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“Le speranze degli educatori stanno nella famiglia”

“Le speranze degli educatori stanno nella famiglia”

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Si sono svolti a Reggio Emilia i funerali di Don Vittorio Chiari, salesiano bergamasco molto amato nella città emiliana per il suo amore per la vita. Luigi Picchi ci manda un brano di don Vittorio che scopre proprio nelle famiglie numerose le ragioni della speranza

UN DOVEROSO ATTO DI SPERANZA NELLA FAMIGLIA
Dopo aver fatto un atto di fede nell’oratorio, mi pare importante compierne uno di speranza nella famiglia. L’albero cresce alto, se ha profonde radici! Un ragazzo, una ragazza per crescere hanno bisogno di radici profonde, che solo la famiglia che ama può generare. Non solo: a volte mi viene da pensare che l’ideale sia una famiglia numerosa. Pensiero da folli, oggi. Pensieri di preti che, non avendo moglie e figli, non si rendono conto di quello che scrivono e predicano! Io lo scrivo, considerando le difficoltà dell’educare un figlio o una figlia unica, le ansie e le paure che accompagnano il loro crescere, le attese e le delusioni che danno, quando non sono altezza dei sogni materni e paterni. Avvertendo di essere al centro di tante, troppe attenzioni, i figli unici si sentono a disagio nei rapporti con il papà e la mamma, con i nonni e i parenti più o meno vicini o lontani. E’ chiaro che tocca alla coppia decidere il numero dei figli, non al parroco o al prete dell’oratorio. Altrettanto chiaro che non è peccato avere un solo figlio: oggi è già un gesto d’amore, di coraggio solo il progettare di averlo. Che mi provoca a parlare di famiglia numerosa, è un incontro strano, che ho avuto in treno, tornando da Roma. Di fronte a me sedeva una mamma con un bimbo piccolo. Stava leggendo la Bibbia, in inglese. Pensavo che fosse una signora inglese, anglicana o protestante, tanto è raro lo spettacolo di incontrare dei cattolici italiani che leggono la Bibbia in treno. Era invece un’italiana di Sicilia, sposata in America e ritornata al paese natìo per far conoscere alla mamma il suo sestogenito: “Abito in California. Mio marito è insegnante. Casa nostra è visitata spesso dalla gente del quartiere che si meraviglia nel vedere una famiglia con sei figli. Li abbiamo messi al mondo uno dopo l’altro, perché così il più grande aiuta il più piccolo…”. Una specie di “college” o di “tribù”, di oratorio in piccolo, certamente un gruppo con tutte le leggi e i limiti di una vita di gruppo, che è un vantaggio se tenuta insieme dall’amore del papà e alla mamma, che l’hanno voluta, impegnandosi a educare i figli alla convivenza fraterna, alla generosità reciproca, fidandosi della Provvidenza: “Non mi è mai mancata. Basta poi sapere usare bene quello che hai: gli abitini del primo andavano bene per il secondo e quelli del secondo per il terzo…”. Ottimismo o incoscienza? Non l’ho più rivista, ma penso a lei, quando constato le difficoltà che sono aumentate nella vita di gruppo in oratorio e a scuola, dove arrivano bimbi o ragazzi cresciuti “da soli” in famiglia, incapaci di stare con gli altri, alla ricerca di spazi dove pretendono di essere i primi, gli unici e… guai a chi non glieli concede. Esplode allora un’aggressività fisica o verbale difficile da contenere. Le speranze degli educatori e degli insegnanti stanno nella famiglia, che sa educarli in casa, ancor prima che entrino nella scuola, prevenendo i capricci, gli egoismi tipici dell’età, aiutandoli a sperimentare gesti di attenzione, di rispetto degli altri, spesso degli stessi genitori, che non devono diventare né servi né schiavi del figlio o della figlia unica.
http://www.reggionline.com/2011/02/12/don-vittorio-vi-aspetto-tutti-in-paradiso/