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Natalità: nuovo record negativo in vista, urgono interventi

Natalità: nuovo record negativo in vista, urgono interventi

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Il demografo Blangiardo rileva che nei primi tre mesi del 2016 l’indice di natalità si è abbassato ancora. E pensare che giace a Palazzo Chigi un Piano Nazionale sulla Famiglia

Mancano pochi giorni all’inizio dell’anno scolastico. Quelle stesse classi che al suono della prima campanella si gremiranno di alunni, tra qualche anno potrebbero conoscere una spaventosa emorragia di studenti italiani.

La causa è da ricercare non in un inopinato abbandono scolastico precoce, bensì nell’indice demografico italiano che prosegue imperterrito la sua discesa verso l’abisso.

Nel 2015 sono nati 486mila bambini, record negativo dal 1861. Quest’anno la tendenza sembra registrare un ulteriore ribasso, come spiega a ZENIT Gian Carlo Blangiardo. L’esperto demografo, docente all’Università Bicocca di Milano, traccia un quadro della situazione e individua possibili soluzioni partendo dalle polemiche seguite al Fertility Day, iniziativa del Ministero della Salute che dovrà tenersi il 22 settembre per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’infertilità, una delle cause dell’inverno demografico.

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Professore, la campagna ministeriale “Fertility Day” ha scatenato un putiferio anche per via di alcune locandine risultate offensive nei confronti di donne che, per scelta o loro malgrado, non hanno figli o ne hanno uno solo. Lei che idea se n’è fatto?

Io ritengo che, anche se in maniera forse un po’ maldestra, questa iniziativa cerchi di sensibilizzare gli italiani di fronte a un problema, che è quello dell’infertilità. Il taglio, essendo nata dal Ministero della Salute, è di natura prettamente sanitaria, ma ovviamente accende i riflettori sulla diminuzione delle nascite e su tutti i problemi che ne derivano. A me è sembrata una mossa utile, che però non deve essere estemporanea. A questo tipo di messaggio va affiancato anche un piano d’interventi per rimuovere le cause – che non sono solo di natura sanitaria – della riduzione della fecondità.

Nel 2015 in Italia ci sono stati appena 486mila nuovi nati, record negativo dal 1861. È possibile avere già una previsione dei dati del 2016?

È possibile paragonare i tassi di natalità dei primi tre mesi del 2015 con quelli dello stesso periodo di tempo del 2016. E ne viene fuori un calo del 4%. Ciò significa che se la tendenza dovesse persistere anche nel resto dell’anno in corso, avremmo un nuovo record negativo. Possiamo stimare circa 460mila nati: un nuovo record al ribasso.

Che interventi sarebbero necessari secondo Lei?

Un intervento è già pronto e giace presso la Presidenza del Consiglio dal 2012. Si chiama Piano Nazionale sulla Famiglia e fu elaborato dal Governo Berlusconi quando responsabile delle politiche familiari era Carlo Giovanardi. È un documento di 40 pagine con tutta una serie di misure a supporto e a valorizzazione della famiglia. Si va dagli aspetti economici (interventi sul reddito, sgravi fiscali, aiuti economici) a quelli più di cura (asili nido e agevolazioni alle giovani coppie impegnate a cercar casa) passando per la conciliazione tra lavoro e maternità e anche tra lavoro e paternità.

Un Piano evidentemente ritenuto poco importante dai Governi che si sono succeduti dal 2012…

Conosco bene l’iter di questo Piano perché facevo parte del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla Famiglia presieduto da Giovanardi e da cui nasce l’iniziativa. È stato il frutto del lavoro di tre anni, concepito insieme a tutti i grandi organi democratici del Paese (sindacati, ministeri, organizzazioni non-profit, Regioni) e culminato con un grande conferenza sulla famiglia nel 2010. Caduto il Governo Berlusconi, questa grande ricetta pro-famiglia è stata ereditata da Monti e dal suo ministro con competenze sulla famiglia, Andrea Riccardi. C’è stato un Consiglio dei ministri in cui il Piano è stato approvato ma poi non è stato mai attuato. E i due Governi successivi a quello Monti, presieduti da Letta e dall’attuale Renzi, lo hanno lasciato nel cassetto.

Alcuni elementi indicano però che le politiche da sole non bastano. In Germania, Paese modello di misure pro-famiglia, il tasso di natalità è 1,38, analogo a quello italiano…

Esistono esempi concreti che dimostrano come alcune iniziative influiscano anche sull’aspetto culturale. La Francia ha raggiunto di 2 figli per donna, che garantisce il ricambio generazionale, attraverso interventi in buona parte di natura economica: hanno il quoziente familiare e aiuti a chi mette al mondo il terzo figlio. Ci sono poi i Paesi del Nord (mi riferisco a quelli scandinavi, al Regno Unito e all’Olanda), che forniscono forme di assistenza sul piano della cura e coinvolgono anche i papà in merito ad interventi per conciliare famiglia e lavoro. Lei ha citato la Germania: ebbene, proprio per via del calo demografico, recentemente sta implementando gli interventi di natura economica e fiscale. Soltanto noi rimaniamo inerti o quasi dinanzi a questa realtà.

Il presidente della Camera, Laura Boldrini, rilevando che l’Italia è a crescita zero dal punto di vista demografico, ha detto qualche mese fa che si rende necessario accogliere “un congruo numero di migranti ogni anno”. Gli immigrati risolveranno la crisi demografica italiana?

Posto che gli immigrati rappresentano una risorsa, è pur vero che se ne arrivano in numeri esorbitanti, diventano un grosso problema, dal punto di vista della casa e del lavoro ma anche da quello dell’integrazione culturale. Venendo al nocciolo della questione, è evidente che gli immigrati sono utili in termini demografici, perché sono gente giovane che svecchia il Paese e che fa i figli. Quest’ultimo aspetto va tuttavia un minimo approfondito: nel 2015 i nuovi nati da coppie immigrate sono stati 72mila, ma l’anno prima sono stati 76, l’anno prima ancora 78 e quattro anni fa 80. Il numero di figli per donna, tra gli stranieri in Italia, era 2,6 nel 2006, è diventato 1,9 nel 2015. In fretta le coppie straniere si sono accorte che mettere al mondo figli nel nostro Paese è problematico, soprattutto se non hai nemmeno i nonni a cui affidarli. C’è quindi un veloce adattamento al modello locale. Pensare che gli immigrati riempiranno le culle vuote è un’illusione.

Si dice che pagano le pensioni dei nostri anziani…

È vero, però i contributi previdenziali che gli immigrati stanno versando oggi, gli dovranno essere restituiti domani. Se ci proiettiamo al 2030, ci saranno in Italia circa 200mila stranieri sopra i 65 anni che spesso hanno versato pochi contributi perché sono diventati regolari in ritardo e che avranno verosimilmente pensioni da fame. In qualche modo bisognerà integrargliele.

C’è tuttavia qualcuno che trae profitto dall’inverno demografico. Dietro la demonizzazione delle campagne a favore della natalità, si scorge lo zampino dell’industria della fecondazione artificiale?

È chiaro che più si allunga l’età della maternità, più si diffondono quegli interventi per recuperare per altre vie la fecondità perduta. Quindi è possibile ciò che dice, poiché gli interessi sono talmente importanti per cui qualcuno teme di perdere mercato.

 

Fonte: zenit.it