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Noi e i figli, con ironia: Tempo di buoni propositi

Noi e i figli, con ironia: Tempo di buoni propositi

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A casa nostra i bambini sono cresciuti dagli anni in cui ho scritto “Io ti amoro”. Alla famiglia si è aggiunto (ormai da tre anni, a dir la verità,) un nuovo componente e con quattro figli crediamo proprio di essere al completo, malgrado abbia sempre pensato che il numero perfetto non sia quattro (numero pari? Troppo banale!) ma almeno cinque.
Conosco una signora che ne ha per l’appunto cinque e, quando le è stato chiesto se pensava di scodellare anche il sesto, ha risposto che, sinceramente, il numero sei le faceva un po’ impressione, ma l’attuale cinque le sembrava l’ideale.
Sono d’accordo. Anche perché, nel mio caso, viene spontaneo chiedermi: con chi giocherà nel tempo l’ultimogenita? I fratelli sono grandi: alla sua nascita Giacomo aveva tredici anni e al limite può considerarsi un secondo papà, Mattia ne aveva undici ed è un eccellente zietto. Luca aveva sette anni e non è nemmeno arrivato ad escogitare quello che Mattia aveva ideato per lui quando alla veneranda età di cinque giorni era appena arrivato a casa dal reparto maternità. Per farla breve, Luca in ospedale ci è tornato la sera stessa e pure in ambulanza, perché l’amorevole fratellino, allora quattrenne, gli aveva schiacciato il torace fino a non farlo respirare più per interminabili secondi. La cosa si è risolta con il rapido arrivo del 118 ma preferirei non ripeterla, visto che mi ha procurato parecchi incubi nelle notti successive e, ogni tanto, ancora ci ripenso con orrore.
Tornando alla nostra piccola Emma, ultima gioia di casa, al solo pensiero di coricarmi su qualcosa che assomigliasse vagamente al tappetone dei neonati e passare interminabili ore a incastrare cubi, inserire chiavette in casette musicali o mettere in fila cavalli e maialini imitandone il verso (sempre che me lo ricordassi) mi sentivo male, soprattutto perché, nel frattempo, nessuno avrebbe svolto i vari lavori di casa al posto mio.
L’unica soluzione, visto che al papà conviene lavorare giorno e notte per mantenere la famiglia, poteva essere, appunto, sfornare un pargolo quasi d’età come abbiamo fatto con Giacomo e Mattia che si sono tenuti impegnati vicendevolmente per tutta l’infanzia e, ancora oggi (malgrado calci e insulti vari siano la normalità all’ordine del giorno) si fanno compagnia e si cercano di continuo.
Due dei miei zii paterni, per esempio, hanno generato la bellezza di cinque figli, tutti rigorosamente maschi (anche questo conta) e la loro mamma è sopravvissuta: ha ancora la forza di rispondere al telefono e la capacità di chiacchierare con quella punta di ironica autocommiserazione che non contraddistingue certo le madri di un solo figlio. Uno dei suoi tesori a circa dieci anni incendiò il prato sotto casa ma, insomma, adesso è un adulto normale con la testa sulle spalle né più né meno della totalità della gente.
I miei ragazzi sono sempre faticosissimi, impertinenti, cocciuti e, non di rado, zotici, screanzati e insopportabili, ma comunque splendidi e irrinunciabili. Quando mancano da casa anche per un giorno solo, sento la loro mancanza e capisco quanto io li “amori”. Sono rimasti coccoloni, molto teneri e affettuosi, soprattutto in determinati momenti della giornata come la mattina al risveglio, all’uscita da scuola e all’ora della buonanotte. Spesso e volentieri (circa venti volte al giorno a testa) pretendono l’impossibile e mi fanno sudare sette camicie, vorrei prenderli a sberle e attaccarli al muro. Hanno il fuoco sotto il sedere e non riescono a stare fermi per più di cinque minuti, ma va bene così: se un bambino è vispo e sempre in movimento significa che è sano e felice, l’importante è che non sia iperattivo e non credo sia il loro caso perché se minaccio di mandarli a letto senza cena riescono a smettere di farmi arrabbiare, se assicuro che ritirerò il cellulare anche solo mezza giornata si acquietano immediatamente e se li informo che frequenteranno i centri estivi per tutta l’estate, diventano docili e collaborativi agnellini.
Insomma, mi sembra chiaro che essere genitori oggi è meno semplice e meno scontato di trenta, quaranta anni fa. Diventare genitori non implica solo aspetti poetici e contemplativi (a chi non è capitato di perdersi in adorazione del musetto del proprio bimbo?) ma anche e soprattutto coerenza, severità, autorevolezza, decisioni difficili, pazienza, tenerezza e la giusta dose di umorismo che permette di affrontare le normali situazioni pratiche di una giornata, di una settimana, di un mese, di un anno, dell’infanzia intera dei nostri figli. E chissà che, a inizio anno, nei mesi dei buoni propositi, a qualcuno (non credo a noi..) venga voglia di aumentare la famiglia!