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Patrizia Abrami, una mamma numerosa con un figlio speciale

Patrizia Abrami, una mamma numerosa con un figlio speciale

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Le famiglie numerose sono spesso veri tesori per questa nostra martoriata società. Custodiscono esperienze e conoscenze grandissime e vivono sempre il miracolo della moltiplicazione del tempo. Sono cioè spesso organizzate in modo da riuscire a compiere tutto quello che la loro grande famiglia richiede, con la dovuta abbondanza, generosità e professionalità, ma trovano anche un po’ di tempo da regalare agli altri, ad altre famiglie. Viene messa a disposizione di altre persone una propria esperienza maturata in un campo importante. GRAZIE Patrizia per averci testimoniato un po’ della tua vita, della tua famiglia.

Patrizia Abrami bisogna ascoltarla seduti, con calma e attenzione. Vive a Mairano, in provincia di Brescia, con i suoi 4 figli, Massimo di 16 anni, Alessio di 14 anni, Viola di 12 anni e Jessica di 11 anni. Si dedica completamente alla sua grande famiglia. Massimo sta frequentando il CFP Zanardelli a Verolanuova, fa acconciatura e attualmente lo stage in un salone, per ora è molto molto entusiasta. Alessio è un bimbo raro affetto dalla sindrome del “cri du chat” a settembre inizierà l’alberghiero a Bargnano istituto Dandolo. Su di lui il progetto è renderlo autonomo e capace di stare tra regole sociali e persone al meglio, un grande progetto da qua alla maggiore età. Viola e Jessica ancora non hanno scelto indirizzo, sono stati due anni di scuola particolari, non hanno affrettato le domande perché praticamente le medie Viola non le ha mai fatte in maniera normale essendo ora in seconda media, diciamo che vivono il momento nel modo più sereno possibile. Jessica finirà la quinta e a settembre seguirà Viola alla secondaria di Azzano Mella.

Patrizia, raccontami come avete vissuto il momento della scoperta della sindrome di Alessio.

Alessio è un ragazzo speciale, portatore della sindrome Cri-du-Chat (sindrome del grido del gatto). Si tratta di una malattia rara che colpisce un nuovo nato su 50000 ogni anno. In questa malattia un pezzettino di cromosoma viene perso e questo comporta disabilità gravissime. Solo un lavoro continuo può migliorare la condizione dei pazienti, che possono ottenere risultati grandiosi e insperati fino a pochi anni fa. Alessio ha mostrato il suo ritardo psicomotorio a 18 mesi, mentre ero incinta di Viola. Dalle prime evidente abbiamo iniziato esami e approfondimenti e abbiamo appreso della sua sindrome, rara e senza cure. Con ritardi psicofisici importanti. E’ stato sconvolgente, come una grande pugnalata nel petto. Una cosa che cambia tutta la tua vita. Il mondo intero sembra crollarti addosso. Devi fare una serie di corsi per il riconoscimento dell’handicap, devi attivare la presa in carico e l’assistenza istituzionale, devi correre ovunque perché il bambino ha urgente bisogno di essere inserito con le dovute modalità in ambienti educativi adatti e mentre custodivo il fratello di 5 anni e la sorellina piccolissima in allattamento affrontavo tutte quelle novità delle quali dovevo diventare esperta in tempi brevissimi. La diagnosi mi veniva spiegata per gradi, temendo che dato il recentissimo parto potessi avere difficoltà a reggere la notizia. E più capivo la gravità di quanto mi era capitato più sentivo la necessità di affrontare questa valanga, dovevo reagire. Dovevo capire, studiare, organizzarmi. Dovevo correre, mi sentivo in una centrifuga, mi pesava l’enorme fatica. Elaborare questo dolore richiede tempo, anche se in quel momento non ne hai.

Come hanno vissuto i vostri familiari la notizia di Alessio e della sua sindrome? Come hanno partecipato?

Nonni, zii e parenti hanno elaborato il dolore della notizia con i loro tempi e hanno reagito ognuno secondo le proprie possibilità. Chi non lavorava più ha potuto dedicarci più tempo, chi era più giovane e ancora impegnato aveva maggiori difficoltà. Le continue ospedalizzazioni di quel periodo erano in concreto un serio problema rispetto al quale chi della famiglia ne aveva la possibilità si è messo in gioco maggiormente. Sono stati molto importanti gli aiuti ricevuti dalla famiglia, sia per la gestione dei problemi legati alla sindrome sia per le esigenze degli altri bambini. Sia nella gestione del tempo e delle necessità concrete che nel supporto umano e psicologico.

Come hanno risposto le varie istituzioni pubbliche coinvolte? Hai trovato aiuto concreto e da chi?

