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ANCORA SUL MITO DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE: TENIAMO ACCESO IL CERVELLO

ANCORA SUL MITO DELLA SOVRAPPOPOLAZIONE: TENIAMO ACCESO IL CERVELLO

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Si è chiusa la scorsa settimana, a Roma, l’Assemblea plenaria dell’unica tra le grandi agenzie internazionali dell’ONU che abbia avuto in sorte una sede permanente in Italia. Se la FAO sia una organizzazione benemerita che difende i diritti dei più poveri, come in questi giorni ci hanno ripetuto, o un inutile carrozzone che serve a spendere in alti stipendi per i suoi funzionari la quasi totalità dei soldi che l’ONU stanzia per il nobile scopo di cui sopra, è questione che non mi sento qui e ora di affrontare, mentre vorrei dire mezza parola su come i giornali riportano l’attuale congiuntura economica, dal punto di vista del diritto all’alimentazione dei paesi in via di sviluppo.

Si, perché da un lato bisogna dire, subito e prima di qualunque altra considerazione, che è vergognoso che il terzo mondo in generale, e i paesi della grande fame in particolare, abbiano così poco spazio nei nostri mezzi di comunicazione che hanno sempre tempo e colonne a sufficienza per dirci di che colore era il vestito di Annamaria Franzoni al primo giorno di carcere, o come si chiamino i figli del noto centravanti e della famosa velina; dall’altro lato è triste vedere come le rare finestre informative che, con la scusa della FAO o di qualche altra cosa, si riescono ad aprire su questi argomenti, vengono spesso strumentalizzate dai soliti noti per fini ideologici.

Quantomeno è sperabile che anche l’uomo della strada, acculturato su Cogne e su Totti ma all’oscuro su dove mai sia Myanmar o il Ciad, adesso abbia avuto un vago del sentore del fatto che c’è una crisi alimentare mondiale, dovuta all’impennarsi dei prezzi di qualcosa di molto, molto più prezioso che non il gas o il petrolio: i cereali di base.

I prezzi di grano e riso (ma pure della soia e del mais) sono schizzati verso l’alto. Negli ultimi anni il prezzo dei prodotti agricoli è rimasto abbastanza stabile, con una leggera tendenza al rialzo valutabile intorno al 3%. Poi, improvvisamente la svolta: dal marzo 2007 al marzo 2008 i prezzi hanno registrato un’impennata: il riso è salito del 74%, il grano del 130%, la soia dell’87%.

Nella nostra società triste ma sazia, in cui ormai quasi tutti guardiamo il grano come la leggenda vuole che lo guardasse Maria Antonietta nel 1789, e se leggiamo che aumenta il prezzo del pane, chissefrega, useremo le brioche, è difficile comprendere una realtà in cui all’improvviso mangiare e dare da mangiare ai propri figli diventa un lusso fuori portata, in cui l’esercito si schiera nelle campagne per impedire ai contadini di vendere il raccolto all’estero, in cui le autorità sono costrette a intervenire sul mercato delle farine per impedire speculazioni e rivolte, ma questo è lo scenario.

Da noi, oltre a parlare male di fornai e pastai se il prezzo degli spaghetti sale di qualche punto percentuale, si può solo provare a leggerlo, lo scenario, e anche questo lo facciamo male. Ancora una volta torniamo a sentir dire che la causa principale della crisi sta nella sovrappopolazione di quei paesi, e la cura sta in un ferreo controllo delle nascite, imposto (si capisce) coi nostri criteri alle loro riottose culture. Questo è il pastone che ogni volta ci riscaldano e ci ammanniscono, ripetendolo come un mantra quando le difficoltà dei paesi in via di sviluppo riescono a tirar fuori la testa, nel bene e nel male, dal gurgite vasto delle onde medianiche, e ogni volta sembra che suoni bene.

Peccato che i numeri dicano il contrario, che l’evidenza dimostri che i primi venti paesi più poveri del mondo (con l’eccezione del particolare caso Bangla Desh) siano tutti meno densamente popolati della Basilicata e della Val d’Aosta (che coi suoi 37 abitanti per kilometro quadro è 10 volte meno popolata della Lombardia e 12 volte meno della Campania), e che praticamente tutti i primi dieci paesi più ricchi del mondo siano ai primi posti per densità abitativa; peccato i numeri dicano che dal 1970 ad oggi la disponibilità di cibo pro-capite sia decisamente aumentata in tutto il mondo – anche nei Paesi dell’Africa sub-sahariana – malgrado la popolazione sia quasi raddoppiata, dai poco più di 3 miliardi e mezzo del 1970 agli attuali 6,3 miliardi. Un dato che trova conferma nell’ultimo Rapporto dell’ONU sugli Obiettivi di sviluppo del Millennio (2007). Qui leggiamo: “A livello mondiale, il numero di persone nei Paesi in via di sviluppo che vivono con meno di un dollaro al giorno è sceso da un miliardo e 250 milioni nel 1990 a 980 milioni nel 2004”; e questo – ripetiamo – malgrado nel frattempo la popolazione sia aumentata di circa un miliardo di persone. Infatti, in termini percentuali il progresso è ancora più evidente: “Nello stesso periodo la proporzione di persone che vivono in estrema povertà è scesa da circa il 33% al 19%”.

Detto altrimenti, insomma, i più poveri stanno diventando un po’ meno poveri, e questo, nonostante la cattiva coscienza dei paesi ricchi (Unione Europea in primissima fila), accade dovunque.

Ma allora lo shock alimentare è una balla? E la storia dei biocarburanti? E la speculazione sulle commodities verdi? E le multinazionali?

Certamente, bisogna parlarne, e continueremo la prossima settimana, cercando di farci anche un’altra domanda, quella che tutti i cervelli accesi dovrebbero a questo punto farsi.
Per ora lo spazio è finito, a presto