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Campiglo: «L’unica cura? Il quoziente familiare»

Campiglo: «L’unica cura? Il quoziente familiare»

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Il prorettore della
Cattolica: «Per il rilancio serve un piano che riduca il carico fiscale sui nuclei. Le risorse ci sono, è solo una questione di scelte. E poi si deve aiutare chi è indebitato»
DA MILANO PIETRO SACCÒ
Ill governo ha parlato di investimenti nelle infrastrutture, di aiuti alle banche, di sostegno alle imprese. Ha accennato al ritorno dei ‘bonus bebè’ e a possibili prestiti agevolati per le famiglie numerose . Quello che resterà, degli interventi per arginare la crisi annunciati nelle settimane passate, gli italiani lo scopriranno fra pochi giorni, quando l’esecutivo metterà nero su bianco le misure che ha scelto. Luigi Campiglio, prorettore dell’Università Cattolica di Milano, dove insegna politica economica, sa già che l’intervento più importante, l’unico capace di rilanciare davvero a lungo termine la nostra economia, non ci sarà nemmeno stavolta. Pensa al quoziente familiare, Campiglio, una misura «di grande equità e di enorme impatto ». Se ne parla da anni, ma non si concretizza mai.
Intanto l’Eurostat conferma che per la prima volta il sistema dell’area euro è entrato in recessione
La crisi è grande, il fatto che l’economia europea sia in calo per il secondo trimestre consecutivo è un problema ancora contenuto. Perché il pericolo vero, di cui pochi hanno il coraggio di parlare, è che la recessione possa durare molto, anche un paio d’anni.
Quale strategia suggerisce?
Il governo deve prima di tutto riportare tranquillità. È indispensabile rimuovere l’incertezza, che grava come una spada di Damocle su tutto il sistema. C’è sfiducia tra le banche, tra le imprese, tra le famiglie . Questa è una crisi che nasce dal debito, ed è dai debiti che si deve partire. Serve ossigeno per le famiglie e per le piccole imprese troppo indebitate. Il progetto di aiuto governativo per le banche va in questa direzione, ma va bene solo a metà. Il rischio è che gli istituti di credito parcheggino la liquidità in arrivo nella Bce, invece di reinvestirla nel sistema delle famiglie e delle imprese, soprattutto le aziende piccole, che più delle altre soffrono la stretta del credito. Sarebbe utile anche dare una mano alle famiglie indebitate, magari con un sistema di rinvio dei pagamenti delle rate di acquisti e mutui.
Questo basterebbe a riportare la fiducia?
No, il secondo passo sarebbe un rinforzo sostanzioso della rete di protezione sociale, dato che c’è da attendersi un deciso aumento della disoccupazione. Quindi occorre una riduzione della pressione fiscale sulle famiglie .
Qualcosa come la detassazione delle tredicesime chieste dai sindacati o i bonus bebè proposti dal governo?
Quelle sono misure che lasciano il tempo che trovano. Sento parlare anche dei bonus sulle bollette del gas. Le famiglie sono alla canna del gas e loro gli tagliano la bolletta. Farebbe ridere, se la situazione non fosse drammatica. Da anni tutti parlano di aiutare le famiglie , perché è riconosciuto che sono loro, e non i singoli individui, l’unità fondamentale di decisione economica, il fattore in grado di spingere la crescita. La verità è che da noi non esiste una politica economica che faccia perno sulle famiglie . Il quoziente familiare, come in Francia, è la misura fondamentale, equa e intrensicamente democratica. Suddividere il carico fiscale in base al numero dei componenti della famiglia è anche un’operazione molto chiara e semplice, ed è l’unica che consente di generare nella popolazione un clima di fiducia di lungo periodo.
Si dice che i soldi per un intervento simile non ci siano…
I soldi ci sono, ma occorre fare delle scelte. Il governo adesso preferisce politiche keynesiane
di intervento pubblico. Sedici miliardi per le infrastrutture. Ogni volta che un esecutivo si trova a scegliere tra sostenere le famiglie con figli o altre politiche economiche, sceglie sempre la seconda via. Perché, purtroppo, ancora oggi le famiglie non riescono a fare sentire il loro peso politico. Sono il soggetto più importante, eppure sono sempre le prime ad essere sacrificate.
I capi di Stato delle maggiori potenze economiche mondiali in questo momento si stanno per incontrare per trovare assieme la cura giusta. Pensa che ci riusciranno?
Non mi faccio troppe illusioni, anche per scaramanzia. È successo ben poche volte che i capi politici del pianeta abbiano dimostrato di essere capaci di condividere davvero una visione dell’economia e della politica. Sarebbe bello che il vertice di Washington non fosse solo un momento simbolico, ma un’occasione per mettere a punto un concreto piano operativo per ricostruire un ordine economico mondiale. Una nuova ‘Bretton Woods’, come dicono in tanti. Vedremo come andrà. Per le politiche monetarie delle banche centrali ormai è rimasto poco spazio d’azione. Adesso devono agire i singoli stati nazionali, fantasmi che davamo per morti e che invece la crisi ha fatto riemerge all’improvviso. Sono i singoli governi, ora, ad avere la responsabilità di tutelare i loro cittadini.
Avvenire