Di fronte ad un buon caffè riavvolgono il nastro di un’altra storia d’amore, quella con le famiglie numerose, lunga anch’essa ormai ben venti anni.
«Sì, una triglia. Stavo fermo davanti al balcone del pesce, appoggiato al carrello della spesa; ero soprappensiero, con gli occhi persi negli occhi della povera e piccola triglia, in attesa che Egle riempisse di cibo il carrello – è noto infatti che al Supermercato il compito dei papà è unicamente quello di spingerlo, guai infilarci dentro qualcosa! – quando vengo letteralmente investito da Enrico, che di mestiere fa l’autista di bus: doveva parlarmi e quello gli era sembrato il modo e il luogo più opportuni.
«Perché quel pesce, mi disse, non l’avremmo mai comprato ai nostri figli, troppo caro mangiare pesce per le famiglie numerose. E perché i nostri carrelli si mangiavano, loro sì, tutto lo stipendio prima del 15 del mese, insieme a bollette, tasse, imposte, balzelli moltiplicati sempre senza tener conto di quante bocche si sfamano con quell’unico stipendio. Ecco, una scarica di problemi che, ovviamente, conoscevo benissimo anch’io, purtroppo. Da lì la richiesta di rivederci presto per trovare una qualche soluzione: Davide contro Golia, insomma».
«E’ vero ma d’altronde tutte le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici; non è frase nostra, è di Tolstoj. Le idee di quella notte erano tanto semplici che qualunque amministratore pubblico avrebbe dovuto porsele prima di noi da molto, molto tempo: perché, per esempio, noi che siamo magari in sette con un solo contatore, dobbiamo pagare più di sette single che hanno sette contatori e dunque non superano mai la soglia della tariffa sociale? E perché le nostre famiglie, pur essendo in molti, pagano le addizionali regionali e comunali come fossero single? E perché per iscrivere i nostri figli a scuola, per comprare i libri, per mandarli alla mensa, perché per la tariffa sui rifiuti o per il biglietto dell’autobus ogni singolo figlio paga per “uno” mentre quando si compila l’ISEE, il certificato così necessario per accedere ai servizi pubblici, questo stesso figlio vale meno di un terzo? Così facendo quando pago, pago per uno mentre quando ricevo, ricevo per un terzo. E perché l’acqua al metro cubo per uso abitazione ha una tariffa sociale più alta della tariffa zootecnica? I vitelli possono bere a volontà, mentre ai nostri bimbi nemmeno l’acqua per lavarsi i denti riceve venia? E, soprattutto, perché quando diciamo queste cose, chi ascolta non capisce che ne va del futuro suo e di quello del Paese? Perché gli occhi che ci guardano, annoiati, sono tanto simili a quelli della triglia nel banco pesce del supermercato vicino casa? Quando va bene. Perché quando va male, ci sentiamo dire che siamo degli incoscienti, che nessuno ci ha obbligato a fare tanti figli, che i nostri figli sono un peso per la società, che siamo già troppi in Italia. Dimenticando che solo grazie ai nostri figli questo Paese avrà un futuro. Perché senza figli, non c’è alcun futuro. Pensioni comprese».
«Il 26 luglio del 2004, sul calendario romano dedicato a Sant’Anna e San Gioacchino, i nonni di Gesù, sono andato all’Ufficio del Registro di Brescia per consegnare lo Statuto e dare così inizio a questa avventura associativa familiare, nata a casa nostra con altre quattro famiglie oltre a noi e a Enrico e Angela, nell’unico luogo in Italia che si chiama proprio così, La Famiglia. Un nome, un destino».
«Gli stessi della nostra Carta dei Valori, scritta insieme ad un caro amico prete, oggi vescovo di Bergamo, don Francesco Beschi: non un’associazione confessionale ma bensì aperta ad ogni famiglia di qualunque fede religiosa e provenienza sociale, fondata su valori umani fondamentali: la fiducia nella vita e nella gioia che essa porta, la coscienza civile di chi sa che i propri figli saranno i cittadini di domani e che i genitori hanno un ruolo fondamentale nell’educazione della società, la voglia di essere una famiglia di famiglie che sa accogliere e diventare un forte stimolo per la costruzione di una società basata sull’amore coniugale, sulla condivisione e sulla solidarietà: questi i tratti salienti che caratterizzano la nostra Associazione, in tutti i suoi Organi composta unicamente – per Statuto – da volontari, famiglie cioè che si impegnano gratuitamente per fornire assistenza, informazione, conforto e sostegno alle famiglie numerose d’Italia, attraverso una presenza capillare sul territorio».
