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MERAVIGLIAMOCI

MERAVIGLIAMOCI

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Pullulano sui media le statistiche e le inchieste sulle fatiche del quotidiano vivere. Tutto aumenta, tranne le buste paga. Anche il Billionaire s’è adeguato ai tempi e prevede un menù turistico di soli 200 euro. Chi l’ha proposto, ha rischiato di prenderle. Maria Antonietta offriva cornetti caldi a chi chiedeva pane. Le hanno tagliato la testa. Secondo i media, e le nostre tasche vuote, le famiglie in Italia sono ormai alla disperazione. Se poi hanno messo al mondo dei figli, con quel che costano, sono finite. Ma il punto di partenza irrinunciabile è un altro e i media non l’hanno capito: è la passione per l’amore, per la vita. Aprirsi alla vita, sempre e comunque. Questo consente di sopportare, superare, condividere, gioire, nonostante le difficoltà o le iniquità o le ingiustizie. Diventa più facile rinunciare all’effimero, al desiderio, alla volubilità che si insinuano ogni giorno nel nostro vissuto. È una questione di scelte, consapevoli e responsabili. Si è scelto la vita, perciò tutto il resto passa in secondo piano. Non è solo un discorso di sobrietà ma piuttosto di sobrietà felice. Felice perché non imposta ma scelta. Ci sono persone che escono di casa alle sette del mattino e tornano alle sette di sera. E’ la necessità di quadrare un bilancio familiare messo sempre più in crisi da un sistema economico che impoverisce molti per arricchire straordinariamente pochi. C’è il mutuo da pagare, le rate della macchina, talvolta qualche malattia da curare. Qui la possibilità di ridurre le entrate diventa quasi una bestemmia. Ma, non neghiamolo, è sotto gli occhi di tutti: in molti altri casi si tratta di una serie di bisogni e desideri indotti dal mercato o dalla moda, di riempire la casa di ammennicoli e chincaglierie, di gareggiare per farsi vedere e ammirare da amici e parenti. In una parola, vanità. Nelle case dove abbonda la vita, sovrabbonda la grazia, manca la vanità. Genitori che mettono prima di ogni cosa, anche la più bella e desiderabile, la propria famiglia, trovano mille modi, mille congetture, mille idee per risparmiare, recuperare, riciclare, conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia e fare in modo, pur con difficoltà e rinunce, che il lavoro vada a servizio della famiglia e non il contrario. Questo Paese ha un estremo bisogno di famiglie che si aprano alla vita. Siamo all’ultimo posto per natalità in Occidente, cui dobbiamo aggiungere il dramma degli omicidi legalizzati che chiamiamo aborto. Famiglie capaci di testimoniare, soprattutto in tempi di crisi, che si può conciliare l’apertura alla vita con le necessità vere, e non la frenesia di questo mondo, sono una benedizione.
Non significa rinunciare a combattere le ingiustizie e le iniquità: spesso le famiglie – come nel caso delle tariffe elettriche o dell’attuale struttura fiscale e tributaria – portano sulle proprie spalle il peso di un costo maggiorato per sopperire alle necessità o alle vanità dei single o delle coppie di fatto; tanto meno accettare una cultura intrisa da teorie neomalthusiane che vedono nell’apertura alla vita un attentato al benessere e al futuro del pianeta. Ma “senza figli non c’è futuro”. Proprio i media ci hanno fatto credere, per anni, che mettere al mondo dei figli sarebbe stata una cosa noiosa, pesante, faticosa e costellata di sacrifici, rinunce, delusioni. Non è vero. Me ne accorsi fin dalla nascita di Francesco. Ero lì, mentre lui spalancava gli occhi alla vita ed i miei, di occhi, si inumidivano di lacrime. Lì, vivendo con Egle mia moglie il miracolo della vita, capii che qualunque “rinuncia” al mio ego, alle mie ambizioni, sarebbe stata ben poca cosa di fronte a quel miracolo che avveniva in quel momento davanti a me. Successe altre quattro volte, ed ognuna di quelle volte ci siamo detti, con Egle: è meraviglioso. Senza figli non c’è futuro. Senza figli, non c’è meraviglia.
Meravigliamoci.
Mario Sberna