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Non scordiamoci un posto per la coscienza

Non scordiamoci un posto per la coscienza

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Non scordiamoci un posto per la coscienza.
Non scordiamoci un posto per la coscienza.

Nei primi anni ’70 del secolo scorso, in pieno clima di guerra fredda, era incandescente il dibattito sulla liceità della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti; molti giovani, spinti da grandi ideali filosofici, politici o etici rifiutavano di indossare una divisa per non entrare nell’esercito. La spinta fu tale che nel dicembre del 1972 l’Italia approvò la prima norma che riconosceva l’esercizio dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora obbligatorio. Molti giovani cristiani scelsero questa strada come risposta di fede e dedicarono anche 20 mesi della loro vita a servizio degli ultimi nella Caritas diocesana. Dal timore di una improbabile deriva sociale di tipo anarchico si è giunti al riconoscimento dell’obiezione di coscienza come diritto soggettivo, riconducibile alla difesa della dignità della persona nell’esercizio responsabile, potremmo dire oggi sussidiario, di un’azione civile a rilevanza pubblica. Sulla base di profonde valenze di natura pre-giuridica, il posto per la coscienza è stato quindi riconosciuto da diverse sentenze della Corte Costituzionale (164/1985, 467/1991, 422/1993) che ne ha anche delineato i confini. Negli anni, il riconoscimento ha interessato diversi fronti, primo fra tutti l’opposizione alla pratica dell’aborto, riconosciuta dalla L. 194/1978 all’art. 9; poi vanno ricordate le possibilità in tema di sperimentazione animale (L. 413/1993) e di procreazione medicalmente assistita (L. 40/2004, … per quel che di essa ancora rimane). Il Parlamento europeo, con la risoluzione del 19.1.1994 ha riconosciuto l’obiezione di coscienza come un vero e proprio diritto soggettivo.

Nella strana situazione di relativismo culturale odierna pare stia diventando pericoloso esprimere liberamente il proprio pensiero sui temi particolarmente delicati: il medico obiettore viene stigmatizzato perché accusato di mettere in difficoltà quelli che non lo sono (!!); nel dire che i figli nascono da un uomo e una donna e che la parola famiglia non equivale a “love is love” si rischia il reato di opinione. Il disegno di legge Scalfarotto andava in questa direzione e il vescovo di Valencia è sotto accusa per quanto detto durante l’omelia del Corpus domini.

Non a caso, nell’Amoris Laetitia, papa Francesco esplicita le due fattispecie che ricordano queste tematiche: al n. 83 richiama “l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza” per le professioni sanitarie quando è in pericolo il diritto alla vita del bambino innocente, al n. 279 si afferma “la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori”. Significa che, quando parliamo di vita e di famiglia, trattiamo di tematiche di rilievo primario e dobbiamo essere consapevoli che oggi viene chiesta ai cristiani un’attenzione specifica, proprio all’opposto di chi vorrebbe che ogni messaggio passasse con passiva accettazione, ad esempio quando si tratta di programmi scolastici o culturali. Ma chi sono gli educatori oggi? Certamente gli insegnanti, gli educatori professionali, ma anche i catechisti, gli animatori, i sacerdoti, le religiose e gli operatori pastorali in genere. E’ vero che rivestono un potente ruolo educativo anche tutti i media: stampa, TV, pubblicità, social network; i messaggi da questi veicolati non sono mai asetticamente neutri. Compito dei genitori, primi ed insostituibili educatori, è di stare accanto ed accompagnare, ma anche di vigilare, restando informati sui luoghi di frequentazione (reale e virtuale) dei propri figli e sul contenuto dei programmi educativi che la scuola propone. Sui temi sensibili, come quelli dell’affettività e dell’identità, è doveroso sapere che cosa viene proposto, come è necessario chiedere che nella scuola vengano portati progetti scientificamente validati e rispettosi dei valori che la famiglia esprime. Se serve, bisogna saper dire no e proporre alternative valide. Se stiamo alla finestra, c’è il rischio di arrivare tardi perché altri avranno già deciso. Educano infine anche i nostri politici quando, nel sostenere leggi che di fatto sviliscono la famiglia e non proteggono la vita dal suo sbocciare, indirizzano la società verso il nichilismo.

Anche in Italia c’è chi vorrebbe a breve la legalizzazione dell’eutanasia: un altro passo avanti nella cultura della morte, come l’ha ben definita S. Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae del lontano 1995 (cfr. in particolare il n. 28). Anche qui i cristiani e le persone di buona volontà sono chiamate a dar voce alla coscienza che chiede il rispetto della vita e della verità sulla persona umana. La presenza nei luoghi decisionali è senz’altro importante, ma non può procedere in modo credibile senza la testimonianza coerente vissuta nella quotidianità.

Nei primi secoli, ma anche nel nostro tempo in altri luoghi del pianeta, i cristiani pagavano la loro opposizione con il sangue (molti obiettori al servizio militare ricordano la figura di S. Massimiliano, martire nel 295 d.C.). Oggi, in altri modi la coscienza di ogni credente, in comunione con la Chiesa, è chiamata alla fedeltà al Vangelo della vita e della famiglia sapendo anche dire no, obiettando alla cultura della morte. Ma la coscienza non alberga solo nell’animo dei credenti; parimenti, la difesa della vita e della famiglia non si può ridurre ad un dovere esclusivo di chi professa una fede: è invece compito di ogni persona di buona volontà che ha a cuore il bene comune.

Cinzia e G. Marco Campeotto
coord. ANFN provincia di Udine

Rivignano, 8.8.2016