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Le famiglie numerose nel rogo di Peschici

Le famiglie numerose nel rogo di Peschici

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Pubblichiamo il racconto di Paolo Puglisi, coinvolto con la sua famiglie nell’incendo del Gargano

L’inferno del fuoco che ha investito Peschici.

Già l’anno scorso Giuseppe e Elena ci avevano offerto la loro roulotte, piazzata nel campeggio della baia da 10 anni. Quest’anno decidiamo di accettare la loro allettante offerta.
Arriviamo alle 10:00. Scendiamo dalla macchina stracarica il tempo di guardarci intorno, Giuseppe e Elena ci presentano un po’ di amici che nel giro di poco diventeranno anche i nostri. Ci passano le consegne, un ultimo bagno e partono con i loro 4 figli. Noi prendiamo il loro posto con 5 figli.
Siamo un po’ contratti, non abbiamo esperienza di campeggio, dobbiamo prendere le misure e siamo un po’ preoccupati di poter rovinare qualcosa che non ci appartiene. Ci è stato dato tutto con generosità, gratuitamente.
Nel giro di poche ore siamo a completo nostro agio. I vicini sono cordiali, simpatici, si chiacchiera amichevolmente. Scopriamo la dimensione del campeggio: si sta a stretto contatto, si condivide la vita quotidiana, non si supera mai la soglia della indiscrezione. Giulio e la sua famiglia sono di Bergamo. È un mese che si godono il posto.
Le due bimbe con i tre figli più grandi spariscono tutto il giorno in acqua. Partono e tornano, prendono il materassino e posano la foca. Si asciugano e ripartono in acqua. Sara, la piccola, fa amicizia con Carolina, una bambina tedesca. Passano ore insieme senza capire una parola di quello che si dicono, ma parlando la lingua universale dei bambini.

Le temperature sono molto alte.
La mattina del 24 luglio con Marco e Enrico, i due maschi più grandi, alle otto di mattina affittiamo delle canoe e facciamo il giro delle baie vicine. Sarà l’ultima occasione per vederle ancora nella loro bellezza.
Alle 10:30 siamo con tutta la famiglia in acqua, chiaccheriamo con i tedeschi e scambiamo quattro chiacchere con Giulio. Si parla del caldo. Le temperature sono veramente alte. Oggi il vento è forte, dopo la giornata di ieri che è stata di bonaccia assoluta.

Incominicamo a sentire odore di bruciato. Vediamo del fumo comparire da dietro le creste che circondano il campeggio. Ci chediamo se sia pericoloso, se ci sia da preoccuparsi.
Con il passare del tempo il fumo aumenta ma dagli altoparlanti un annuncio ci rassicurano che la situazione è sotto controllo.
Il tempo passa. Si nota un po’ di agitazione sulla spiaggia, ci avviciniamo alla roulotte. Ci interroghiamo sul da farsi, scatto qualche foto. D’improvviso un susseguirsi di esplosioni. Una, due, tre, sembrano non fermarsi, una pausa più lunga e poi ancora.
Poco dopo il fuoco divampa anche sulla cresta più alta che sovrasta il campeggio, vediamo le fiamme.

Penso di spostare la macchina, l’avevo lasciata sotto dei pini perchè fosse all’ombra. Penso che lì non possa avere possibilità di salvarsi. Mentre muovo la macchina una gran quantità di gente e mezzi scendono dalla parte alta del campeggio. Sposto la macchina in una zona più aperta, non coperta da alberi, in mezzo ad altre auto.

Una colonna di persone si avvia verso la parte destra della baia, quella più lontana dal fuoco che avanza. Il fumo si fa più denso, comincia a pizzicare la gola.
Chiamo a raccolta la famiglia, faccio indossare a tutti almeno una maglia dicendo di bagnarla e usarla per proteggersi il viso. Faccio mettere i braccioli alle due bimbe più piccole che non sanno nuotare. Laura con i figli si avvia verso il mare.
Rimango con Marco ancora qualche minuto. Mi guardo intorno. Prendo due bottiglie d’acqua, due cellulari, il marsupio con portafogli e documenti, le ciabatte per tutti, il mio portatile, la macchina fotografica comprata da poco e la borsa con la vecchia telecamera.

