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Le calde relazioni amicali scacciano la paura, anche del Covid

Le calde relazioni amicali scacciano la paura, anche del Covid

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Per elaborare quanto stiamo vivendo, e i sentimenti che ne stanno alla base, abbiamo chiesto il consulto di un’esperta: Antonella Spanò

L’argomento della paura, del tergiversare nell’agire, è fra i temi più difficili dell’appena trascorso 2020. Molti hanno vissuto, invero, la pandemia da Covid-19 come un “trauma collettivo”, come quando, sotto i bombardamenti, un intero popolo non sa più cosa pensare e si sente smarrito. Tale sentire accomuna tutte le classi sociali, non c’è differenza fra il contadino e l’avvocato, la casalinga e la scienziata nucleare. Eppure, si può invertire la rotta! Ce lo insegnano non tanto i negazionisti del virus, ma gli stessi bambini che hanno sofferto di più la solitudine di quest’ultimo anno e, intrepidi, quando hanno potuto rincontrarsi coi compagni o gli amici, ne hanno beneficiato subito, ricaricandosi. C’è una teoria a tutto ciò, e a spiegarla, abbiamo avuto il piacere d’intervistare Antonella Spanò, psicologa e psicoterapeuta che opera a Bagheria,
autrice di saggi per Città Nuova.

                               (Antonella Spanò)

Come crede s’inneschi, nell’unanime sentire popolare di oggi, il sentimento della “paura”?
«L’epidemia Covid-19 ci ha fatto comprendere con chiarezza che l’uomo non ha potere sulla natura. Pensavamo di potere controllare con la medicina e la tecnica tutto o quasi e adesso abbiamo capito che eravamo vittima di un’illusione. Non siamo in grado di controllare nulla e ce lo dimostra ogni giorno non solo il Covid, ma anche la natura e gli stessi grandi fenomeni migratori che ci coinvolgono. La paura, non solo per la morte, ma anche per le ricadute socio-economiche che il contenimento del virus sta causando, ci sta facendo vivere un’esperienza traumatica tanto individuale quanto collettiva. Per la prima volta nella storia dell’umanità, l’intero globo ha paura»

E’ veritiero che durante la pandemia, ancora tristemente attuale, sono aumentati gli episodi di violenza nelle famiglie e le richieste di aiuto?
«Gli studi che sono stati svolti in questi mesi hanno messo in evidenza come la paura, la solitudine e l’isolamento, causati dalle misure di contrasto al Covid-19, stanno facendo aumentare l’ansia e la depressione, e le richieste di aiuto sono sì aumentate del 20%.  Tristemente sono aumentati anche i casi di violenza all’interno delle mura domestiche.
I centri antiviolenza hanno registrato un aumento significativo delle richieste di aiuto. Obbligati a stare insieme dentro spazi ristretti manifestiamo purtroppo maggiore aggressività». 

Quanto ha inciso negli italiani la fobia del contagio e la mania di controllo?
«In un momento storico in cui abbiamo perso le nostre sicurezze e tutto ci appare incerto, controllare il controllabile ci rassicura perché ci permette di contenere le paure.
E’ estremamente importante che adottiamo delle misure di sicurezze, ma dobbiamo stare attenti a non esagerare con comportamenti eccessivi perché rischiamo di rovinare la qualità della nostra vita›».

E che diciamo dell’ansia e dell’angoscia di non uscire più da questo tunnel? E, per chi ce l’ha fatta, delle “crisi di panico” seguenti? Che pensiero positivo usare per affrontarle?
«Ogni crisi rappresenta un travaglio, la possibilità per noi di trasformarci e cambiare. Abbandonarsi al travaglio della crescita lasciandosi andare non è tuttavia semplice, ci irrigidiamo dentro al ricordo del passato, vorremmo poter tornare indietro a com’era il mondo prima del Covid. Per uscire da quello che tu chiami tunnel, cosa fare?  C’è una magnifica arte giapponese che ci può venire incontro, si chiama “kintsugi” e consiste nel restaurare con l’oro oggetti in ceramica che si sono rotti. Questa tecnica permette di ottenere opere d’arte uniche. Allo stesso modo anche noi possiamo mantenere la fiducia che, sia individualmente che socialmente, possiamo da questo disastro, tirare fuori un’umanità migliore». 

