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Diario di maestra numerosa: siamo in piena estate

Diario di maestra numerosa: siamo in piena estate

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Siamo in piena estate, dopo mesi assurdi, sospesi, surreali.
La data in cui scrivo è il 20 luglio 2020 e mia figlia Emma, 12 anni, questa mattina, mi ha chiesto: “Mamma, ma perché a me non sembra di essere in vacanza?”
Bella domanda. Non così scontata la risposta, bambina mia. Forse perché siamo a casa da scuola dal 23 febbraio e non hai notato questa grande differenza? Oppure perché noi, come tante altre famiglie ma a differenza della maggior parte, non abbiamo ancora ricominciato una vita completamente “normale” e stiamo ancora abbastanza attenti? Oppure perché non sei potuta andare in montagna all’annuale campo estivo con il gruppo della parrocchia per il semplice fatto che è stato annullato in quanto incompatibile con le norme anti-Covid19? Non lo so. Davvero, non ne ho la minima idea.
Quello che so è che, facendo un passo indietro, da marzo a maggio, tra spese virtuali e consegne a domicilio, passeggiate in solitaria in mezzo ai campi di gialla colza e rossi papaveri, tra tripli giri quotidiani al cassonetto del vetro, del verde e dell’immondizia e uscite in edicola con tanto di cane al guinzaglio per essere più convincente, tra pulizie
di Pasqua completamente inutili in casa, in cantina e in garage e file con guanti e mascherina in attesa del mio turno per entrare in farmacia, ho dedicato tutto il resto del mio tempo soprattutto alla Dad. Sì, la Dad, l’ormai sulla bocca di tutti didattica a distanza che ha dato una parvenza di routine scolastica a milioni di bambini e ragazzi relegati in casa, per la prima volta della loro vita. Da una parte un vero e proprio salvagente per non affondare nella burrasca della pandemia, dall’altra un reale incubo al pensiero dell’eventuale semaforo rosso che in autunno ce la potrebbe fare ricominciare.
Computer sempre accesi, tablet acquistati su Amazon in fretta e furia per permettere
a tutti i figli di avere un dispositivo con cui collegarsi, stampanti che hanno esaurito la scorta di inchiostro alla seconda settimana di lockdown.
Ma non solo: nessuna preoccupazione iniziale per gli effetti che l’isolamento avrebbe prodotto su bambini e adolescenti, anzi, la didattica a distanza ha addirittura permesso alle famiglie, genitori in primis, di entrare in classe, o meglio, nell’aula virtuale e poter così avere finalmente tanti, ma tanti argomenti di cui sorridere e conversare durante la cena. Ne racconto alcuni, anch’io sorridendo, perché sono davvero carini!
Del tipo, certo che la maestra ha delle belle pretese a pensare che la piccola Nicole sia
già sveglia alle nove del mattino e pronta per imparare a mettere in colonna unità, decine e centinaia. E vogliamo parlare di quando, chiaramente la stessa maestra, ha proposto di sfornare una torta tutti insieme durante la videolezione? Viene poi lei a passare lo sgrassante sui mobiletti e il mocio sul pavimento? Ma non lo sa, la pedagoga, che anche i genitori lavorano? Saranno pure a casa in smart working ma mica possono restare a disposizione della scuola! E il povero Leo che alle 16 deve smettere di giocare a Fortnite con altri tre schizzati come lui perché la videolezione del mercoledì è pomeridiana?
Ma la scuola non è stata chiusa per la pandemia? Questi bambini non possono quindi fermarsi un attimo? Qualcuno venga a salvarli!!!! E dove, invece, di Dad se n’è fatta poca? Commenti al contrario, è naturale. Ma la cosa bella, che, forse, come genitori non abbiamo messo del tutto in conto, è il rovescio della medaglia: vero che le famiglie sono entrate in classe con maestri e compagni di classe dei figli ma gli insegnanti hanno avuto le porte spalancate in 25 case e non so cosa sia meglio. Sinceramente, scusatemi per la franchezza, noi insegnanti non l’abbiamo trovato proprio sempre, sempre, piacevolissimo. Diciamo che tante situazioni, imprevedibili, ce le saremmo risparmiate volentieri. Tralascerò quelle poche successe a me personalmente (mi ritengo una privilegiata perché avevo un’ottima classe anche sotto questo punto di vista), ma ne avrei parecchie in mente, anche divertentissime, raccontate da fonti affidabili. Che dire di un amabile fratellino che, sullo sfondo, davanti allo specchio dell’armadio, si è tolto il pigiamino e, come Dio l’ha fatto, è rimasto lì, beato e pacifico, a provarsi magliettine nuove dei supereroi? E la pargoletta la cui la mamma, nascosta nella stanza e convinta che nessuno se ne sarebbe accorto, ad un certo punto ha sbottato pesantemente urlandole “ma allora è vero che non capisci niente neanche di inglese!”