti pubblici, privati e non profit, su standard di qualità coprogettati e rigorosamente monitorati dalla pubblica amministrazione.
4. Consultori familiari e legge 194/1978. La legge 194/1978 riserva al Consultorio familiare un ruolo centrale nella assistenza alla famiglia ed alla donna gravida in difficoltà, in particolar modo nella prevenzione post-concezionale delle Ivg. In realtà, in questi anni si è assistito ad un progressivo decadimento delle funzioni consultoriali previste dagli artt. 1, 2 e 5 della stessa legge. E’ urgente ri-assicurare alle Istituzioni centrali e regionali il controllo delle procedure relative all’effettivo ed efficace svolgimento del colloquio con la donna che richiede l’Ivg, ed alla messa in atto di interventi che, secondo il disposto di legge, le consentano di rimuovere le cause che ne determinano la richiesta, anche mediante l’attivo coinvolgimento dei servizi sociali comunali e delle organizzazioni di volontariato presenti sul territorio. A tal fine suggeriamo l’adozione di un apposito modulo, da trasmettere ai competenti organi regionali, su cui gli operatori consultoriali possano registrare l’avvenuta richiesta di Ivg, i motivi che la determinano e gli interventi posti in essere per rimuoverli.
5. La collaborazione fra Consultori ed associazioni. In un nuovo welfare plurale e coordinato, sussidiario e solidale, che metta al centro la persona e la famiglia, chiediamo che siano promosse e sostenute forme dirette di raccordo, integrazione e collaborazione tra la rete formale del servizio pubblico e la rete informale dell’associazionismo familiare e del volontariato, anche attraverso procedure di accreditamento sociale, in ossequio al disposto dall’art. 2 della legge 194/1978, per il sostegno pre e post-natale della gestante in difficoltà, nella prevenzione della Ivg e della sua reiterazione, soprattutto fra le immigrate. Tale collaborazione può e deve essere estesa anche agli obiettivi ed alla operatività territoriale dei consultori, nel rispetto della partecipazione e gestione sociale dei consultori, già prevista dalla legge 405/75, anche attraverso forme di accreditamento, in un contesto in cui le Istituzioni assumano sempre più compiti di indirizzo, coordinamento e verifica e minori compiti di gestione.

Il Forum ha presentato una nuova proposta di fisco family frendly
Nel dibattito sulla riforma del sistema fiscale nel nostro Paese la vertenza famiglia deve assumere rilevanza centrale: tutti riconoscono che l’attuale sistema fiscale è iniquo verso le famiglie con figli, tutti riconoscono che occorrono interventi di sostegno alla natalità e alla responsabilità familiare, tutti riconoscono che la famiglia è una risorsa insostituibile di coesione sociale, fiducia e sviluppo economico per il “sistema Italia”.
Il Forum delle associazioni familiari su questo punto ha sostenuto fin dall’inizio la necessità di un doppio riconoscimento: da un lato la centralità della famiglia come istituzione di bene comune socialmente rilevante (art. 29 della Costituzione, “società naturale fondata sul matrimonio”), dall’altro il necessario sostegno ai suoi compiti e funzioni sociali, in primo luogo attraverso la leva fiscale, ma anche con azioni di tutela della vita, di sostegno alle responsabilità educative, di conciliazione famiglia-lavoro, di promozione per le giovani coppie.
In questa prospettiva il Forum delle associazioni familiari lancia oggi una nuova proposta di riforma del sistema fiscale, il “fattore famiglia”, capace di costruire un sistema finalmente equo per le famiglie con carichi familiari, anche in questo caso a partire dal dettato costituzionale (artt. 30 e 31, ma soprattutto l’art. 53, “tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”) e capace di valorizzare il grande dibattito sul quoziente familiare oggi in corso, superandone i limiti.
Il “fattore famiglia” modifica l’attuale sistema facendo sì che a parità di reddito, una famiglia con tre figli paghi molte meno tasse rispetto ad una famiglia che non ha figli; esso può inoltre riconoscere altri fattori di difficoltà familiare (quale, ad esempio, presenza di disabili), sostenendo così la famiglia nei suoi compiti di cura.
Dal punto di vista tecnico il “fattore famiglia” si basa sui seguenti elementi:
1. introduce una ”no tax area familiare” determinata dai costi di mantenimento ed accrescimento dei singoli componenti del nucleo familiare; più persone sono presenti nel nucleo, maggiore sarà il reddito non sottoposto a tassazione; La No tax area si calcola moltiplicando il costo di mantenimento del dichiarante per un coefficiente dedotto da una scala di equivalenza definita dal numero dei componenti e dalle problematiche del nucleo familiare;
2. adotta il criterio della quota fissa: la quota di reddito sarà esente dalla tassazione dell’aliquota più bassa (oggi il 23%). In tal modo si garantisce equità di vantaggio tra redditi bassi, medi e alti (punto critico del “quoziente familiare” nelle sue diverse versioni);
3. adotta criteri oggettivi e aggiornabili anno per anno per misurare la no tax area: in particolare adotta la soglia di povertà misurata dall’Istat annualmente (circa 7.000 euro per persona sola, oggi);
4. usa un “coefficiente familiare” progressivo rispetto al numero di figli: in altre parole il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto (oltre il doppio di quanto faccia oggi ad esempio l’ISEE).
5. Fissa il reddito familiare a livello nazionale, in modo universalistico, e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale e possibilità di intervento differenziato tra Regioni e negli enti locali.
www.forumfamiglie.org/tema/Fisco//allegati/documento_467.pdf