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Intervento di Mario Sberna, presidente Associazione Nazionale Famiglie Numerose

Intervento di Mario Sberna, presidente Associazione Nazionale Famiglie Numerose

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Congresso Mondiale delle famiglie
Verona, 29-31 marzo 2019
Workshop “Crescita e crisi demografica”

Sono il presidente, con mia moglie Egle, delle uniche famiglie in questo Paese che non possono essere chiamate in causa quando si parla di sterilità, di inverno demografico, di egoismo o egocentrismo: le famiglie numerose. Se ci facessero l’analisi del DNA, si scoprirebbe che l’abbiamo a forma di pannolino. Ma questa è probabilmente l’unica cosa bizzarra che ci contraddistingue, a parte non avere l’utilitaria perché sopra non ci staremmo tutti.

Per il resto, noi pensiamo siano abbastanza bizzarri tutti gli altri. Non parlo ovviamente di chi i figli liavrebbe voluti ma non li ha potuti avere; questa è un’altra storia che porta con sé dolore, sofferenza, malinconia, tristezza. Come è un’altra storia, ancora di dolore, tenace, che non lascerà mai, che tornerà nei sogni, nei momenti di solitudine, nello scorrere del tempo, quella storia di dolore e rimpianto, che accompagnerà la vita di chi il figlio non lo ha lasciato nascere.

No, i bizzarri sono proprio coloro che i figli non li vogliono nemmeno concepire, e non è una metafora, giustificandosi con la granitica certezza che siamo in troppi. Gli eventuali altri, sono i troppi. Queste teorie neo-malthusiane, per incredibile che possa sembrare, si sono così radicate nel popolo italiano che hanno contribuito nel modo più malsano possibile a frenare la crescita della popolazione. Un massiccio lavaggio del cervello operato dai mezzi di distrazione di massa ha sdoganato tutto quanto era sdoganabile per ridurre la famiglia allo stato in cui si trova. E la natalità all’ultimo posto col Giappone nelle classifiche mondiali.

Siamo già un Paese di vecchi e diventeremo in pochissime decadi un Paese di morti.
Un Paese senza figli, senza giovani, un sistema scolastico che imploderà per assenza di alunni; un Paese senza speranza, senza futuro, senza nessuno che compia la meravigliosa impresa della vita.

A meno che, si dice. A meno che non si inverta immediatamente la rotta. C’è da chiedersi però, già oggi, con chi. Nell’ultimo decennio sono venute a mancare 900.000 donne in età fertile. Cioè abbiamo 900.000 potenziali mamme in meno rispetto a 10 anni fa, dove le cose andavano già piuttosto male. Ogni anno che passa, abbiamo il record negativo di natalità: 20.000 bimbi in meno rispetto all’anno precedente, 20.000 in meno rispetto all’anno precedente, 20.000 bimbi in meno rispetto all’anno precedente: ogni anno successivo è peggiore di ogni anno precedente.
E questa cosa se è grave nell’economia, è terribile nella vita. Non siamo alla frutta: abbiamo già sparecchiato la tavola e non c’è più nulla da condividere.

Per tirarvi su il morale, vorrei farvi rivedere questo brevissimo e simpatico spot pubblicitario.

So bene che chiedere a questa azienda, che avrebbe potuto benissimo essere main sponsor del Congresso, se è bene incentivare la natalità è come chiedere all’oste se è buono il suo vino: “Certo!” è la risposta più ovvia. Tuttavia l’ovvio c’è anche in questo spot, con quella frase: “Una pioggia di neonati che ci ha allagato di ottimismo e fatto dell’Italia un Paese straordinario”. E le immagini su questa frase sono eloquenti: non dei bambini ma delle fabbriche che funzionano, supermercati che vendono, persone che fanno. Perché, proprio al contrario delle teorie neo-malthusiane così errate e smentite dalla storia, non può esserci crescita senza una pioggia di neonati.
Sono i fiori che fanno il giardino. Senza i fiori, la terra è brulla.

