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Povera famiglia tutti ne parlano ma fatti pochi

Povera famiglia tutti ne parlano ma fatti pochi

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Di : Francesco Anfossi
Domenica 29 Agosto 2010
In Italia la politica familiare è l’orfanella d’Europa. Lo sapevamo già, ma ce lo confermano i dati sulla situazione del Paese del ministero dell’Economia. Per famiglia e maternità si spende l’1,4% del Pil, contro il 3,7 della Danimarca, il 3 della Svezia, il 2,8 della Germania e il 2,5 per cento della Francia. Siamo gli ultimi insieme a Spagna e Portogallo. Per quanto riguarda invece la quota di spesa nell’ambito di tutte le prestazioni di protezione sociale, l’Italia tra i 27 Paesi europei precede solo la Polonia. E così da sempre e il guaio è che la situazione non accenna a migliorare, nonostante le promesse dei politici, inversamente proporzionali alla realtà dei fatti. Del resto abbiamo di meglio da fare, non possiamo certo preoccuparci del futuro, anche se è lì che andremo ad abitare.
Naturalmente le dichiarazioni di intenti sono tante. Praticamente tutti i partiti promettono un fisco a misura di famiglia, Lega compresa (è stato lo stesso ministro Calderoli ad annunciare proprio a questo giornale che il criterio familiare sarà alla base del federalismo fiscale). E anche gli altri politici, tutti lesti a partecipare al family day o a promuovere conferenze sulla famiglia. Ma al momento di elaborare leggi e a votarle, chissà come mai, la famiglia sparisce. Quando infatti sulle politiche familiari si va alla resa dei conti, la situazione è ben diversa. La verità è che la politica italiana non ha mai messo al centro i figli. Non ci sono mai stati interventi strutturali: essere single o avere un nucleo numeroso per il fisco italiano è la stessa cosa, l’imponibile resta uguale, il denominatore dell’imponibile è sempre uno. Al massimo si va avanti a colpi di bonus. Il termine «assegno familiare» è un’invenzione italica forse per pagare i rimorsi, con un assegno, di una politica familiare che non c’è. Si sono prodotti interventi sporadici e precari, come il bonus bebè, che non basta nemmeno a comprare i pannolini per un anno ed è servito più a innescare polemiche contro gli extracomunitari che altro. Se prendiamo l’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, scopriamo che per ottenere il bonus sociale di 200 euro il single non deve superare i 15 mila euro di reddito mentre la famiglia con tre componenti può salire a un tetto di 17 mila per ottenere un bonus di 450 euro. Che significa 50 euro in meno a componente rispetto al single.

Ben diversa è la situazione degli altri Paesi. La Francia, grazie alle sue politiche di sostegno familiare, è riuscita a raddoppiare la media dei figli, che è di due per famiglia. Ma lì le mamme, oltre a congedi familiari, contratti part time molto più variegati e flessibili, sgravi fiscali, scuole materne aperte dodici mesi su dodici, possono contare persino su sconti consistenti su beni e servizi riguardanti la maternità e l’assistenza al bambino.
I politici italiani distribuiscono in spiaggia volantini sul quoziente familiare, che divide l’imponibile per i componenti del nucleo familiare (e che in Francia è una realtà ben consolidata), tanto sbandierato ad ogni convention sulla famiglia. Ma al momento di fare delle scelte, si dice che costa troppo allo Stato. Ma se nemmeno si incomincia su quella strada, magari cominciando col togliere l’Iva dai prodotti per la maternità, come i pannolini, il latte in polvere, come si fa ad arrivare al traguardo? Favorire le nascite significa favorire il futuro di una nazione. In compenso spendiamo più di tutti in Europa per invalidità, vecchiaia e pensioni ai superstiti. L’Italia è un Paese per vecchi, ma solo per vecchi, tutto il resto non conta. Paga. E magari, quando si tratta di mettere al mondo un figlio si fa due conti in tasca e ci ripensa.
Eco di Bergamo