«Quella sera nel Teatro parrocchiale prestato gratuitamente da don Alfredo, il prete che aveva benedetto il nostro matrimonio vent’anni prima, c’erano almeno 100 papà e mamme. Ma non aderirono subito tutti: era una novità assoluta nel panorama associativo italiano, non esisteva nulla di simile, la fiducia bisognava conquistarsela. Poi, un articolo su Avvenire prima e, poco dopo, uno sul Corsera, fecero capire un po’ a tutti che sì, era una avventura affidabile. Così fioccarono le iscrizioni e, con esse, le grandi gioie e insieme le prime complicazioni».
«Faccia conto che l’idea della gratuità e del servizio era alla base statutaria della neonata associazione: significa per esempio che quando c’era da spedire qualcosa alle famiglie iscritte, come lettere, notizie, informazioni, auguri, tessera associativa, tutto questo era fatto con la stampantina di casa e lo sfruttamento minorile più bieco (Mario sorride, ndr) nei confronti della piccola Marialetizia la quale, con noi due, la sera dopo cena, piegava lettere, attaccava etichette e francobolli, chiudeva buste, spessissimo coadiuvata anche dagli altri fratelli, mentre l’ultima sul seggiolone se la rideva beata. O i viaggi a Roma ad elemosinare giustizia nei palazzi del potere, prendendo ferie e partendo alle tre del mattino da Brescia, prima tappa a Verona raggiunti da Alessandro di Vicenza, poi tappa a Bologna per Stefano insieme ad Alfredo di Parma e Andrea di Ferrara, magari anche Paolo a Firenze, mangiando solo un panino in tutto il giorno per risparmiare e ritorno alle nostre case la sera stessa per andare al lavoro puntuali il giorno dopo. Per di più, tornando sempre indietro solo con promesse e grandi pacche sulle spalle ma risultati dalla politica, spesso, nemmeno l’ombra».
«Grazie ai due articoli che citavo prima, presto seguiti dai maggiori media televisivi nazionali, che scoprivano d’improvviso questa razza familiare in piena estinzione: i servizi sulla nostra strana famiglia e sulle forme di sopravvivenza attuate, furono sufficienti per far arrivare iscrizioni un po’ da tutta Italia, gente che si immedesimava e, soprattutto, capiva la forza dell’unione. Ogni famiglia nuova che si iscriveva da una diversa provincia, veniva invitata a diventare “Coordinatore provinciale”; così, il primo incontro nazionale, tenuto a Verona nell’aprile del 2005, vide famiglie da ogni dove: Puglia, Campania, Sardegna, Lazio, Toscana, Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto Adige, Piemonte, Valle d’Aosta; poco dopo si aggiunsero anche da Liguria, Marche, Umbria, Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Basilicata, Molise, Calabria così che, alla prima Assemblea nazionale di novembre 2005, avevamo famiglie associate in tutta Italia. Una crescita esponenziale che non si è più interrotta: oggi, infatti, più di un quarto del totale delle famiglie numerose italiane, hanno avuto in tasca la nostra tessera associativa».
riparare biciclette e cullare bambole, cantare sogni e poesie, tutto questo solo per riempire di gioia il cuore dei loro bimbi. Gente che ha passato interi fine settimana sui campi da gioco unicamente per rispondere “sì!” alla domanda retorica: “Mi hai visto mamma, mi hai visto papà?”. Gente con un cuore grande, che non ha avuto tempo di vistare tutte le capitali d’Europa, non ha mai messo quel profumo così costoso, che è arrivata a dimenticare che esiste la moda, che non conoscerà mai le auto sportive, le vacanze tropicali, lo spumante francese. Gente che non conoscerà mai la noia dell’effimero. È la meravigliosa quotidianità dell’amore nelle famiglie numerose, che ha riempito e riempie ancora oggi il nostro cuore di gioia. Incontrare, abbracciare, stare con gente così: lo rifaremmo cento e cento volte ancora».
Mons. Francesco Beschi e Mario Sberna