Rifiutare l’ Eutanasia per rispettare l’ Uomo e come tanti numer
“ Bene “ disse il dottore all’infermiera, mentre stava per
terminare un’ operazione “Vede un’ anima qui dentro? ”No , dottore” rispose l’
infermiera.: “ E lei, vede il dolore che cerca di alleviare al suo paziente?”
CONTRO L’EUTANASIA L’ESPERIENZA DELLA SACRALITA’ DELLA VITA
Siamo appena rientrati da un incontro-dibattito dal titolo “
Rifiutare l’ Eutanasia per rispettare l’ Uomo” e come tanti numerosi incontri
ai quali partecipiamo, anche come responsabili ANFN, ci chiediamo come si può
far dilagare la Cultura della Vita.
La forza di rimanere lì e non alzarmi (ero un pochino
delusa), devo essere sincera, mi è stata data
da un solo pensiero: la storia di Francesco – che più volte
ho letto sul nostro sito .
Gli argomenti trattati sono stati molteplici e gli ambiti di
confronto altrettanto, ma io intanto riflettevo…
E come succede
spesso, quando devo trovare una risposta ad un interrogativo interiore, è
affiorato in me un ricordo ben preciso, una esperienza particolare e sofferta
che ho già in parte condiviso pochi anni fa sul mensile Da Mamma a Mamma, dove spiegavo le cause del mancato allattamento per
la mia secondogenita Serena.
Le esperienze negli ospedali possono arricchire o
impoverire, dipende dal contesto e sicuramente anche dal reparto che accoglie
quel momento particolare di “malattia” che ci troviamo ad affrontare. Ricordo
bene che il ricovero d’ urgenza di Serena per un’ ernia bilaterale inguinale
era visto dai più come routine, anche se la bimba aveva appena un mese di vita.
Nella camera del reparto neonatale c’era una culla con un
ospite “speciale”. Anche lui aveva circa un mese, nato con una rarissima
malformazione al cervello. il termine medico era complicato … insomma una testa
enorme, orbite bianche senza pupille e il corpicino perfetto, da piccolo
atleta.
Ricordo di averlo osservato a lungo, non per spostare in
qualche modo la preoccupazione per l’ imminente intervento di mia figlia, lo
osservavo per comprendere meglio lo sconvolgimento che la vista del suo stato
provocava in me.
Avevano consigliato alla madre di non accudirlo, di non
“attaccarsi” perché tanto sarebbe morto presto. In una settimana infatti la
vidi solo una volta e per pochi minuti, inavvicinabile.
Durante il giorno era più facile distogliere l’ attenzione
da questa situazione, le infermiere si sforzavano, più o meno gentilmente, di
accudirlo, di mitigare in qualche modo – saccarina?-
i suoi ciechi pianti, la sua fame di vita. Più volte sentii
dire: “E pensare che doveva morire subito dopo il parto!”, invece aveva un mese
di vita ed era ancora lì, lottatore abbandonato, senza coccole
come in una eutanasia –dolce morte- sempre imminente.
Ci sono dei pianti che non dimentichiamo mai, che scavano
dentro di noi ,forse per trovare risorse inesauribili, e il suo pianto era
così, pieno delle paure dei bambini di tutto il mondo, sconsolato e inconsolabile.
Alcune mamme, quando Simone – questo il nome che ricordo – “attaccava“ con quel
pianto, uscivano dalla stanza.
Una notte che finalmente operata, Serena riposava, io insonne mi avvicinai alla
sua culla e… piansi. Certo la depressione dopo-parto, chi più chi meno la
riconosce, lo stress di quei giorni, l’ ambiente ospedaliero, il primogenito di
soli due anni a casa. Ma il mio
pianto era scaturito da una consapevolezza –la Sacralità della vita- che non avevo mai acquisito pienamente
fino a quel momento. In qualche modo lui si accorse di me e dal semplice vagire
cominciò a piangere forte:
provai a dargli il succhiotto ma lo rifiutava, l’ infermiera non c’era e
come d’ istinto materno consueto cominciai ad accarezzarlo, a toccargli le
manine, i piedini, il torace, poi osai anche accarezzare quella sua enorme
testa, gli occhi , il naso..
Non dimenticherò mai la sua reazione. Pacificata, bisognosa,
protesa…
Alla dimissione di Serena mi riproposi di tornare a trovarlo
ma il reparto non poteva permetterlo. Non ho saputo quanto tempo sia rimasto in
vita, ma di una cosa sono certa,
che la madre si era persa ( per quale drammatico motivo?) un’irripetibile
–come unica e irripetibile è ogni persona- esperienza di Vita, di
sofferenza , di dolore, di crescita umana e spirituale.
Cos’ è allora
l’eutanasia? Dove è il sottile confine che ci fa decidere di porre fine ad una
vita “indegna” di essere vissuta? Quale assurda legge fa di tutto per uccidere
un bimbo nel grembo di sua madre e, una volta abortito, di rianimarlo se
respira ancora?
Ogni vita è degna di essere vissuta e nessun giuramento di Ippocrate,
nessun medico che tale si definisce, può arrogarsi il diritto di dire : questa
è vita, questa non lo è.
Siamo stanchi di incontri con tante buone intenzione e belle
parole, sono decisamente preoccupata
perché il senso
di ciò che socialmente viviamo è imbevuto nella maggior parte dei casi di ipocrisia,
tornaconto, interessi politici e strumentali…
Mi chiedo allora cosa possiamo fare per far dilagare la
autentica cultura della Vita: non basta certo una riflessione come la mia,
dipende anche dai vissuti,
Dobbiamo ringraziare coloro che, come Giovanni e Raffaella,
genitori “adottivi “di Francesco,
non limitandosi solo a guardare, hanno, con la loro testimonianza di
accoglienza, proclamato e annunziato
il valore della vita, Vita sempre e comunque.
Angela Dolfi