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Assegno unico-universale: il Buon senso del Buon padre di famiglia

Assegno unico-universale: il Buon senso del Buon padre di famiglia

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I prossimi giorni saranno cruciali per l’assegno unico-universale, richiesto a gran voce dall’associazionismo familiare e votato all’unanimità da tutte le forze politiche alla Camera.

La proposta prevede un assegno mensile per ogni figlio minorenne a carico, maggiorato per i figli successivi al secondo e per i figli con disabilità, riconosciuto per un importo inferiore anche ai figli maggiorenni fino a 21 anni di età.  Si ipotizza un importo mensile
di 240 Euro, modulabile in base all’ISEE, ridotto a 80 euro per i maggiorenni; il provvedimento sostituisce tutti gli attuali interventi in essere (es.: assegni familiari, assegno di natalità, detrazioni fiscali tra cui la detrazione di 1.200 euro annue per le famiglie con 4 e più figli).

L’iter della legge prevede ora il passaggio al Senato e, soprattutto, il reperimento delle risorse. Indicativamente servono 11-12 mld.: la manovra complessiva vale circa 26mld.
di Euro, di cui 14-15mld. relativi ai recuperi di spesa di cui sopra. In base alle risorse destinate, verrà definito l’importo preciso degli assegni, i relativi beneficiari, e l’entrata in vigore della legge.

Ulteriori dettagli sullo stato dell’arte della proposta di legge li potete trovare in questi due interessanti articoli del Sole 24 Ore e di Massimo Calvi su Avvenire.

Ma quali sono gli obiettivi e le finalità della legge?

Innanzitutto, come indicato nell’art. 1 della proposta di legge, favorire la natalità.
Questo in un quadro drammatico per il nostro Paese, il cui progressivo invecchiamento e riduzione dei nuovi nati sta producendo effetti devastanti per la nostra economia e per la sostenibilità dell’attuale sistema di welfare. Per dare un’idea delle dinamiche demografiche in corso, l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose ha elaborato, utilizzando i dati forniti dall’Istat, le tabelle allegate, costruite raggruppando due fasce di età: quella in età lavorativa (18-65 anni), e quella in età pensionistica (66 anni e più).

Emerge una situazione inquietante, che possiamo riassumere con questi dati: negli anni ‘80, per ogni cittadino in età pensionistica, c’erano 5 cittadini in età lavorativa. Negli anni ‘90, 4; nei primi anni del 2000, 3; oggi siamo a 2,85, e il trend ci dice che tra quindici anni arriveremo a 2 lavoratori per ogni pensionato, addirittura a 1,61 nel 2050!

Tradotto in parole povere: alla luce di queste dinamiche demografiche, per garantire l’attuale standard di welfare (pensioni, sanità, etc.), sarà necessario o aumentare drasticamente le tasse, o ridurre altrettanto drasticamente le prestazioni sociali. Facilmente, sarà necessario attivare entrambe le misure…

L’assegno unico-universale ha però altre funzioni, oltre a quella di contrasto alla denatalità:

  • una semplificazione degli interventi che attualmente riguardano i figli;
  • un contrasto più efficace alla povertà (la nascita di un figlio è la seconda causa di povertà in Italia, dopo la perdita di lavoro del capofamiglia, e le famiglie con 3 e più figli, specie minori, sono in assoluto la categoria a maggior rischio di povertà);
  • una maggiore equità orizzontale, a beneficio anche della fascia media della popolazione, come ben spiegato nell’articolo di Matteo Rizzolli;
  • un passaggio dalle politiche assistenziali a una vera politica familiare.

Ora, il nodo principale è rappresentato dalle risorse che il Governo metterà a disposizione.
Il nostro auspicio, coincide esattamente con quello del Forum delle Associazioni Familiari: attivazione immediata e per intero dell’assegno unico-universale, attraverso l’utilizzo del Recovery Fund (209mld.).

I riscontri politici, in particolare da parte del Ministero dell’Economia, vanno però verso una graduale introduzione dell’assegno, per consentire un impatto finanziario progressivo.

Pur non condividendo questa posizione, dobbiamo tuttavia essere più realisti del re, e analizzare come, eventualmente, introdurre con gradualità l’assegno unico-universale.

