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Stereotipi e differenze in famiglia? Non sono negativi… anzi!

Stereotipi e differenze in famiglia? Non sono negativi… anzi!

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Psicologi ed educatori a confronto all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum per la seconda edizione del convegno “Sapere per educare”

L’auditorium ha cominciato a riempirsi alle 9:30, per ospitare la seconda edizione del convegno Sapere per educare, organizzato in collaborazione con la Facoltà di Bioetica e l’ISSR dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, dalle associazioni “Comitato art.26” e “Non si tocca la famiglia”, con il patrocinio di Scienza e Vita.

I saluti inaugurali in “tre parole” a cura di padre Marcelo Bravo, preside dell’ISSR: opposizione, proposizione e posizione. Le associazioni a difesa delle famiglie hanno il pregio di fare opposizione alle derive culturali, il che è importante. Non basta opporsi, tuttavia, bisogna proporre buone iniziative, che abbiano a cuore la difesa della dignità della persona umana. E ci vuole anche una posizione: nella misura in cui si è saldi sui principi, su di una antropologia senza compromessi, possiamo essere audaci nelle nostre proposte.

Il moderatore dell’evento, il prof. Enzo Pennetta, ha introdotto i lavori dal punto di vista contenutistico. “Assistiamo a un dato fondamentale – ha detto il professore –: le aule sono cambiate (immigrazione, bullismo, conseguenze dell’ideologia gender). E gli insegnanti non erano pronti». E come si gestiscono le diversità? Omogenizzando le caratteristiche individuali o aiutando l’identità del singolo, in modo che a partire da questa identità possa generarsi la relazione? Questo è il quesito a cui il convegno si propone di rispondere.

Differenza, relazione, identità e soprattutto famiglia. Sono queste sono le parole chiave della relazione della prof.ssa Paola Binetti (neuropsichiatra infantile e docente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma). «La vera nota caratteristica della famiglia è che nel minimo numero di relazioni si esprime il massimo della differenza», afferma la docente. Si pensi al binomio uomo/donna: nella parità della dignità vediamo una relazione che si “nutre” per se stessa della differenza, con uno sforzo costante e continuo per raggiungere una sintesi. Poi la diversità verticale tra i generanti e il generato. Basta pensare agli anni di differenza e i relativi aspetti socio-culturali. La terza differenza è quella di geneaologie tra padre e madre: ognuno di loro ha affetti, abitudini culturali e religiose che segnano profondamente la persona. Siamo un po’ lontani dai “due cuori e una capanna”, perché quella capanna è piena zeppa di storie e persone. «Un microcosmo nel macrocosmo: una piccola realtà nella grande complessità e nella continua ricerca dei punti di convergenza, che accrescono la mia libertà e la mia responsabilità». Nel modello omogenitoriale, invece, il bambino, confrontandosi con un carenza di diversità, vede ridursi di molto la sua libertà, in quanto è ridotta la sua esperienza di relazione.

Secondo il prof. Paolo Scapellato, (psicologo e psicoterapeuta, docente dell’Università Europea di Roma) la sfida è quella di cercare di avere dei punti fermi, anche in ambito psicologo. «Un’educazione basata sull’indifferenziazione non ha senso. La psicologia e l’educazione sono attualizzazione delle potenze individuali: eliminare le differenze è sconvolgere l’identità. In psicologia si parla di identità personale (la percezione del proprio modo sostanziale), sociale (la percezione di come gli altri mi vedono) e sessuale (la percezione di sé come maschio o femmina)». Secondo Scapellato, ci sarebbe un equivoco di fondo: la confusone tra norme naturali e norme culturali. Le norme naturali non escludono l’esperienza di diversità. Livellare o eliminare la norma non è possibile, anzi le diversità confermano la norma. Alcune istituzioni nascono a difesa di una norma naturale, come la famiglia. Capiamo allora che quando un gruppo di persone vuole far passare una certa opinione, si manipolano le opinioni, attraverso varie tecniche – si pensi all’influenza minoritaria di Moscovici o la finestra di Overton. I principi di inclusione dovrebbero avere a cuore: le evidenze razionali ed empiriche, il principio della massima prudenza, i pericoli del principio del godimento, la ricchezza delle differenza. «E questo perché i nostri figli non sono delle cavie».

Franco Nembrini, docente e scrittore, con il suo noto e accattivante stile, ha spiegato che «l’educazione deve dotarsi di uno stile nuovo: più è alta la proposta che offriamo loro e più loro si entusiasmano e si rendono capaci di vedere la bellezza che Dio ha scritto nei loro cuori». L’educazione è un atto di misericordia: afferma l’altro, facendolo sentire guardato con compiacenza.

