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Family Act. Sberna: «Molto ancora da fare, famiglie numerose povere penalizzate»

Family Act. Sberna: «Molto ancora da fare, famiglie numerose povere penalizzate»

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Il Family Act e l’assegno unico sono positivi più negli intenti che negli effetti. Le nuove misure di welfare segnano un inizio incoraggiante ma penalizzano almeno il 20% delle famiglie italiane, specialmente i nuclei più numerosi. A segnalarlo è Mario Sberna, presidente dell’Associazione Famiglie Numerose, che, intervistato da Pro Vita & Famiglia, ha colto un aspetto centrale, eppure pressoché assente nel dibattito: aiutare i genitori, e in particolare le madri, a stare a tempo pieno con i figli nei primi tre anni di vita è un investimento e un gioco a somma positiva anche per lo Stato.

 

Cosa ne pensa delle misure contenute nel Family Act?

«Credo ci sia ancora molto da fare. Prima non c’era nessuna attenzione alla famiglia e adesso quell’attenzione c’è, questo è già qualcosa. Dopodiché, è fin troppo evidente che ci sono molte cose da aggiustare, come l’assegno unico. Non tutte le famiglie sono coperte dalla clausola di salvaguardia e il 20% di loro ci perderà: questo è un brutto inizio. Bisognava fare in modo che ogni famiglia si ritrovasse con un minimo di soldi in più in tasca, cosa che non è avvenuta».

Nessuna rivoluzione, dunque, come hanno commentato alcuni giornali?

«Dopo tanto tempo, finalmente qualcuno rivolge un pensiero alla famiglia e credo questa sia una cosa positiva. Abbiamo qualcosa che prima non c’era ma che non risolve niente. Purtroppo, c’è da fare molto di più e speriamo si provveda. Se non si provvede adesso che c’è una maggioranza stratosferica in Parlamento e che abbiamo i soldi del PNRR, quando mai si farà? Detto ciò, non sono certo questi i “fuochi d’artificio” che riusciranno, ad esempio, ad invertire il drammatico tasso di denatalità che abbiamo o ad attenuare la povertà che ha raggiunto livelli impressionanti, in particolare tra le famiglie numerose. L’assegno unico non tenta nemmeno di sanare la povertà delle famiglie numerose che, al contrario, è cresciuta. Per cui, in sintesi, direi: bene come inizio, male come risultati attesi. Servivano più soldi e più contenuto. Il contenitore finalmente c’è ma, quanto al contenuto, ancora non ci siamo».

L’assegno sarà versato per i figli fino ai 21 anni: come giudica questa misura?

«È qualcosa che davvero non riesco a spiegarmi. Dopo i 21 anni, la maggior parte dei giovani sono ancora a carico delle famiglie. Quando studiano all’università, poi, costano più di quando sono piccoli. Prima, gli assegni familiari si prendevano anche oltre i 21 anni, ora non più. Perché non fino a 24 anni, visto che mediamente i ragazzi si laureano a quell’età? O comunque, perché non fino a quando sono a carico dei genitori? È una di quelle cose che non si capiscono… Poi c’è la questione delle famiglie che prima non ricevevano l’assegno, perché erano partite IVA e magari hanno un ISEE bassissimo, perché dichiarano meno dei loro dipendenti. Io avrei tolto l’ISEE e avrei messo una cifra uguale per tutti, come in Germania, dove, per ogni figlio che metti al mondo, ricevi una quota di servizio dello Stato».

Meglio investire negli asili nido o allungare i congedi parentali?

«La cosa migliore l’ha fatta la Germania che non ha più avuto bisogno di costruire asili nido e il genitore che rimaneva a casa, si prendeva 850 euro mensili. Lo Stato risparmia almeno mille euro al mese per ogni bambino. La famiglia ne risparmia quei 600-700 che dà come contributo all’asilo e siamo già a 1600. In questo modo lo Stato dà 850 euro come mantenimento al genitore che rimane a casa per tre anni. Investendo sugli asili nido, siamo proprio sicuri che le donne (o anche gli uomini) abbiano tutta questa voglia di fare una carriera stratosferica come quella dei nostri politici o di diventare tutti medici o gli ingegneri aerospaziali? O forse la maggior parte dei genitori sono commessi o operai, quindi, stanno volentieri a casa con un lavoro e uno stipendio assicurato? Io mi pongo questa domanda e ho già la risposta: sì, resterebbero a casa più volentieri. Forse dovremmo correggere il tiro ma il punto rimane quello. Finché metti delle donne in carriera a dire come si dovrebbe fare, la gente penserà che le donne siano tutte come loro, che preferiscono avere qualcuno da cui “parcheggiare” i figli, perché intanto loro hanno di meglio da fare. Io quantomeno la penso così…».

Fonte: provitaefamiglia.it