Tuttavia in Italia, questo ottimismo per tornare ad essere un Paese straordinario e non un Paese di morti, possiamo ancora averlo. Infatti, rispetto a molti altri Paesi, noi abbiamo ancora molti semi da piantare e tanta acqua per irrigare il giardino della vita.
Sì, perché mentre altri Paesi hanno investito in politiche familiari e in natalità, noi, semplicemente, siamo ancora all’anno zero.
Cari ospiti provenienti dall’estero, non avete capito male nella traduzione simultanea: sì, l’Italia è all’anno ZERO in politiche familiari.
Quindi, se per caso riuscissimo ad avere un governo capace di sentire le sirene d’allarme che arrivano anche daquesto Congresso, potremmo ancora farcela. Sollevando le famiglie che si sono già aperte alla vita affinché non siano più solo una testimonianza di coraggio, fede, speranza; e stimolando le giovani coppie ad aprirsi alla vita perché sostenute, protette, incentivate da uno Stato che, finalmente, non è nemico della famiglia e non le punisce per aver messo al mondo il futuro.
Realizzando concretamente il dettato costituzionale più vilipeso nella storia italiana, l’articolo 31, che impone alla Repubblica un’attenzione particolare, un particolare riguardo per le famiglie numerose.
Per ora questo riguardo si è concretizzato con una sola parola: arrangiatevi.

Tra questi semi, alcuni sono solo da togliere dal congelatore: basti pensare, per esempio, alla Carta Famiglia che è già approvata da qualche anno e, come in Francia e altri Paesi, potrebbe agevolare chi ha figli nell’utilizzo dei mezzi pubblici, nell’utilizzo di Convenzioni commerciali, nella frequentazione di Musei ecc. E’ a costo zero per il Bilancio dello Stato,
è positiva per il Prodotto Interno Lordo (se pago due biglietti vado al Museo, se ne pago sette, quindi come ora anche per i miei cinque figli, non ci vado; perciò il Museo, il treno, il Parco, perdono due biglietti ogni volta).
Basta solo toglierla dal congelatore del Ministero, finalmente.

Come basta togliere da sotto il materasso quel furto organizzato, non mi viene altro termine, di un miliardo di euro (sempre per i traduttori: sì, proprio un miliardo di euro) che ogni anno viene scippato alle famiglie per chissà quale strana alchimia. Si raccolgono infatti 6 miliardi di euro dalle buste paga dei lavoratori dipendenti a beneficio di quel Fondo di solidarietà che è chiamato Assegni familiari ma ne vengono distribuiti a chi ha figli solo 5 miliardi. Da anni.
Il 20% dunque, pur essendo soldi incassati ogni anno dallo Stato, non vengono dati a chi ne ha diritto. E’ come se fai una raccolta fondi per la fame nel mondo e poi ti trattieni il 20% per comprarti le tue caramelle. Una vergogna, non trovate? Al posto di parlare di futuribili assegni ai figli, come sento dire in questi giorni di campagna elettorale europea, sarebbe bene che questo governo desse il dovuto, subito, a chi i figli ce li ha, senza aspettare più nemmeno un minuto! Non serve un’altra Finanziaria per farlo, basta alzare il materasso e tirar fuori il denaro nascosto alle famiglie.

Perché, al di là delle indagini sociologiche, psicologiche, antropologiche o pseudo-logiche che ci vengono propinate ogni giorno sulla questione denatalità, quel che è certo è che le molteplici criticità che le famiglie si trovano ad affrontare oggi, sono relative al reddito della famiglia e al costo dei figli; ai limiti di un sistema fiscale non adeguatamente commisurato alle esigenze delle famiglie con figli; alla difficoltà di conciliazione tra vita lavorativa e vita affettiva e familiare; al costo e alla reperibilità delle abitazioni; ai carichi delle responsabilità che gravano sulla famiglia – in particolare sulla donna – che si trova ad occuparsi per amore, solo per amore e solo con amore, senza ausili pubblici, della cura e dell’assistenza dei componenti più fragili e bisognosi del proprio nucleo familiare.

Nel nostro Paese alle suddette criticità hanno risposto le reti di aiuto familiare, che svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere i momenti della vita caratterizzati da maggiore vulnerabilità: i giovani che non hanno un lavoro, le madri lavoratrici con figli piccoli, gli anziani non autosufficienti, le persone disabili. Per un malinteso senso della sussidiarietà le famiglie si sono trovate, in modo particolare negli ultimi anni, segnati da una profonda crisi economica, a rappresentare un vero e proprio ammortizzatore sociale. Da sole.