. Peccato che, se in tempi di scuola in presenza, la maestra gliel’avesse fatto notare, la genitrice avrebbe risposto che la cosa era molto strana perché a casa la piccola sa sempre tutto, si vede che in classe si blocca per la soggezione che le incute la docente. E il marmocchietto che, mentre è collegato, continua a dondolarsi sulla sedia causando la reazione del papà il quale, facendo capolino sullo schermo (di tutta la classe, ovviamente), sbraita furioso che dopo gliele avrebbe suonate di santa ragione? Se, però, il gustoso nanetto si dondolasse sulla sedia di scuola disturbando tutti i compagni, sarebbe senz’altro colpa della lezione noiosa che gli causa iperattività.
E i gatti? Anche loro star assoluti della scuola a distanza: hanno sfilato, ininterrottamente per settimane, davanti agli schermi, addolcendo momenti di stanchezza e portando dolcezza e voglia di coccole. Potrei procedere con altri, troppi esempi sia visti da una parte che dall’altra e raccontati in assoluta simpatia e completa comprensione per entrambe le parti, non fosse altro che sono sia mamma che maestra. E da ambedue i miei ruoli, i miei complimenti vanno ai veri protagonisti della Dad, i nostri bambini che hanno dato, a noi adulti, una bella lezione di coraggio, flessibilità, impegno, responsabilità e tanta, tanta resilienza. Da una recente ricerca commissionata da autorevoli Editori, è infatti emerso che i piccoli hanno superato brillantemente la dura prova del Covid-19, mostrando adattabilità e ottimismo, influenzando così in positivo il clima familiare, non sempre brioso (e ne sappiamo qualcosa proprio tutti).
La conclusione può essere una sola, considerando che il mese di settembre non è per niente lontano: meno male che con la didattica a distanza abbiamo potuto tamponare un imprevisto inimmaginabile, ma ora basta, anche se il momento critico dovesse continuare, la Dad non deve riavere il suo posto d’onore, se non per brevissimi periodi e in caso di necessità contingenti. Perché la scuola da remoto ha fatto compagnia a tutti, ha ridato routine ai bambini e aiuto alle famiglie ma non è stata scuola.
La Scuola con la S maiuscola è presenza, è confronto dal vivo, è collaborazione a gruppi,
è scambiarsi un pezzettino di panino in cambio di due patatine, è chiedere di andare in bagno per fare una piccola passeggiata, è fare l’intervallo in giardino correndo a perdifiato, è pranzare in mensa lamentandosi della pessima qualità del cibo.
La Scuola è esperienza diretta, è incontro (e a volte, per fortuna, anche scontro) con il compagno, con il maestro, con il collega.
La Scuola è emozione e contatto fisico, non è uno schermo che si può oscurare o un microfono silenziato. Se è vero che con il virus ci dobbiamo convivere, è ancor più vero che, con ogni prudenza possibile, a scuola ci dobbiamo andare, dato e considerato, tra l’altro, che stiamo andando in piscina, al bar, in spiaggia, al centro estivo, alla movida, su per affollatissimi sentieri di montagna che, in teoria, secondo una non ben chiara logica, sarebbero dovuti essere deserti.
Settembre si avvicina e i ragazzi vogliono tornare a sedersi nei banchi della loro aula e alzare la mano per prendere la parola. I genitori vogliono avere la certezza che i loro figli stiano dove devono stare per tot ore al giorno, non perché la scuola è un parcheggio, ma, semplicemente, perché è il posto dei bambini quando non sono a casa. E gli insegnanti, sì, anche gli insegnanti, avrebbero qualche semplice pretesa, assolutamente realizzabile tra l’altro, come radunare il gruppo classe in cortile e portare dentro i loro alunni in fila per due sgridandoli per il baccano che producono, fare l’appello sorridendo dal vero ad ogni bambino che risponde con un “ma sì, maestra, ci sono, non mi hai visto?”, girare per i banchi e spostare la frangia a chi ce l’ha sugli occhi e scrive storto, insegnare ad impugnare correttamente la penna perché, fino a prova contraria, è, appunto, una penna e non una vanga, posizionare correttamente le sedie sotto i banchi e far raddrizzare schiene che rischiano, un domani, di assomigliare a quella del Gobbo di Notre Dame.
Non chiedono molto, né gli scolari, né i genitori (per non parlare dei nonni), né il corpo docente.
Fateci, solo, andare a scuola tra poco più di un mese e fate in modo che si possa continuare ad andarci anche con gli imprevisti del caso.
Distanziati ma vicini, a un metro di distanza ma in presenza.
Vogliamo una Scuola inclusiva e per tutti e la possiamo vivere solo nell’aula reale, non in quella virtuale.

di Barbara Mondelli