Sappiamo che il nostro cervello è fatto di varie parti. Come far emergere le più evolute?
«I recenti studi di neuroscienze ipotizzano che il cervello sia formato da tre cervelli.
Il 1°, quello rettiliano, è sede delle emozioni, deputato all’aggressività, all’autoconservazione. Il 2°, quello limbico, è la parte che ci aiuta a comprendere e a comunicare. Il 3°, la neocorteccia, è la parte più creativa, quella che ci permettere di risolvere i problemi. Quando ci troviamo in presenza di un pericolo il nostro cervello rettiliano agisce attivando i processi di attacco e fuga, per poter calmierare questa parte dobbiamo attivare tutti quei comportamenti che possono tranquillizzare l’animale che è in noi, ovvero offrirgli segnali di accoglienza corporea, sguardi rassicuranti, empatia. Possiamo sicuramente cercare il contatto amicale e familiare, anche se solo virtuale, limitarci a guardare un solo notiziario al giorno per non aumentare le angosce, attivare la nostra neocorteccia cercando soluzioni creative allo stress che viviamo».

“Non tiepidi, ma ardenti” (cit. Chiara Lubich, 28 febbraio 1991). Cosa pensa di questo pensiero?
«Le parole di Chiara Lubich ci invitano ad alimentare il fuoco dell’amore vicendevole, nessuno riesce a tollerare un amore tiepido. Abbiamo bisogno di stare sempre di più vicini gli uni agli altri per sentire l’appoggio e il sostegno vicendevole. In questo momento di incertezze non ci deve mancare e non possiamo fare mancare l’appoggio fraterno».

Sono davvero importanti le calde, accoglienti, relazioni amicali…
«Sì, la stessa esperienza della paura ha bisogno di essere condivisa e compresa: non può rimanere chiusa dentro l’organismo. Parlare ad un’altra persona che ci è amica di quello che ci turba ci permette di avviare proprio il percorso verso il superamento della crisi…».

Quanto conta agganciare anche lo sguardo altrui per trarne/dare conforto?
«Il nostro corpo si è evoluto proprio per stare in relazione. Il ricercatore Michael Tomasello sostiene che la sclera del nostro occhio, ovvero la parte bianca, si sia evoluta in questo modo per permetterci di seguire lo sguardo degli altri. Fin da bambini impariamo a seguire la direzione dello sguardo degli altri e crescendo impariamo ad usare lo sguardo per dialogare, accogliere, sostenere gli altri. Se qualcuno guarda il cellulare mentre gli parliamo, non ci dà il senso dell’accoglienza proprio perché sappiamo che il suo sguardo non è diretto verso di noi, viceversa se veniamo guardati ci sentiamo riconosciuti e rassicurati».

Quanto crede incida, per i fedeli, l’approccio anche col proprio pastore, per sentirsi inglobati in una comunità, e desiderare, insieme, d’andare “avanti e in alto”?
«
Quando viviamo un momento di crisi abbiamo bisogno di sentirci dire che va tutto bene e che saremo sostenuti. I nostri parroci e le nostre comunità parrocchiali ci offrono questa sicurezza, sappiamo che sono dei punti fermi nella nostra vita e questa consapevolezza ci permette di vivere con maggiore fiducia il presente e di cominciare a progettare il futuro».

Crede che alleggerendo il cuore e la mente, lo stesso corpo sia più predisposto a stare in salute?
«
Guardare al nostro presente con un pizzico di romanticismo e immaginare che tutto quello che ci accade ci aiuterà a crescere, ci alleggerisce il cuore. Tutte le intemperie e gli eventi della vita che ci accadono non ci impediscono di crescere. Guardiamo alle nostre crisi leggendole in una chiave diversa, non quindi solo come eventi che possono arrestarci, ma come occasioni per migliorarci».

di Patrizia Carollo