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Il terremoto dell’Aquila raccontato dalla famiglia Bettini

Il terremoto dell’Aquila raccontato dalla famiglia Bettini

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Da quella notte del 6 aprile la nostra vita è cambiata e non è più stata la stessa. Fino ad allora il nostro piccolo paese ( S. Panfilo D’Ocre – 13km da L’Aquila) era stato “risparmiato” da quelle scosse che, in qualche modo, avevano preannunciato il disastro del sisma. Infatti ci sentivamo abbastanza tranquilli rispetto agli aquilani, sottoposti da mesi a quello sciame sismico così poco rassicurante, così a lungo sottovalutato dagli esperti. Invece…
La prima avvisaglia c’è stata alle 22.50, un boato e una leggera scossa a cui non abbiamo dato troppa importanza: perché questa avrebbe dovuto essere diversa dalle precedenti? Sembrava un’eventualità davvero remota che dovesse succedere qualcosa di serio… Poi alle 3.32 (quella dell’1 non l’abbiamo avvertita), trentasette secondi senza potersi muovere, o meglio, senza potersi alzare dal letto, perché il letto si muoveva eccome, e si muoveva anche la casa, e quel rumore di muratura che scricchiola credo rimarrà nella nostra memoria per sempre. La corrente era andata via e così, passato il peggio, per raggiungere i nostri cinque figli, il nostro unico pensiero in quei trentasette interminabili secondi, ho attraversato casa al buio senza sapere cosa fosse realmente successo. Intanto la casa continuava a tremare scossa dopo scossa e mio marito (che per fortuna era ancora in casa perché sarebbe ripartito quel lunedì mattina presto) che, mettendo i piedi per terra aveva sentito i calcinacci sul pavimento, ha avuto un momento di angoscia nel rendersi conto, sempre al buio, che qualche danno c’era stato davvero..!
Forse un quarto d’ora dopo è tornata la luce, e nel frattempo mio marito aveva acceso le candele e, con tanta ansia e pena, avevamo sistemato i figli nel letto inferiore dei letti a castello, mentre tutto continuava a tremare di tanto in tanto…
Il tempo di vestirci, e verso le quattro siamo usciti da quella casa che per vent’anni era stata la nostra casa, con la consapevolezza di non poterci o volerci tornare.
Per due giorni e mezzo non ci siamo potuti lavare (anche solamente la faccia..!); rientravamo a casa solo per “fare pipì” (e sempre di corsa perché la terra tremava in continuazione), e si mangiava nel tendone allestito dal comune, insieme a tutti gli altri che come noi erano fuori casa (i soccorsi e quant’ altro sono arrivati il martedì pomeriggio). Per i due giorni e mezzo successivi il nostro unico rifugio, giorno e notte, è stata la macchina nella quale abbiamo condiviso ciò che, ringraziando Dio, avevamo salvato: noi stessi, la nostra famiglia.
Poi, l’8 pomeriggio siamo partiti alla volta di Orte, a casa di mio fratello che aveva deciso di ospitarci (otto persone in tutto, compresa mia madre). In quel momento è sembrata la soluzione migliore: d’altronde l’alternativa era la costa, e l’idea di rimanere in “famiglia” ci dava la sensazione di un distacco meno disagevole, considerando che comunque l’importante era andarsene lontano da quel continuo tremare (persino in macchina si sentiva oscillare tutto!). E così abbiamo lasciato il nostro “mondo”, un po’ di noi stessi, e con tanta indicibile incertezza nel futuro, per noi e per i nostri figli, siamo andati incontro ad un periodo che ci è sembrato interminabile…
Per quattro lunghi mesi siamo stati a casa di mio fratello portandoci dietro, chi più e chi meno, il terremoto. Nelle prime settimane ci sembrava di sentirlo ancora, soprattutto di notte; abbiamo ricevuto parole di comprensione da parte di conoscenti ma credo che chi non ha vissuto sulla propria pelle questa esperienza, non può capire, nella maniera più assoluta! Non c’è spazio per la paura e lo stupore ti lascia inebetito, senza vedere un futuro, una soluzione al problema, che pur non avendolo davanti agli occhi ti perseguita nei pensieri (e nei sogni), e nella mente c’è tanta, tanta confusione. E l’unica cosa che ti riesce di fare è aspettare che qualcosa torni a cambiare le cose.
