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Il dono di Giuseppe

Il dono di Giuseppe

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Fin da piccolo guardo a San Giuseppe con un misto di tenerezza e stupore. Quale coraggio, quale fede, quale altezza. Non si ricorda, durante tutta la vita con Gesù e Maria, una sola sua parola. In lui tutto è silenziosa obbedienza, servizio, abbraccio. Siamo abituati a vederlo rappresentato come un anziano, con la barba bianca. Una immagine che tranquillizza: a quell’età, meno tentazioni nei confronti del corpo di una giovinetta immacolata come Maria. Ma non è vero. Le immagini e le rappresentazioni dei primi secoli della Chiesa, mostrano Giuseppe per quel che era: un giovane uomo. La castità perfetta in Giuseppe non era dovuta all’età avanzata ma una precisa scelta, frutto della virtù e della grazia. Come non è vero che era vedovo e con figli (i famosi “fratelli e sorelle di Gesù”, in realtà semplici cugini, che tante inutili discussioni hanno sollevato nei secoli). Giuseppe ha cresciuto un solo figlio, il figlio di Dio, Gesù. E di Gesù è stato papà affidatario, non adottivo: sapeva bene, infatti, che il suo compito era quello di crescere quel bimbo perché tornasse da Suo Padre. E Giuseppe ha amato, tenerissimamente, una sola donna: Maria. Lei ha accarezzato, abbracciato, protetto; con lei ha viaggiato, lavorato, pregato, mangiato, dormito, pianto, riso. È con lei, Maria, che ha cresciuto quel figlio così unico, speciale, divino. Insieme hanno giocato, corso, sorriso; insieme lo avranno guardato, estasiati, mentre iniziava a gattonare, a fare i primi goffi passettini. Giuseppe c’era quando Gesù ha mostrato il suo primo sorriso, quando ha detto per la prima volta “papà” e “mamma”. Lo ha coccolato, stretto forte al cuore, accarezzato. Gli ha fatto sentire tutto l’affetto, il calore e l’amore di una famiglia. È stato, davvero, un esempio esaltante di servizio alla vita e alla famiglia, un modello attualissimo di accoglienza. Attualissimo perché senza questo ‘calore’ nessun bambino, ancora oggi, può crescere, svilupparsi, amare. Perché un bambino ha bisogno di accoglienza calda in una famiglia amica. È notizia di questi giorni: nel 2009 sono aumentati del 5% i bimbi ricoverati nelle Comunità alloggio. In Italia sussiste una stridente situazione: se da un lato crescono le donazioni agli organismi di tutela dei minori e le adozioni a distanza, dall’altro lato pochi sanno allargare l’ambito delle relazioni primarie della famiglia, cioè aprire le porte delle proprie case ai piccoli. Così i bimbi lasciati per anni in situazioni difficili, diventano gli adulti difficili degli anni successivi; i bimbi trascurati di ieri sono i cittadini assistiti di oggi, con il marchio dell’emarginazione che si tramanda come un peccato di generazione in generazione. Questi bimbi “scartati” possano diventare “pietre angolari”. Cercano qualcuno che, come San Giuseppe, sappia farsi dono. Bimbi che, quando entrano per la prima volta nella nostra casa, non riconoscono il nostro odore, non conoscono la nostra storia, non hanno la forza e il coraggio di entrare nel lettone quando i mostri della notte tornano per ricordare un passato ancora troppo doloroso. Bimbi che, come lo fu Gesù per San Giuseppe, non hanno nei loro occhi la forma dei nostri occhi, nella loro bocca la forma della nostra bocca, nei loro capelli il colore dei nostri capelli. Bimbi che, come Gesù, desiderano dire “papà” ad un altro papà perché quel papà, come San Giuseppe, ha saputo spalancare il cuore in un grande, tenerissimo abbraccio. “Lo avrete fatto a me”.
di Mario Sberna [ online@lavocedelpopolo.it ] http://www.lavocedelpopolo.it/dettagli_prima.php?get_id=4216