Tuttavia la forte prevalenza dei cosiddetti aiuti informali è messa sempre più a dura prova a causa delle trasformazioni demografiche e sociali caratterizzate dall’accelerazione del processo di invecchiamento della popolazione, dalla modificazione delle reti relazionali e da mutamenti della struttura delle famiglie.
Da questo punto di vista, la nostra proposta di un riconoscimento alle donne lavoratrici madri di un segno di gratitudine dello Stato per aver messo al mondo dei figli, cioè un contributo figurativo a livello di anticipo pensionistico pari a tre anni per ogni figlio messo al mondo col cuore, quindi anche adottato, è una proposta che uno Stato riconoscente dovrebbe attuare nell’immediato. Altro che quota 100, diamo un segno concreto a quelle madri che si sono spaccate la schiena e insieme sciolto il cuore per far fiorire e crescere la vita, per amore, solo per amore.

Perché una donna lo sa, ogni donna lo sa. Nel suo intimo, fin da piccola, sa che amerà sopra ogni cosa quel figlio, che vorrà amarlo prima di voler essere amata, che lo amerà sempre e comunque. E’ questa innata certezza, questa tendenza tutta e solo femminile, naturale, immutata e immutabile che segna l’ieri, l’oggi e il domani della maternità.
Non c’è un amore così grande come quello di una madre che si fa dono per la sua creatura. Riconosciamole tutto l’impegno, la generosità, il coraggio e la dedizione con un segno concreto, tangibile, permettendo loro, se non altro, di spaccarsi meno la schiena, visto che di sciogliere il loro cuore per i figli non smetteranno mai, fino all’ultimo respiro!

Tante altre sono le proposte da mettere in campo, i semi da piantare subito: i dati ben noti relativi al tasso di occupazione femminile, alle nascite, alle dimissioni delle madri nel primo anno di vita del figlio, alla copertura di servizi per l’infanzia, suggeriscono che non basta più affidarsi a soluzioni volontaristiche.
C’è bisogno di un vero Patto per la natalità, di un vero e proprio Contratto per la Famiglia; c’è bisogno che le promesse elettorali diventino subito fatti. Perché sulla famiglia, anche in questa legislatura e con questo governo, si sono dette e si continuano a dire solo parole al vento ma di fatti non se ne sono visti, per nulla.

Tutti sappiamo, anche al governo, o almeno ce lo auguriamo, che le dinamiche demografiche condizionanoun sistema economico già nel breve periodo: non c’è bisogno di aspettare decenni per verificare gli effettidell’assenza di figli sull’economia nazionale. Tutti gli studi (recenti non quelli del Medioevo come qualcuno al governo pensa che noi ci si riferisca), dimostrano che l’invecchiamento demografico rallenta il Pil, gonfia il debito pubblico, fa calare gli investimenti, riduce i consumi, indebolisce l’efficacia delle politiche monetarie delle banche centrali: esattamente quello che sta accadendo in Italia.
Ciò significa, lo ripeto, che la questione va affrontata rapidamente per evitare che il Paese muoia di vecchiaia e di povertà.

Che il calo delle nascite sia dovuto al desiderio delle donne di lavorare è uno stereotipo alquanto diffuso. E’ vero semmai il contrario, stando ai dati sul lavoro femminile e crescita demografica illustrato nelle statistiche relative ai Paesi del Nord Europa; è così anche per l’Italia, dove nelle zone con elevata disoccupazione femminile abbiamo elevato gelo demografico. Questo accade nonostante il manifesto desiderio della maggioranza delle coppie italiane di avere almeno due figli, senza rinunciare a lavorare.

Il child gap, il divario tra figli desiderati e figli avuti, è sicuramente dovuto ad una complessità di fattori e tra questi la difficoltà a conciliare lavoro e famiglia.
La spesa a cui vanno incontro le madri che decidono di tornare al lavoro è infatti notevole. Per coloro che non possono fare affidamento sui nonni infatti, tra asili nido e baby sitter i costi aggiuntivi oscillano tra i 500 e 1.000 euro al mese. Cioè, spesso, tutto lo stipendio!