Intanto mio marito era ripartito per Bergamo (ringraziando il Signore, lavorando fuori, lo stipendio era garantito, almeno quello!) e per noi cominciava la “grande attesa”… E’ vero, stavamo lontani dal terremoto, ma piano piano, ci siamo resi conto di essere tagliati fuori, fuori dal nostro ambiante, fuori dagli eventi perché comunque il tempo si era fermato solo per noi ma non per il resto che, comunque, ci riguardava. L’unico contatto era via telefono: con una cara amica di famiglia, rimasta alla tendopoli (“con lei” abbiamo vissuto i disagi e le tante problematiche del caso) e con il sindaco del nostro comune. Stando così lontano ( 200km circa) l’unico giorno in cui potevamo pensare di “fare un salto” a casa era il sabato: siamo partiti con una valigia e qualche piumone per il letto, e man mano che il tempo passava, avevamo bisogno di qualcos’ altro (vestiti e non solo), tanto per ricreare un po’ il nostro ambiente. Così uno di quei sabati abbiamo scoperto, a nostre spese, che il comune di Ocre, il sabato e la domenica è chiuso (l’orario al pubblico, per altro, non è cambiato da quello di sempre! Come se nulla fosse successo… possibile?)! Da allora ci siamo sentiti letteralmente “abbandonati” dalle istituzioni… Così è cominciato il “calvario”…
Contattando il sindaco via telefono, mi sono sentita garantire il MAP (modello abitativo provvisorio) e abbiamo pensato: per fortuna almeno a settembre, male che vada, possiamo tornare al paese! E intanto per poter avere la verifica della Protezione Civile a casa nostra, di sabato (quando appunto poteva essere presente mio marito), telefonate su telefonate; grazie poi ad un paesano che collaborava con la protezione civile siamo riusciti a farci inserire in lista per un sabato mattina… Così abbiamo scoperto che la nostra casa è classificata “C” (in parte inagibile)… Per noi era del tutto inagibile! Ancora e sempre più con la sensazione di essere lasciati a noi stessi, avevamo comunque la necessità personale, nostra e dei figli, di “ritrovare” noi stessi e le nostre perdute abitudini quotidiane, ma il tempo continuava a passare senza che noi riuscissimo ad ottenere risultati.
Poi la notizia: in una delle mie telefonate, il sindaco mi ha detto che la situazione era cambiata e che, purtroppo, non ci poteva garantire il MAP; per legge le “casette” spettano solo alla “E” e alla “F”, quindi per noi non c’è posto..! Inoltre c’erano pressioni dal comune de L’Aquila che, oberato di richieste, spingeva gli “aventi diritto” verso i comuni limitrofi, facendoci scivolare, per così dire, ultimi in classifica! Il che significa, da quello che ho imparato a capire “non ci pensate nemmeno!”. Visto che avevamo ventilato l’ipotesi, per poterci riavvicinare prima di settembre, di andare in affitto da qualche parte, il sindaco, in “sostituzione” alle casette, mi ha dato il numero di telefono del vicesindaco di Rocca Di Mezzo (15 km da S. Panfilo). Di nuovo, e sempre più forte l’impressione di essere tagliati fuori e per riuscire a ritrovare una nostra vita l’unico modo era quello di sbrigarcela da soli! Abbiamo tentato in quel periodo diverse strade: la costa, S. panfilo (dove qualcuno “cominciava” a pensare di mettere a disposizione le case vuote ed agibili) e Rocca Di Mezzo. Non abbiamo lasciato nulla di intentato, con il pensiero che le vie del Signore sono infinite, e perciò la strada giusta per noi sarebbe stata quella che avremmo potuto percorrere fino in fondo.