Il prof. Furio Pesci (docente dell’Università degli studi Sapienza di Roma) mette in luce che in Italia l’ente preposto è chiamato Ministero dell’istruzione e non dell’educazione, perché si è sempre ritenuta necessaria una neutralità valoriale. «Oggi nei progetti che stanno entrando nelle scuole, come quelli gender – ha detto Pesci – sembra che lo scenario sia capovolto: è curioso notare come i sostenitori della scuola “laica”, che professa tale neutralità sul piano dei valori e orientata alla preparazione culturale, oggi intendano farne teatro di un vero e proprio indottrinamento ideologico». Il problema è che la tanto professata “inclusione” non si regge senza una riflessione sulla scuola, sull’insegnante e ancor prima sulla famiglia. A questo proposito, il professore ha presentato come esempio interessante di educazione la “Character Education” di Lickona.

Secondo Lickona, anzitutto, occorre acquisire la consapevolezza che la famiglia è la prima “scuola” in cui si apprendono le virtù, e l’importanza della vita familiare da questo punto di vista è evidentemente inestimabile. Tuttavia, se l’amore è naturalmente insito nell’animo umano, la capacità di prendersi cura e di educare efficacemente i figli non lo è. I genitori non “creano” i loro figli, possono soltanto metterli sulla strada giusta, perché la forma compiuta della personalità di ciascun uomo è opera delle sue proprie mani. Di conseguenza, il principio fondamentale da seguire nell’educazione del carattere è conoscere in cosa consiste un carattere buono e fare dello sviluppo del carattere una delle principali priorità. «In effetti, la lettura di buona parte degli interventi di Lickona suscita l’impressione che sia proprio il buon senso ad essere stato in gran parte perso o dimenticato dai genitori, se oggi devono essere esperti universitari a fornire indicazioni di questo genere per la gestione di relazioni che dovrebbero essere le più naturali di tutta l’esistenza umana. Ma i tempi in cui viviamo sono effettivamente questi e non ci si può dichiarare stupiti di nulla, né propendere verso il moralismo, di per sé sempre sterile».

La prof.ssa Elvira Lo Zupone, (psicologa, docente dell’Università degli studi Tor Vergata di Roma) parte da un quesito chiave della Pedagogia: è l’individuo che influenza la società o è la società che influenza l’individuo? Infatti, la base essenziale di una lotta efficace contro qualsiasi genere di discriminazione è la libertà di discussione in vista di un’effettiva circolazione di idee; cosa che, ad esempio, è venuta mancare nella lotta contro il bullismo. Lo stesso approccio allo stereotipo, considerato nel dibattito sempre qualcosa di negativo, in realtà è mal impostato: per il bambino lo stereotipo – “papà lavora”, “mamma stira” – è importante perché l’individuo in crescita ha bisogno di una concezione semplificata della realtà. Inoltre, c’è il rischio che con un intervento approssimativo togliendo lo stereotipo se ne crei un altro: liquidare chi ha dei dubbi sulla normalizzazione degli orientamenti sessuali con slogan tipo “lo strano sei tu”. La convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, documento varato nel 1989, è permeata da un sano “puerocentrismo”, che oggi rischia di essere travolto dagli interessi politici e logiche di mercato degli adulti. Il documento, mira a fornire a genitori ed insegnanti la possibilità di valutare i progetti orientati al contrasto del bullismo omofobico e dell’educazione emotivo-affettiva e sessuale all’interno di ogni ordine e grado. Secondo questo documento l’educatore è una guida che fa da filtro rispetto agli stimoli cui sottoporre il bambino, secondo l’imperativo categorico della “child superior interest”.

L’evento è continuato nel pomeriggio con un’attività pratica, i “laboratori tematici”. I partecipanti sono stati divisi in gruppi, alcuni specifici per insegnanti dedicati a tre fasce d’età (scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo grado, scuola secondaria di secondo grado), gestiti da tre dottorandi dell’Università di Roma Tor Vergata e coordinato dalla prof.ssa Lo Zupone, e altri per genitori: Sviluppo armonico dell’identità femminile e maschile: strumenti per i genitori, gestito dalla prof.ssa Giorgia Brambilla e dal prof. Paolo Scapellato, e Genitori ed insegnanti, insieme per educare, gestito dal dott. Giuseppe Bruno e dal dott. Giuseppe Richiedei.

Fonte: zenit.org