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Istat: in ulteriore calo il numero dei matrimoni nel 2020

Istat: in ulteriore calo il numero dei matrimoni nel 2020

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L’Istat ha diffuso i dati del 2020 sull’andamento dei matrimoni nel Bel Paese. Il Covid ha fatto danni anche in questo settore: un calo decisamente significativo sia in termini di matrimoni religiosi che di matrimoni civili. Certamente l’impossibilità di vivere pienamente le cerimonie e le feste di matrimonio ha inciso, tuttavia è bene ricordare che ormai da alcuni anni il calo è costante e, purtroppo, significativo. E ne conosciamo ormai le ragioni: per gli incentivi al matrimonio, come alla natalità, l’Italia è fanalino di coda in Europa. E non si profila all’orizzonte un cambiamento positivo significativo, nemmeno col PNNR: alla famiglia sono dedicati spiccioli quando non, addirittura, peggioramenti.
Come ormai sappiamo bene l’Assegno Unico infatti costringerà circa mezzo milione di famiglie alla clausola di salvaguardia.
Il problema di fondo è dunque quello di definire interventi capaci di rimuovere davvero gli ostacoli che, ad oggi, si frappongono tra il forte desiderio del “per sempre” (che è certificato come desiderio in tutte le ricerche tra i giovani!) e un incremento della natalità che in realtà da troppi anni è a decremento continuo.
In questo Paese, in questo governo, ora, occorre chiedersi finalmente e seriamente quali fattori impediscano di conciliare le aspettative di matrimonio, maternità e paternità con le condizioni per la loro realizzazione. In particolare, come incentivare matrimonio e natalità in un Paese che è fortemente destinato a un progressivo e disastroso invecchiamento della popolazione?
Rispondere a tali interrogativi significa, nel concreto, riportare al centro del dibattito politico la famiglia, sia come soggetto promotore di sviluppo e di benessere sociali, saldando e preservando il legame intergenerazionale; sia come luogo in cui coltivare il futuro, il desiderio di maternità e paternità, rintracciando quelle difficili alchimie socio-economiche all’interno della realtà italiana pongono a nostro completo sfavore, nostro soprattutto di noi, le famiglie con tanti figli.
E vi sono stringenti motivi socio-economici, legati prevalentemente alla sfera della casa e del lavoro – e quindi del reddito familiare – che condizionano pesantemente la scelta di unirsi in matrimonio per i nostri figli e le scelte di natalità delle famiglie.
Tutte le ricerche scientifiche affermano che il desiderio di figli per le coppie italiane è di 2,19 e quindi superiore a quel 2 che mantiene invariata la popolazione e di molto superiore al dato concreto: di 1,25 figli a donna, ultimi in Europa, che porta dritto verso l’estinzione del Bel Paese.
Ma il mercato del lavoro italiano è ancora ancorato ad una visione tradizionale dell’organizzazione del lavoro, che prevede il rispetto di un orario standardizzato, difficilmente conciliabile con i ritmi attuali delle famiglie. Soprattutto nel settore privato, sono decisamente poche le donne che nei luoghi di lavoro hanno la possibilità di utilizzare forme di flessibilità di orario, per esempio in entrata e in uscita. Per non dire del licenziamento in caso di gravidanza: è talmente usuale questa malefica pratica che la notizia di un imprenditore capace di assumere comunque una donna incinta, ha fatto il giro di tutto l’universo mediatico, dalla carta stampata ai social.
Miracolo: ma proprio perché tale, conferma la regola. Che altro dire? Continuiamo a sperare.

Alfio Spitaleri