Sul piano economico i disincentivi al lavoro femminile sono il basso livello dei salari combinato all’alto costo dei servizi per la cura dell’infanzia. Oltre alle condizioni di lavoro spesso troppo rigide (orari, turni, etc.). Perciò, tra i semi da piantare, ci vogliono quelli che prevedono aliquote agevolate per le donne che riprendono il lavoro dopo periodi di congedo per cura dei figli, il riconoscimento di detrazioni aggiuntive per i redditi da lavoro di donne in nuclei familiari con figli minori, incentivare la realizzazione di asili aziendali, valorizzare il ruolo di soggetto attivo della famiglia mettendola nelle condizioni di poter scegliere di essere generativa, promuovendo un equilibrio tra famiglia e lavoro, tra cura e professione che permetta ai genitori e in particolare alle mamme di essere tali.

Attraverso il riconoscimento del congedo dal lavoro e l’aggiunta di un assegno di cura è data ai genitori la possibilità di scegliere se continuare a lavorare o prendersi cura direttamente dei figli. Occorre permettere alle lavoratrici di diventare madri e non obbligarle a scegliere di lavorare perché prive di sostegni. E’ alloraimportante mettere un genitore ed in particolare una donna nelle condizioni di poter scegliere liberamente di prendersi cura di un figlio. Una concezione della parità uomo-donna che di fatto nega alle donne una reale libertà di scelta tra il lavorare dentro o fuori casa, produrre beni oppure occuparsi a tempo pieno dei figli, continua ad alimentare quell’assetto socio-economico produttivo di effetti discriminatori.

Nei primi anni di vita è particolarmente importante la relazione madre-figlio, dal momento che la madre offre la prima relazione d’amore del bambino, sull’esperienza della quale egli costruirà le successive relazioni interpersonali.
Se questo rapporto manca o viene significativamente alterato precocemente, nel bambino si genereranno, dal punto di vista emozionale, stati carenziali che influenzeranno negativamente e spesso irreversibilmente, il suo sviluppo psicofisico.
Solo riconoscendo alla coppia il valore sociale e anche economico del mettere al mondo e accudire i figli nella fase più delicata della loro vita, si potrà ridare fiducia alle famiglie e far ripartire le nascite. Il valore economico riconosciuto sarà utilizzato per le cose necessarie e farà ripartire anche un’economia sana perché legata ai bisogni essenziali della famiglia. Senza figli non c’è ripresa delle aspettative, non c’è sogno, non c’è futuro.

Di questo abbiamo bisogno. E un’ultima cosa, su crescita e crisi demografica, ci tengo a dirla. Il nostro Paese, così vecchio, così malato, ha bisogno di vita, di ogni vita. In tempi di calo demografico tanto drammatico, sono grato al buon Dio per tutte quelle famiglie che in questi ultimi decenni hanno colorato di vita e futuro le nostre strade, le nostre comunità, il Paese intero. Ogni famiglia è una famiglia, ogni famiglia mi è compagna, non può essermi straniera. Ogni famiglia è un dono. L’arrivo di migliaia di famiglie da ogni angolo della Terra che hanno rigenerato questo stanco e vecchio Paese, sono state una benedizione. La mancata accoglienza e la mancata integrazione sono un furto di speranza e futuro alla nostra società.

Lo dico con convinzione e forza qui, oggi, in questo contesto. Sono una benedizione per l’economia, per la crescita, contro la crisi demografica, per lo sviluppo, per la speranza e anche per la fede. Guardate questa immagine.

Sono i dati dell’Annuario 2016 della Chiesa cattolica nel mondo, che ha, battezzati, circa 1 miliardo e 300 milioni di persone. In azzurro vedete i dati dell’incremento dei battezzati negli ultimi 10 anni: Asia + 20%, Africa + 41%, Americhe + 12%, Europa + 2%.
I cattolici in Europa sono il 23% della popolazione, erano il 21%.
I cattolici in Europa, contrariamente a quel che si dice, sono aumentati e non diminuiti negli ultimi dieci anni.

Ma se i figli degli europei non sono nati, visto che l’inverno demografico è drammatico in Italia ma è costante e continuativo anche nel resto d’Europa, da dove viene questo incremento di cattolici? Viene da quel +20% dell’Asia o + 41% dell’Africa o +12% delle Americhe che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che ha posto la sua tenda tra noi. Abbiamo ricevuto un dono. Dobbiamo essere loro riconoscenti di essere venuti.
E, noi cattolici, potevamo anche saperlo, peraltro, poiché sta scritto nelle raccomandazioni finali della Lettera agli Ebrei: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”.
Grazie.

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