Per quanto riguarda l’assistenza istituzionale devo ricordare che noi viviamo in una provincia particolarmente bene organizzata nelle cose riguardanti le aziende sanitarie e i servizi per le disabilità. A Brescia esiste anche un centro coordinamento delle malattie rare, noi siamo stati immediatamente messi in contatto con una rete di supporto e con l’Associazione ABC, Associazione Bambini Criduchat. Mi hanno immediatamente fornito tutte le indicazioni su come muoversi fra Asl, Inps e varie altre istituzioni locali. Ho peraltro trovato sia presso l’Ospedale Civile di Brescia che in quello più vicino a noi, bravissimi neuropsichiatri anche a livello umano. Anche i servizi sociali mi hanno fornito assistenza e aiuto oltre che la disponibilità di persone umanamente molto disponibili e attente. Le tre sedute settimanali di Alessio per terapia, logopedia e psicomotricità mi hanno dato modo di crescere molto insieme a lui, diventando consapevole. Attualmente sono Consigliere dell’Associazione ABC e dall’esperienza che questo ruolo mi ha dato posso affermare che tutto questo non è affatto scontato né diffuso in tutta Italia. Ci sono genitori che non hanno ricevuto subito tutte le indicazioni, l’assistenza, le risorse e l’aiuto anche psicologico oltre che pratico che noi abbiamo potuto ricevere. Ottenere qualcosa, dalle informazioni agli aiuti concreti, è sempre difficile. Bisogna darsi molto da fare, informarsi molto, avere chi ti aggiorna. E’ un lavoro senza mai sosta trovare tutte le iniziative e i contatti che poi si rivelano essenziali.

Patrizia, sei impegnata molto concretamente da volontaria nell’Associazione ABC. Parlaci della importante attività svolta da questa associazione.

L’Associazione Bambini Criduchat – ABC (www.criduchat.it) è fondata da una mamma che ha avuto grandissimo coraggio, insieme a poche altre famiglie E’ l’unica in Italia che segue questa patologia e nel mondo risulta essere capofila per terapia e riabilitazione, avendo elaborato le linee guida assunte da tutte le altre associazioni mondiali simili. L’ Associazione ABC gioca un ruolo fondamentale nell’aiutare le famiglie ad avere una vita migliore, piena e felice! La nostra associazione è impegnata nella ricerca scientifica e spesso lavoriamo insieme ai referenti scientifici per ottenere significativi miglioramenti. Offriamo vicinanza, sostegno, scambio di informazioni e mutuo aiuto alle famiglie. Le segue nei bandi, nelle vicende amministrative e burocratiche o legislative. Abbiamo un comitato scientifico composto dai migliori medici di tutta Italia. Proponiamo il progetto Mayer che segue le famiglie ed il bambino dall’asilo fino alle scuole superiori con programmi a casa, spiegando alle scuole come si può lavorare con quel bambino e sensibilizzando la classe intera.
La nostra associazione fa parte di UNIAMO (www.uniamo.org) che è una federazione di 130 diverse associazioni che si occupano di malattie rare in Italia. Offre un servizio di ascolto, informazione e orientamento legale e raccoglie dati e richieste portandole al tavolo dell’Istituto Superiore di Sanità e del Governo.
Io sono Consigliere Direttivo e, insieme ad altri 9 consiglieri ed alla presidente (tutti volontari) programmiamo raduni, organizziamo spese e bilanci, seguiamo le leggi che ci riguardano, i bandi che vengono proposti, gestiamo le attività assistenziali, la presa in carico di nuove famiglie, sosteniamo anche concretamente le famiglie in tutte le loro difficoltà. Offriamo sostegno e aiuto a qualunque mamma o papà abbia necessità simili, anche conseguenti a patologie diverse, dedicando volontariamente tempo ed esperienza nel necessario completamento di ciò che manca all’assistenza pubblica ma che rende concretamente migliore la vita di tante famiglie.
Qualunque disturbo sensoriale o psicomotorio in un bambino comporta diverse conseguenze per i suoi genitori che devono districarsi nella giungla dei regolamenti sanitari, delle norme relative agli aiuti o alla dotazione di strumenti particolari. Devono avere a che fare con le Scuole di vario grado. Devono modificare le loro attività lavorative. Devono sostenersi per reggere il carico psicologico e trovare la capacità di reazione necessaria. Oltre ai diritti e alle normative da capire e studiare a fondo, le famiglie con figli portatori di necessità particolari hanno in comune le corse in ospedale, le terapie, la gestione dei caregiver, le ricerche di bandi dedicati, la partecipazione a iniziative di scambio e sostegno reciproco, la necessità di sfogare la propria stanchezza, i parenti che non capiscono, ecc.ecc.

Il lavoro di una mamma è molto raramente adattabile a ritmi ed esigenze straordinarie. Quale è la tua esperienza in proposito?

