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Nelle scorse settimane s’è molto discusso del caso di Tiziana di Napoli che si è tolta la vita e della diciassettenne di Rimini il cui stupro sotto l’effetto dell’alcol è stato messo in rete dalle amiche (… amiche?): entrambe situazioni deplorevoli in cui i nuovi media – grandi protagonisti tecnologici – sono serviti non per facilitare la comunicazione o promuovere relazioni sane, ma per offendere, infangare e violare la dignità della persona. Mettiamo subito da parte i tristi commenti di chi dichiara di non provare nemmeno l’umana pietà per chi compie il gesto estremo del suicidio, di chi si diverte in ironie di basso profilo, di coloro che rivendicano il dogma del diritto di cronaca a tutti i costi o di chi vorrebbe vietare la rete in modo selettivo. Non serve fermarsi ai soli aspetti emotivi, anche se in questi casi sono davvero potenti: cosa farei se la vittima fosse stata mia figlia? E se mia figlia (o figlio) fosse stata quella che ha fatto le riprese? O avesse poi fatto girare i video sul web? Merita, a nostro avviso, una rinnovata attenzione a tutto ciò che questi episodi smuovono in chiave pedagogica pensando a chi di educazione si occupa per natura (i genitori), per mestiere (gli insegnanti), per pubblico mandato (le istituzioni) e per lucro (i vari network e le agenzie pubblicitarie). Si rileva oggi un grave deficit di impegno in tema di responsabilità nel corretto uso delle tecnologie, dal fornitore all’utilizzatore; una forte mancanza di rispetto dell’altro in tutte le sue manifestazioni ed una urgente necessità di educare all’affettività. Sappiamo tutti benissimo quali sono le conseguenze di un comportamento sessuale totalmente svincolato dalla dimensione affettivo-relazionale e progettuale. Forse a nessun genitore piacerebbe avere un figlio o una figlia adolescente che sperimenta una vita sessuale sganciata da concetti quali rispetto, dignità, responsabilità.
A meno che non la si consideri un gioco o uno sport. Tornando alle vicende di cui sopra, ci sono alcune parole che sembrano essere mancate all’appello di molti commentatori; una di queste è il termine pudore. Non se ne parla: è forse diventato tabù o è fuori moda? Pare quanto mai necessario difendere il pudore come espressione di cura di sé, difesa della propria dignità e personalità, per non diventare oggetto, per non farsi manipolare, per non dover compiere con vergogna gesti che invece richiedono attenzione, delicatezza ed il raggiungimento di un certo grado di maturità psico-affettiva. Oggi invece, si plaude a chi compie le prime esperienze il più presto possibile e con chiunque: ma per quale fine si plaude? Perché è così importante bruciare le tappe?

Un’altra parola scomoda è castità. Non è da confondere con l’astinenza; si tratta invece di una comprensione globale della dimensione affettiva, secondo cui la persona vive in modo armonico ed integrato il dono di sé all’altro o alla comunità, rispettivamente come coniuge o come persona consacrata. Il corpo chiede attenzione e rispetto a tutte le età, in ogni condizione di vita e stato di salute. Dobbiamo forse (re)imparare ad ascoltare i messaggi che il corpo ci manda ed i segnali di disagio nel vivere certe situazioni che solo sotto l’effetto dell’alcol o di uno spinello riusciamo a far passare, oppure se vittime innocenti di un’educazione ai disvalori. Ad esempio, il corpo femminile racconta qualcosa di sé ogni 28 giorni circa: significa unicamente che un ciclo ovulatorio sta terminando? La necessità istintiva che abbiamo di coprirci ci dice solo che sentiamo i cambiamenti della temperatura esterna oppure che alcune parti di noi richiedono maggior protezione? Parlava di questo anche S. Paolo (1 Cor 12, 22-25). Il corpo è un dono prezioso, parte costitutiva della propria dignità di uomo o donna. Se invece il corpo è ridotto ad oggetto diventa possibile venderlo, violentarlo, umiliarlo e metterlo in pasto a chiunque, anche nelle sue manifestazioni più intime. Dalla pornografia il passo può essere davvero breve poi per giustificare la vendita delle proprie immagini nude al costo di una ricarica per lo smartphone, il traffico di organi, l’aborto, l’eutanasia.

La rete è potente, pervasiva e per certi versi magica: perché oggi c’è bisogno di riversare la dimensione erotica in un video? Perché proviamo piacere nel mettere nel web filmati che sappiamo creano un fortissimo danno all’altro? Ecco che torna un impellente bisogno di educazione all’uso dei media, ma anche di una presa di coscienza nel riconoscere che quello della sfera sessuale è uno degli due aspetti più intimi e delicati dell’esperienza umana, e che come tale va protetta, curata e trattata con la massima riservatezza, da tutti. E’ solo una logica conseguenza dire che è sciocco, quanto potenzialmente dannoso registrare e poi postare (leggasi voyeurismo o scoptofilia), situazioni di intimità sessuale. Semplicemente, non ce n’è bisogno.

Tanto più che sappiamo quanto ciò che immettiamo in rete, dall’e-mail di cattivo gusto, all’sms equivoco, al whatsapp disinibito, può ritorcersi contro di noi. A volte si usa la rete perché non si ha il coraggio di parlare o di confrontarsi davvero a tu per tu. Oggi, responsabilità e maturità passano certamente attraverso i nostri gesti e le nostre parole, ma anche attraverso il nostro comportamento digitale.

Cinzia e G. Marco Campeotto
coord. ANFN provincia di Udine

Rivignano, ottobre 2016