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Diario di maestra numerosa

Diario di maestra numerosa

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La campanella quest’anno non suonerà.
E, forse, nemmeno vorremmo che suonasse.
Perché la scuola è stata una compagnia meravigliosa nei mesi della pandemia e conseguente quarantena e, ora, abbiamo quasi il timore di affrontare l’ipotetico ritorno alla normalità, sentendoci abbandonati a noi stessi. La scuola ci mancherà nei mesi estivi, per la prima volta ci mancherà anche sotto l’afa dei 40 gradi che a breve ci inonderà.
Finalmente, tutti, ma davvero tutti, hanno riconosciuto, riconoscono e (speriamo) continueranno a riconoscere il valore della scuola.
Valore civile e sociale, educativo e istruttivo, affettivo e relazionale.
Un valore che ha sempre fatto così parte della nostra quotidianità da essere non solo considerato scontato, ma, anche e addirittura, sottovalutato.
E c’è voluta una pandemia per riscoprire un tesoro che ha sempre fatto parte dell’esistenza. Se non altro, questi drammatici mesi hanno dimostrato con evidenza assoluta quanto sia importante la vita a scuola con compagni e maestri.
Maestri e maestre, insegnanti in genere, che si sono rimboccati le maniche e hanno lavorato senza sosta: paradossalmente, pur non uscendo di casa, hanno triplicato le ore di lavoro quotidiane. Abbiamo scelto di farlo, non ce l’ha imposto nessuno.
Perché è vero che è il nostro lavoro e percepiamo lo stipendio il 23 di ogni mese, ma è soprattutto vero che se lo svolgiamo così è solo per passione autentica, perché amiamo quello che facciamo e non potremmo farlo in nessun altro modo.
È questo che ci permette di svolgerlo con gratificazione e gratitudine, riconoscenza e, talvolta, riconoscimento, con amore infinito verso i propri alunni che altro non sono che i figli di tutti. Ecco perché la componente docente della scuola ha capito subito, dalle primissime settimane di emergenza, che dovevamo garantire questo servizio essenziale e prioritario, senza tirarci indietro. Era necessario, prima di tutto, anche offrire un esempio. E mi piace parlare di insegnanti in trincea, senza nulla togliere, anzi, a chi in trincea c’era davvero rischiando la propria vita negli ospedali. Ma di noi maestre, insegnanti, educatori, professori… non ne ha parlato quasi nessuno. E non è giusto.
Nel giro di 72 ore abbiamo imparato ad utilizzare strumenti tecnologici quasi sconosciuti, scontrandoci con parole fino a quel momento aleatorie: classroom, piattaforme educative, Gsuite, Dad, connessione (sapevamo cosa significasse ma non che potesse decidere la riuscita o meno di una lezione sulla punteggiatura o sui numeri decimali).
E, se è sempre vero che la salute viene prima di tutto, è inconfutabile anche che il benessere non è semplicemente quello fisico. Non è sufficiente essere sfebbrati per sentirsi in forma, tanto più se si hanno 5, 8, 12, 15 anni. E’ apparso subito chiaro che chi rischiava di rimetterci maggiormente erano i nostri bambini che si sono ritrovati, senza rendersene nemmeno conto, sul divano di casa con davanti dodici ore di apatia quotidiana. Solo la scuola poteva aiutare a risolvere questa situazione e c’è, più o meno, riuscita. Ogni insegnante ha fatto la sua parte, come ha potuto, come è stato in grado, facendo i conti con le proprie necessità familiari e con quel poco che gli è stato spiegato spesso dagli stessi colleghi, approdo sicuro e vera forza reciproca: all’interno di ogni team, dove non è arrivato uno, è arrivato l’altro e, insieme, nella maggior parte dei casi, abbiamo fatto la differenza. Ci siamo attrezzati ognuno per conto proprio ma poi abbiamo condiviso competenze, idee, lezioni, programmazioni riviste e riadattate digitalmente.
Ci siamo incontrati noi per primi in videolezione, ridendo per la tuta che non ci eravamo mai viste addosso e i capelli senza messa in piega. Ci siamo scelti e uniti ancora di più, abbiamo cercato di essere all’ altezza della situazione e abbiamo consolidato i rapporti con i bambini, entusiasti da subito. Abbiamo cercato di ritrovare un legame, che si era allentato, con le famiglie, inizialmente scettiche per non dire scocciate, ma poi grate e riconoscenti. La forza di volontà dei piccoli, protagonisti indiscussi e vincitori del coronavirus, la loro tenacia nel collegarsi quotidianamente anche nelle giornate di sole, ha convinto gli stessi genitori della validità del rapporto con questa strana e discussa categoria di insegnanti.
DAVANTI ALL’IMPROVVISO VUOTO DELLE PROPRIE GIORNATE, GLI STUDENTI DI OGNI ETA’ HANNO SCELTO LA SCUOLA, nella consapevolezza, nella certezza, nella libertà data ad ognuno di loro dalla rispettiva età.
E questo è stato, è e sarà, anche quando torneremo alla vita di sempre, il premio per ogni insegnante che è, sì, quello che stufa con le sue paranoie, che pretende cose inascoltabili, che dà le regole e pretende addirittura che si rispettino, che elargisce brutti voti se c’è bisogno di far prendere coscienza di una certa situazione, che sembra goda a scrivere una nota quando sarebbe ben più comodo fare finta di niente, ma è anche quello che, se non ci fosse, andrebbe senz’altro inventato.
Sembra che sia stato capito, speriamo non venga dimenticato.
Che venga ricordato o no, tutto sommato, a noi, per una questione d’abitudine, cambierà poco e, nel frattempo, continuiamo a sognare un abbraccio reale e non un buongiorno digitale con i nostri bambini che continuiamo comunque a sgridare se hanno i capelli davanti agli occhi, se si presentano con il pigiama in videolezione e se non hanno fatto i compiti. E lo facciamo con infinito Amore.

di Barbara Mondelli