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Il modello svedese: siamo sicuri che sia quello buono?

Il modello svedese: siamo sicuri che sia quello buono?

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Quando si parla di politiche per la natalità, conciliazione lavoro-famiglia, di servizi per l’infanzia il discorso cade quasi inevitabilmente sulla Svezia, un modello europeo, uno dei paesi a più alto tasso di fecondità (1,9 figli per donna, in Italia siamo a 1,42), con un altissimo tasso di occupazione familiare e politiche sociali “all’avanguardia”.
Ma siamo sicuri che sia tutto oro quello che luccica? La pulce nell’orecchio ce lo mette un pamphlet relazione presentato lo scorso 3 novembre a Bruxelles a cura del Forum Europeen des Femmes. Intitolato “Lessons learned from Swedish family policy” ovvero : le lezioni delle politiche familiari svedesi, il pamphlet riporta il testo presentato da Jonas Himmelstrand, esperto consulente che scrive nella sua presentazione: quando il mio primo figlio aveva tre anni, mi resi conto che nel cortile non c’erano bambini con cui giocare, come facevamo noi negli anni ’50. Infatti tutti i bambini della sua età erano a scuola. In quel momento ci rendemmo conto che i nostri figli avrebbero dovuto rimanere a casa almeno per i loro primi tre anni di vita.(…) .
Padre di tre figli (classe ’94, ’98 e 2004) Himmelstrand scrive: “Essi mi hanno insegnato più di qualsiasi corso sull’educazione”…
Dal suo lavoro , che qui alleghiamo nella sue edizione inglese, apprendiamo molto del modello svedese, con i più bassi indici di mortalità infantile, alta aspettativa di vita, alto indice di natalità, bassi tassi di povertà infantile e grandi investimenti sul sistema educativo, nonchè ampi congedi parentali e uan diffusa coscienza di equità tra i generi. Si direbbe , appunto un’isola felice dove i bambini tra 1 e i 5 anni sono all’86% (percentuale che sale al 95% per i bimbi dai 2 ai 5 anni) curati dai servizi per l’infanzia e i genitori sono entrambi fortemente spinti a lavorare, dove a un forte supporto per usufruire dei servizi per l’infanzia corrisponde una visione altamente negativa di chi cura i propri figli, la famiglia non è considerata una entità sociale e non è consentita l’educazione a casa (home schooling, in grande diffusione in tutto il mondo).
Dall’analisi di Himmelstrand apprendiamo, con sconcerto, anche alcuni dati sulla qualità dei servizi per l’infanzia così ampiamentie utilizzati e supportati: negli istituti, i gruppi di bambini (anche sotto i tre anni) non sono mai inferiori ai 10 componenti, spesso piuttossto salgono a 14 e addirittura a 17 bambini, mentre i gruppi di bambini 3-5 anni raggiungono anche i 25 -30 componenti e il rapporto ottimale 1: 5 è di fatto 1:7 o addirittura 1:10.E, cosa ancora più grave, la tradizionale attenzione al gioco lascia sempre più spazio all’insegnamento, anche nei primissimi anni di vita. Insomma, più scuola, meno gioco.
Le conseguenze di questo sistema, afferma Himmelstrand, non si fanno aspettare e la Svezia soffre, tra l’altro, di un aumento di problemi psicologici tra i giovani, alti indici di malattia tra le donne, un peggioramento della qualità dei servizi per l’infanzia, crescita di problemi disciplinari nellle classi e un deterioramento delle capacità genitoriali degli adulti, anche quelli di cultura o status sociale medio alto.
Insomma, ammonisce il consulente, attenzione ai modelli che volete seguire: in Svezia il modello sociale non si sta dimostrando sostenibile e democratico e cresce il desiderio tra le mamme, soprattutto tra le più giovani, di trascorreere più tempo con i figli, cresce il disagio tra i genitori forzatamente lontani dai figli e tra i ragazzi, ai quali, il sistema educativo tra pari, sta comportando problemi di disinteresse, bullismo, conformismo…
“Le politiche familiari in Svezia non sono sostenibili emotivamente dalle famiglie e forse nemmeno democratiche” conclude Himmelstrand. Meditate, gente, meditate…

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swedish_family_lessons_101103.pdf