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Diario di maestra numerosa: Ormai è quasi un anno

Diario di maestra numerosa: Ormai è quasi un anno

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L’impressione è che ormai il respiro manchi a entrambe le categorie: maestri e bambini.
E non perché soffriamo d’ansia (o meglio, non solo) ma perché, a forza di indossare la mascherina siamo diventati anche quasi sordi e mezzi ciechi. Io, perlomeno, non ci vedo più e ci sento ancora meno, è un continuo chiedere “cosa hai detto?”, “alza la voce”, “non ti sento”, neanche avessi 97 anni. Gli occhiali non si possono tenere perché si appannano e la mascherina, che lascia liberi solo gli occhi ma preme sulle orecchie, fa girare la testa. Non resta altro che guardare solo dritto come i cavalli con il paraocchi e i bambini più affaticati sono proprio quelli che devono portare anche gli occhiali, completamente incompatibili con l’odiata mascherina: lenti offuscate e sguardo stravolto.
Se questo continua ad essere uno dei tanti prezzi da pagare pur di continuare ad andare a scuola in presenza, ok, lo accettiamo ma se l’uso della mascherina garantisce salute da una parte, la toglie dall’altra e il buon senso mi dice che, anche a questo proposito, dovremmo trovare un punto di equilibrio, pur rispettando, sempre e comunque, le linee guida, i regolamenti e tutto il resto.
Stiamo convivendo, sì, col virus, ma sulla pelle dei bambini e, soprattutto, dei ragazzi, relegati in casa con tanto tempo a disposizione non per annoiarsi, magari, sarebbe il male minore, ma per dedicarsi a tablet, cellulari, play station con tutti i rischi che il virtuale in eccesso comporta. Un conto è non abbassare la guardia, un altro non calcolare a dovere gli effetti devastanti a cui rischiano di andare incontro le nuove generazioni.
Non penso certo alla richiesta/pretesa della movida o dell’aperitivo a tutto spiano, ci mancherebbe, non rientra nei miei parametri di bisogni primari ma rifletto di continuo su diritti ben più semplici e attuabili: il diritto alla scuola per tutti (quella vera in presenza, non la Dad a distanza), il diritto alla relazione tra pari (quella vera fatta di contatto tangibile, non virtuale tramite WhatsApp), il diritto alla ginnastica e all’educazione motoria (quella vera in palestra o su un campo da calcio, non al banco fermi e distanziati), il diritto all’ora di musica (quella vera, non il mero ascolto, per quanto talvolta sublime, col divieto assoluto di cantare), il diritto alla fila per mano (quella vera, non indiana con lo zaino sulle spalle che segna il distanziamento tra un compagno e l’altro), il diritto al pranzo in mensa tutti insieme (quello vero, allo stesso tavolo, non ognuno al suo banchetto in solitaria e guai ad alzarsi), il diritto al momento della ricreazione per poter socializzare (quella vera, non con il cortile suddiviso in spazi distanziati col conseguente richiamo per chi osa mettere il piede fuori dall’area assegnata).
Potrei andare avanti ma mi fermo: nella mia visione sempre ottimistica delle cose, sono ormai spiazzata anch’io. Mi hanno sempre insegnato che ognuno di noi ha dei diritti solo quando ha adempiuto ai propri doveri, ma qua mi sembra che i nostri bambini abbiano molti doveri e nessun diritto. Devono tenere la mascherina, devono stare distanziati, devono restare seduti al banco, devono fare lezione con le finestre aperte/spalancate, devono autocorreggersi il compito, devono utilizzare solo ed esclusivamente il proprio materiale, devono lavarsi le mani con il gel igienizzante 500 volte al giorno, devono, devono, devono.
Cosa possono fare, in cambio? Possono mangiare la loro merenda senza scambiarsene, per carità, neanche una briciola, possono andare in bagno possibilmente ad orari stabiliti per non trovare alunni di altre classi, possono ascoltare le canzoni ma non ripeterle, possono disegnare ma non fare lavoretti di gruppo con i compagni. La paura è che si possa crollare e non perché siamo deboli o malati, anzi, mai come quest’anno, i bambini, nelle classi in presenza, ci sono tutti: se in passato i mesi autunnali erano il regno dello streptococco, del mal di gola, del raffreddore, del moccolo al naso e pure dei pidocchi ad oltranza dal 15 settembre al 7 giugno, quest’anno nessun bambino accusa alcun tipo di malessere e gli scolari, dove le scuole sono aperte, sono tutti al loro banco ben posizionato all’interno del nastro adesivo giallo che ne delimita lo spazio rispetto ai banchi vicini.
Segno che la mascherina e il distanziamento servono ma è qui, a mio parere, che si apre una nuova scommessa: trovare il giusto equilibrio tra le regole necessarie e il benessere, fisico e mentale. La mascherina stessa, in futuro, potrebbe anche diventare un valore aggiunto (ho un semplice raffreddore e la indosso così non lo attacco a nessuno), il distanziamento che è faticosissimo potrà anche avere molti aspetti educativi un domani, la Did continuerà ad essere comodissima se uno scolaro è a casa per lunghi periodi, la Dad sarà sempre meglio di niente se la scuola in presenza è improponibile per un certo periodo.
Ma ricordiamoci anche che ogni scuola è un piccolo mondo e i suoi componenti hanno il sacrosanto diritto di vivere e convivere insieme dato e considerato che, fino a prova contraria, è qui che i piccoli imparano ciò che poi metteranno in pratica nel mondo esterno. Non dimentichiamo che è importante mangiare intorno allo stesso tavolo, anche in gruppi ristretti, ma insieme, perché è qui che si pongono le basi per l’educazione alimentare, è qui che un bimbo assaggia gli spinaci perché la sua amichetta lo convince, è qui che c’è solo la pasta con i piselli e quindi se ne butta giù almeno una forchettata per non restare col pancino vuoto fino alle cinque, è qui che mangiare è sinonimo di serenità perché si scherza e si ride e non ci sono musi lunghi.
Teniamo a mente che la scuola è relazione e ricreazione e anche noi adulti, per fare bene il nostro lavoro, abbiamo bisogno di scambiare due parole con i colleghi e le colleghe che spesso sono anche i nostri amici e amiche eppure non li incrociamo più nemmeno in entrata e in uscita perché siamo scaglionati, nemmeno in cortile perché ogni classe ci va ad orari diversi. La fatica ad oltranza ha un limite e se io non voglio abbassare la guardia, voglio, però, vivere e far vivere almeno i miei alunni. Perché loro sono speciali e non si lamentano mai nemmeno del non poter allestire l’albero di Natale e il Presepe, non chiedono perché non ci saluteremo il 23 dicembre sul palco per il saggio di musica, lo sanno e basta, si accontentano di colorare immagini natalizie da appendere alle finestre, di guardare film d’animazione a tema natalizio, di uscire a giocare come e quando si può (li ho portati fuori dopo una nevicata: la luce che avevano negli occhi mentre costruivano un micro pupazzo di neve mi ha ripagato di tutta la fatica degli ultimi mesi).
Ma tutto ciò non è propriamente giusto, né corretto: può anche avere un valore educativo per certi versi, ma, serbiamone memoria tra un po’, quando tutto sarà finalmente finito, di quanto sono stati bravi, ubbidienti, rispettosi e resilienti questi bambini.
E, soprattutto, impariamo.

di Barbara Mondelli