Raggiungo Laura e figli, metto i cellulari nel marsupio, lo lego intorno al collo. Ci infiliamo nel mare. Abbiamo davanti il conforto della fiumana di persone che camminano e vediamo che l’acqua arriva al petto delle persone adulte. Marco cammina tenendo il portatile in alto, Enrico la telecamera io la macchina fotografica nella sua custodia chiusa.
Alcune persone si tengono troppo sotto costa, ci sono delle buche più profonde. Annaspano, con altre persone le tiriamo fuori. La scena si ripete sia davanti che dietro di noi. È tutto un vociare, invitare a camminare uno dietro l’altro, non allontanarsi troppo dalla riva. Qualcuno piange. Chi chiama e cerca i familiari. Tengo d’occhio i miei, ci rassicuriamo e andiamo avanti insieme.

Raggiungiamo la baia successiva, usciamo dall’acqua e proseguiamo verso sud. Anche un signore infermo, con le gambe paralizzate, è stato trasportato su un materassino.
Il fuoco brucia la vegetazione anche sopra questa baia, si muove da destra a sinistra, verso sud. Arriviamo in fondo. Molti si arrampicano sul viottolo pietroso lambito dalla parte di provenienza del fuoco dalla vegetazione. Il fuoco ha raggiunto metà baia. Decido di far arrampicare tutti e proseguire verso sud. Ho molta paura che il fuoco avanzi più velocemente della nostra capacità di salire. Quelle fiamme anche a solo qualche centinaio di metri emanerebbero un calore scarsamente sopportabile.
Persone senza scarpe e ciabatte rinunciano a salire, altre, anche senza nulla ai piedi si arrampicano ma faticano molto, c’è chi va a quattro zampe. La scelta di aver preso le ciabatte ci rende in questo momento dei privilegiati. Abbiamo un paio di ciabatte in più, le regaliamo ad una signora. È tutto un vociare, un gridare di fare presto. Una signora dietro di me annaspa a superare un pezzo troppo ripido, mi chiede aiuto, la tiro dall’alto, cade, si graffia un po’ ma si riparte.
Scolliniamo e scendiamo nella baia di Manacora. Abbiamo lasciato il fuoco alle spalle, ma sappiamo che è solo questione di tempo.
La fiumana di gente si riversa sulla spiaggia e si ammassa nella parte sud. C’è chi procede lungo il sentiero che porta verso Vieste. C’è troppa vegetazione, non mi fido ad infilarmi con la famiglia. Altre persone tornano indietro, ci sono fuochi anche più a sud.
Decidiamo di stare fermi. Prendiamo delle sdraio, ci mettiamo le nostre cose sopra. Il fuoco è ancora lontano, la maggior parte delle persone stanno sulla spiaggia.
Voglio assicurarmi dello spazio vicino a delle boe e lo indico come punto di raccolta per i miei. Voglio che provino a stare in acqua con le onde e la maglietta sulla bocca e naso.
Passano delle imbarcazioni a largo, tutti si sbracciano ma proseguono. Alcuni bagnini cercano di tranquillizzare. Dicono che la vegetazione è stata bagnata e il fuoco non può passare, dicono che c’è acqua potabile, le docce funzionano, nello stabilimento c’è da mangiare, che possiamo aspettare i soccorsi con tranquillità.

Si avvicina un gommone, ha poca benzina, cerca benzina, non se ne trova. Le persone gridano e vogliono salire. I bagnini fermano tutti, invitano alla calma. Il gommone riparte dicendo che tornerà. La percezione del tempo è persa.
Arriva un’altro gommone, ritorna quello di prima. Più di tanto non si possono avvicinare alla riva, si comincia a gridare di far salire donne e bambini. Noi siamo già in acqua. Laura, Rita e le due bambine riescono a salire. Corriamo a prendere uno dei due cellulari e glielo diamo (ma non prendono le ciabatte). Vanno via con il primo gommone.