Una prima ipotesi, sarebbe quella di partire con i redditi più bassi. Questa soluzione, tuttavia, non si configura in una politica familiare e di natalità, ma esclusivamente assistenziale. Le famiglie con figli con minor reddito italiane, peraltro, beneficiano di interventi statali analoghi a quelli previsti ad esempio in Francia, cosa che invece non avviene assolutamente per le famiglie con figli con redditi medi (che in Francia possono beneficiare del Quoziente Familiare e di altri sostegni per i figli, indipendenti dal reddito).

La cosa, peraltro, sarebbe tecnicamente complessa da gestire, ad esempio in presenza di redditi differenti tra coniugi, oltre al fatto che uno scaglione secco di reddito ‘dentro o fuori’, potrebbe fare escludere una famiglia anche soltanto con un euro in più di reddito aggiuntivo. Ricordiamo inoltre che in tal modo si andrebbe a premiare quella parte di contribuenti che eludono ed evadono le tasse, a scapito di chi invece le tasse le paga per intero.

Un’altra ipotesi di intervento potrebbe essere quella di partire dagli ultimi nati. Intanto
ci sarebbe da determinare se comprendere o meno tra i destinatari dell’assegno anche
i fratelli più grandi che non rientrano nella fascia prescelta; in ogni caso, questa scelta sarebbe altamente discriminatoria perché, a parità di numero di figli e di reddito, ci sarebbero famiglie di serie A, che beneficiano dell’intervento, e famiglie di serie B, che non possono accedervi.

Un’ulteriore ipotesi sarebbe quella di ridurre all’inizio l’importo dell’assegno, in modo che ne possano usufruire tutti, anche se in misura inferiore. Questa ipotesi, oltre ad essere poco efficace rispetto agli obiettivi posti in premessa, porterebbe in sé la mina vagante delle famiglie che riceverebbero un beneficio inferiore rispetto alla situazione attuale (assegni familiari + detrazioni per figli). 

Tutte queste ipotesi presentano quindi forti criticità, che ne sconsigliano il ricorso.

Esiste tuttavia una soluzione che andrebbe incontro sin da subito agli scopi per cui è nata la legge.

Si potrebbe ipotizzare di introdurre l’assegno unico-universale nel 2021 per le famiglie con 3 e più figli e con figli disabili, nel 2022 per quelle con 2 figli, e nel 2023 per quelle con 1 figlio.

Questo comporterebbe (tenendo conto del peso di queste famiglie sul totale delle famiglie con figli) che, rispetto a un impegno aggiuntivo complessivo di 12mld., il primo anno l’intervento sia limitato a 3mld., il secondo anno a 7,5mld., e solo dal terzo anno a 12mld..

In questo modo, avremmo:

  • una maggiore sostenibilità finanziaria nel tempo per i conti pubblici; 
  • un principio semplice e ben identificabile dei beneficiari;
  • una risposta immediata al contrasto alla povertà, in quanto i primi beneficiari saranno proprio le famiglie con più figli che sono a maggior rischio di povertà;
  • una equità orizzontale immediata;
  • un intervento non assistenziale, ma di politica familiare;
  • un messaggio culturale molto forte, che valorizza il valore dei figli, cominciando a premiare proprio quelle che ne hanno di più.

Ma, soprattutto, l’impatto demografico sarà il più efficace in assoluto, rispetto alle altre ipotesi: per indurre gli italiani a fare più figli, non dobbiamo convincere chi non vuole avere figli a farne, bensì mettere in condizione le coppie di avere il numero di figli desiderato. Poiché sono tantissime le coppie che hanno 1 o 2 figli, e vorrebbero averne un’altro, ma non possono anche per motivi economici, le potremo mettere in condizioni di realizzare la loro aspirazione.

In questo modo vincerebbero tutti: l’Italia, gli Italiani, il Forum e le Associazioni Familiari che con determinazione stanno portando avanti questa proposta, la Politica (auspicando in tal senso una adesione trasversale sul tema da parte di tutte le forze politiche), il Ministro dell’Economia, e, ultimo ma non ultimo, il Buon senso.

di Alfredo Caltabiano
 forum@famiglienumerose.org