In tutta questa faccenda siamo sempre stati consapevoli del fatto di essere stati fortunati, malgrado tutto: tutti sani, anche se con tanta sofferenza interiore (ognuno a modo suo) per i tanti risvolti legati alla lontananza dalla casa, dalle amicizie ( per i figli), e comunque dal nostro ambiente; per la mancanza di indipendenza, per l’esperienza subita che, proprio perché lontani, non abbiamo avuto modo di affrontare con il supporto psicologico che, invece, chi era rimasto alla tendopoli so che ha avuto.
Comunque, se questo terremoto ci ha insegnato qualcosa, è che non siamo noi gli artefici del nostro destino, che se le cose devono andare in un certo modo non c’è verso di poterle cambiare, e quindi, visto che c’è “chi” fa la nostra storia, lasciamogliela fare! Anche perché tra tante cose negative, questo disastro ha portato qualcosa di buono (insegnamenti a parte); ad esempio due dei nostri figli, la maggiore e il maschio più grande, hanno potuto trascorrere due settimane di “vacanze” offerte una dall’Istituto Alberghiero di Locri, e l’altro dal comune di Sinnai in Sardegna. Esperienze che si sono rivelate inedite e positive.
Quindi sempre il destino, o Chiunque ci abbia messo la mano, ci ha concesso, verso metà luglio, di avere un appuntamento a Rocca Di Mezzo per una casa (che per noi, otto persone, non è facile da trovare). Arrivati al comune (di sabato mattina!), dopo una lunga attesa, il vicesindaco non ritrovava i documenti dell’unica casa che poteva essere adatta per la nostra numerosa famiglia; in quel momento è arrivato un signore che portava i documenti per mettere a disposizione la sua casa alla Protezione Civile: il vicesindaco ci ha subito presentati, dicendo che questa faceva al caso nostro! Io e mio marito abbiamo avuto lo stesso pensiero: il destino, “qualcosa” stava facendo la nostra storia… Beh, adesso è già un mese che abitiamo in questa vecchia casa di legno che, anche se è situata fuori dal paese, appollaiata su una rupe, in mezzo ad una pineta, è grande ed accogliente.
Per la verità, c’è stato un momento in cui abbiamo temuto che anche questa strada fosse chiusa, ma dopo due settimane circa di “ansia” siamo riusciti a firmare il contratto (sabato 1 agosto) con l’inevitabile “deficienza” da parte del comune di Ocre che, pur essendo stato avvisato per tempo, è riuscito a non farci avere i documenti per quel giorno…
Ma, finalmente, a dispetto delle avversità, il 7 agosto ci siamo trasferiti in questa grande casa che ci ha permesso di ritrovare un po’ di noi stessi, della nostra identità di famiglia, oltre che personale ed individuale.
I problemi non sono finiti, anzi, credo che debbano ancora cominciare pervia della ristrutturazione e messa in sicurezza della casa a S. panfilo, per l’inverno imminente (siamo a 1200m!), per l’organizzazione delle scuole e non solo, per il terremoto che ogni tanto si fa sentire (fatto non trascurabile, ora a Rocca Di Mezzo siamo in mezzo a ben tre faglie, e ovunque sia l’epicentro… Lo avvertiamo anche più volte al giorno!); siamo stati quattro mesi senza sentirlo e il tornare dove tutto è iniziato (o finito) ci metteva un po’ di ansia, ma abbiamo visto che a forza di cose ci si abitua anche a quello.
E perciò possiamo ringraziare Dio, che fa la nostra storia, e che, pur non risparmiandoci mai problemi e pensieri, ci aiuta comunque ad affrontarli e a superarli, con la consapevolezza che la Provvidenza non ci abbandona mai, nonostante tutto…

Testimonianza di mamma Katia riportata da Alice, famiglia Bettini.