Rimango con Marco e Enrico, ma a questo punto sono più tranquillo, sono grandi e bravi nuotatori.
Il cellulare rimasto a noi si scarica definitivamente. Nel frattempo avevo fatto alcune telefonate. A Giuseppe e Elena dicendo loro che la loro roulotte, come la mia macchina doveva considerarsi persa. Mia sorella e mio cognato partono da Colleferro, vicino Roma, in nostro soccorso, hanno 5 ore di macchina davanti.

Il numero delle imbarcazioni che si avvicina aumenta. È commovente l’aiuto che viene dato ad un papà che si avvicina al gommone oramai pieno, con un neonato. Viene fatto salire anche lui e mentre parte fa segno alla mamma con la mano che va tutto bene.

Vediamo la guardia costiera e i carabinieri. Hanno imbarcazioni troppo grandi per avvicinarsi e stanno pattugliando la zona per valutare la quantità di persone che sono nelle varie baie.
Parte un gommone da riva con tre persone a bordo. Viene fermato dai carabinieri e invitato a tornare indietro a caricare altra gente. I gommoni che fanno la spola sono ora tre o quattro ma impiegano tempo ad arrivare a Peschici e tornare indietro.
L’organizzazione migliora, si avvicinano dei barconi e i gommoni fanno la spola con questi. Arriva in rada anche un traghetto più grande.
Il fuoco si avvicina allo stabilimento, il fumo aumenta. Continuiamo a stare in acqua e aiutiamo a reggere fermi i gommoni che si avvicendano. Stare con il viso rivolto verso la costa incomincia a diventare fastidioso per gli occhi.
Le scene per salire sono sempre degli arrembaggi. Alcune donne separate dai loro uomini piangono e si disperano. Qualche uomo si infila sempre ad ogni carico.
Viene dato il via libera anche agli uomini. Corriamo sulla spiaggia, Prendiamo portatile, marsupio, macchina fotografica e telecamera. Non riesco a prendere tutte le ciabatte, ne rimangono due paia a terra. Saliamo su uno dei gommoni, ci travasano su un barcone. Cercano di farci salire sul piccolo traghetto, ma non riescono, il mare è troppo mosso. Proseguiamo per il porto di Peschici.

Facciamo via mare il percorso inverso. Si fa fatica a guardare fuori perchè gli spruzzi d’acqua sono tanti. Passiamo davanti a quello che era il nostro campeggio. Brucia tutto. Le fiamme sono alte e si vedono le fiammate delle esplosioni delle bombole nelle roulotte.

Arriviamo nel porto di Peschici. Le forze dell’ordine e gli abitanti si danno un gran da fare. Distribuiscono acqua potabile. Ci mettiamo le ciabatte ai piedi, le pietre e l’asfalto del porto bruciano. Chi ne è sprovvisto fatica. Laura e le bimbe ci hanno aspettato stando con i piedi nell’acqua che scivolava in terra da una delle fontanelle del porto. A noi mancano due paia di ciabatte. Rita e la bimba che abbiamo in affidamento sono rimasta senza.
Mi avvio per il paese per cercare un negozio dove comprarle. Chiedo informazioni a delle persone vicino ad una casa, che come risposta si tolgono le ciabatte che hanno ai piedi e me le danno. Commosso ringrazio.

Saliamo in uno dei ristoranti che si affacciano sul porto. Il caos regna sovrano. I gestori non si risparmiano, distribuiscono piatti di pasta e acqua a profusione. I ragazzi mangiano. Sono le 16:00.
Io riprendo con il cellulare di Rita le comunicazioni. Chiara e Patrick sono in avvicinamento ma raccontano di fuochi e incendi dappertutto.