Il mio lavoro si è subito rivelato un problema molto grande. Ho dovuto purtroppo fare la brutta scelta di lasciarlo. Avevo un contratto a tempo indeterminato presso un centro commerciale che mi faceva sentire autonoma economicamente. Mi sono ritrovata ad essere una Caregiver che assiste h24, oltre che una mamma impegnata con altri 3 ragazzi. Ma ufficialmente ero e sono solo una persona disoccupata. Non ho assistenza, contributi e naturalmente compenso da 12 anni nonostante gli impegni e le necessità organizzative imponenti. In molti stati europei questo ruolo è riconosciuto, proprio per la sua importanza e onerosità. Ogni volta che su un documento devo definire il mio ruolo mi ritrovo a dover scrivere “disoccupata”, ma non è per nulla vero. E’ una vera ingiustizia. Ho quindi deciso di scrivere sempre “Caregiver” su qualsiasi documento, compresa la carta di identità. Questa è la verità, che le istituzioni lo vogliano capire oppure no. Non sono affatto disoccupata. Sono semmai stata costretta a fare questa scelta, come tutte le altre persone che come me si trovano a dover assistere un familiare. Ma comunque come andrò in pensione, in che posizione mi ritroverò quando sarò più grande? Sto sempre cercando una soluzione lavorativa adatta alla mia condizione, ma è ben difficile trovare qualcosa e di certo anche questo virus non aiuta.

Un Tablet ha migliorato la vostra vita. Raccontaci di questa eccezionale scoperta.

La tecnologia ha aiutato ad affrontare i bisogni educativi speciali di Alessio, che non utilizza un semplice tablet. Ne usa una speciale chiamato Editouch, inventato da Marco Iannacone, ingegnere milanese che, padre di un bimbo dislessico, ha deciso di inventare uno strumento che potesse facilitare l’apprendimento favorendo la cosiddetta didattica inclusiva. Dopo soli pochi mesi di utilizzo ho scritto al quotidiano Bresciaoggi per condividere quella che ritengo essere una scoperta talmente valida doverla diffondere ad altri genitori con figli con difficoltà nell’apprendimento e bisogni educativi speciali. Editouch è nato per bambini dislessici, ma è molto utile anche per altre problematiche. Questo strumento è stato validato scientificamente dall’Asl di Roma attraverso un test effettuato su 400 studenti. E’ un metodo facile e immediato, con mappe concettuali, tastiera parlante e app che aiutano nel ragionamento, studiato per tre fasce: primarie, secondarie e superiori. Una invenzione davvero efficace: oltre ai due anni di validazione da parte dell’Asl Roma D con le Università di Roma 3 e dell’Aquila, vanta anche l’inserimento nel report della Comunità Europea come best practice.
Non è scontato trovare nella scuola, nelle Asl e nei comuni la disponibilità ad inserire questo strumento nel percorso di studi dei ragazzi con esigenze e problematiche di varia natura. Come sempre le mamme numerose sanno farsi aprire le porte anche a vantaggio di molti altri. Sarebbe utilissimo se tutti gli istituti se ne dotassero. È uno strumento facile e immediato, con mappe concettuali, tastiera parlante e app che aiutano nel ragionamento, studiato per tre fasce: primarie, secondarie e superiori. In tre anni di start up ne sono stati venduti un migliaio. Grazie al suo utilizzo è possibile imparare a identificare i concetti chiave, articolare una spiegazione e avere rimandi che gratificano chi lo usa.

Dove trovi il tempo per dedicarti agli altri, sia con il volontariato in queste bellissime Associazioni che direttamente con persone che vivono emergenze sanitarie e psicologiche e quindi richiedono molta dedizione? E perché lo fai?

Capita spesso di essere alla guida della macchina oppure a fare acquisti o anche a seguire i bambini nello sport o altro mentre con il telefono in tasca e gli auricolari in funzione partecipo a incontri, riunioni o gruppi di lavoro. Si fanno chiamate istituzionali e consigli direttivi mentre si portano i bambini dai nonni, ad esempio. Si recupera così del tempo che altrimenti sarebbe impossibile trovare. Fra una cosa e l’altra si possono fare molte altre cose. Un pezzo alla volta, rubacchiando manciate di secondi, arrivo alla scadenza completando quello che dovevo fare. Anche con un certo senso del dovere, a dire il vero, che non sempre riscontro nelle persone che incontro.
Provate a pensare cosa significhi dare una mano a qualcuno che deve affrontare una ospedalizzazione importante. Oppure poter aiutare qualcuno nelle fasi post operatorie a volte veramente difficili quando non addirittura di recupero dei danni conseguenti.
Chi più di me, con quattro bambini e necessità veramente speciali, può capire e aiutare chi si trova ad affrontare momenti difficili. E’ una soddisfazione impagabile, si riesce a sentire il cuore rigonfio dall’aver fatto qualcosa per cui vale la pena veramente l’aver fatto fatica. Qualcosa che potrò portare con me nella mia eternità e qualcosa che so bene essere importante per chi l’ha ricevuta.

Pizzatti Emanuele
Coordinatore provinciale provincia di Brescia