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UNIONI CIVILI, DISEGNO DI LEGGE CIRINNA’: «MEGLIO NON FARNE DI NIENTE»

UNIONI CIVILI, DISEGNO DI LEGGE CIRINNA’: «MEGLIO NON FARNE DI NIENTE»

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È un disegno di legge nato male quello che porta la firma della senatrice del Pd Monica Cirinnà. Ne è convinto Mario Sberna. «Nelle audizioni in commissione – ricostruisce il deputato bresciano – sono stati ricevuti esponenti del movimento Lgtb e dell’associazionismo familiare. I primi hanno trovato nella relatrice un ascolto attivo. I secondi, riuniti in due diverse sedute, sono stati snobbati. In una occasione, la collega senatrice si è alzata dalla sedia e ha abbandonato la seduta, in un’altra ha mostrato tutta la sua insofferenza, rendendo difficile l’esposizione delle ragioni delle associazioni pro-family. Non si lamenti, dunque, Cirinnà, se in piazza centinaia di migliaia di persone hanno espresso la loro delusione, il loro senso di impotenza di fronte ad iniziative legislative che vorrebbero imporre il pensiero unico: non si gioca con la testa della gente».

Matteo Renzi, rileggendo la manifestazione di piazza San Giovanni, ha raccontato al quotidiano la Repubblica che su questo tema il governo intende tirare diritto, non facendosi imbrigliare, come fece Romano Prodi in occasione del Family day del 2007 che di fatto segnò la fine dei Dico…
«La materia è affidata all’iniziativa parlamentare e non al governo. Sul ddl pendono in questo momento 1.600 emendamenti. Non credo sarà una passeggiata. Non lo crede nemmeno il Pd, che in fretta e furia ha convocato un vertice per valutare correttivi al ddl Cirinnà. Capisco che Renzi debba offrire qualche zuccherino alla minoranza del suo partito che ha rialzato la cresta dopo la mezza sconfitta elettorale. E che lo voglia fare sposando i diritti civili (visto che su temi economici non può concedere niente). Se un giorno il governo dovesse decidere di avocare a sé una legge sulle unioni civili e chiedere sul decreto legge il voto di fiducia, non sarà un voto pacifico».

In quel caso lei, esponente di maggioranza, la fiducia la darebbe?
«No di certo. Già in una occasione non ho votato la fiducia a Letta perché il suo governo non portava avanti uno straccio di incisive politiche familiari. Figuriamoci se su un tema di questo tipo abbia timore a metterci la faccia e a votare secondo coscienza».

Che significato dà alla nascita del comitato parlamentare per la famiglia?
«Ho sempre sognato e mi sono sempre battuto per una iniziativa simile. All’inizio della legislatura, quando proposi la nascita di un intergruppo pro-famiglia, molti colleghi si mostrarono più prudenti di me (e ci vuol poco), perché ritenevano che oggi il termine famiglia non è politically correct o, almeno, dovrebbe essere declinato al plurale. Io, ingenuo e di primo pelo, sposo felice e papà di prole numerosa, non capivo cosa volessero dire, perché non mi passava nemmeno nell’anticamera del cervello che una famiglia potesse essere diversa da quella descritta nella Carta dai nostri padri costituenti. Del resto, mi sembrava naturale che dovessero far squadra quei candidati che avevano indossato la maglietta Io corro per la famiglia (regalata loro dal Forum delle associazioni familiari) e che erano stati eletti. Col tempo, però, ho capito (anche se mai condiviso) perché l’ex presidente del consiglio Enrico Letta, che non ha mai ceduto alla pressione mia e di qualche collega di istituire un ministero ad hoc per la famiglia ed abbia avocato a sé questa delega (senza peraltro partorire mai alcunché)».

Matteo Renzi invece un sottosegretario l’ha delegato, Franca Bondelli.
«Sì. Una dei suoi. È una brava persona, però ho la percezione che venga tenuta sempre in ombra. E sempre per i soliti motivi. Mi sembra la storia di Berta… tanta attesa per niente. Nel frattempo il divorzio si è fatto breve. La Cirinnà – pur richiamandosi all’articolo 2 della Costituzione (che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali) e non all’articolo 29 (che tutela la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), di fatto rimanda continuamente alla disciplina del matrimonio, esponendosi facilmente a ricorsi per equiparare la normativa in tutto e per tutto al matrimonio (è già accaduto in Austria e in Germania). Il disegno di legge che porta la firma del collega Fedeli intende stanziare duecento milioni di euro per la introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole e nelle università.
Ma soprattutto, nonostante il disegno di legge Scalfarotto non sia ancora legge, ogni pronunciamento pubblico su unioni, differenze biologiche ed attitudinali tra maschi e femmine, omosessualità passano al filtro delle lobby lgtb che vogliono imporre i gender studies come se fossero Vangelo. Pronunciare mamma e papà (soprattutto la prima parola di senso compiuto pronunciata da un neonato) è divenuto pericoloso. Non se ne può più. Sarà anche per questo che è nato il comitato parlamentare».

Il suo primo obiettivo?
«Fare squadra per promuovere adeguate politiche familiari. Il nostro Stato destina cifre ridicole a chi mette al mondo figli, salvo poi lamentarsi perché il welfare così com’è non è più sostenibile. È un mondo alla rovescia: chi ha il coraggio di mettere alla luce più figli, superando anche la soglia minima che sarebbe necessaria per la sopravvivenza (2,1 figli a donna fertile) invece di essere premiato, viene mazzolato. Quando leggo alcune associazioni del movimento lgtb che chiedono il matrimonio e l’adozione, sorrido… non si rendono conto che oggi la famiglia è penalizzata. Chiedere per credere alle coppie etero che si separano fittiziamente perché a conti fatti è più conveniente per loro esser percepite dallo Stato come due ‘singoli’ distinti (risparmiando così tasse, salendo nelle graduatorie di accesso ai servizi etc…)».