I pulmini fanno la spola tra il porto e i centri di raccolta in paese (comune, scuola elementare e scuole medie). Le donne della famiglia salgono su un pulmino, io Marco ed Enrico lasciamo i posti disponibili e ci avviamo a piedi. Il guidatore del pulmino è un noleggiatore, la sua casa è bruciata e ha perso due mezzi. Si chiede come farà e prosegue a fare la spola.

A piedi arriviamo al bivio tra la strada principale e il porto. Una giovane vigilessa sta spiegando ad un signore con una grossa macchina di lusso, che ha aperto solo uno spiraglio di finestrino visto che fuori fa caldo e c’è puzza di bruciato, che non può andare con la macchina. La strada è riservata ai mezzi di soccorso e ai pulmini per sfollare le persone. Questo chiude il vetro e imbocca lo stesso la strada. La vigilessa urla qualcosa ma la macchina gira la curva (a bordo due signore mangiano il gelato). Leggo la targa, mi avvicino alla vigilessa e gliela comunico invitandola a trovare i massimi capi di imputazione per fare la multa. Mi rassicura.
Proseguiamo a piedi verso il paese, una macchina ci carica e ci porta in citta.
La confusione è tanta, vigili e volontari cercano di dare indicazioni e indirizzare le persone ad accomodarsi nei centri di raccolta.
Operatori delle televisioni locali riprendono e cercano di fare interviste.
Chiedo alle persone che ci hanno dato un passaggio di darmi una mano a ricaricare un po’ il cellulare.

Giuseppe e Elena hanno rintracciato i coordinatori di Termoli della Associazione Nazionale Famiglie Numerose, Vincenzo e Rosella Farinelli, di cui facciamo entrambe parte. Ci offrono ospitalità, ma dobbiamo riuscire a raggiungere Termoli, dove la situazione non è delle migliori neanche li. I fuochi imperversano anche nella loro zona. Non ci sarà bisogno di fruire della loro pronta e gentile ospitalità.

Devo trovare qualcuno che possa portarci fuori città in modo tale da ricongiungerci con Chiara e Patrick che stanno arrivando in automobile.
La mia ricerca non dura troppo. Vedo un signore che con la macchina ha appena accompagnato una Signora in uno dei centri di soccorso. È un volontario della protezione civile, si chiama Silvestro Regina, fa lo scultore e orafo, la macchina è la sua, gli spiego la situazione, gli chiedo se può portarci ad una stazione ferroviaria. Gentilissimo ci porta tutti e 7 occupando anche il bagagliaio. È disponibile a portarci a San Severo se non dovessero esserci treni. Arriviamo alla piccola stazione di Peschici-Calenella, c’è un treno dopo 40 minuti. Lo invitiamo a lasciarci e ad occuparsi di altre persone. Voglio ancora ringraziarlo per il suo prodigarsi e ringraziando lui tutti quanti si sono dati da fare in quelle ore.
Sul treno non ci fanno pagare il biglietto.
Alle 18:15 ci ricongiungiamo con mia sorella e mio cognato. In nottata arriveremo a Colleferro, in ciabatte e costume, dove la cena, un letto pulito e una doccia ci attendono.

Il nostro pensiero va a tutti quelli che sono rimasti laggiù. Ai tedeschi con cui avevamo stretto amicizia ma non scambiati i riferimenti e che devono fare 2000 km per tornare a casa avendo perso tutto. Alle persone che hanno perso la casa e non come noi poco più che la macchina. Ai morti.

Un sorriso lo ritroviamo ascoltando la preoccupazione di una delle bimbe. È preoccupata per i quaderni persi e di dover rifare da capo quanto fatto della lezione delle vacanze.
La piccolina invece, a cui sta per cadere un dente ci da un segno di speranza: “mamma, meno male che non mi è caduto il dente prima dell’incendio, altrimenti lo perdevamo. Ora possiamo recuperare qualche soldo con il topino”.

Puglisi Paolo e Laura Forte – Coordinatori Provinciali – Pisa