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Lo Stato che dimentica i figli è senza futuro

Lo Stato che dimentica i figli è senza futuro

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L’ESERCITO DELLA VITA

L’Associazione famiglie numerose festeggia 10 anni e incontra il Papa. Roma invasa, nuclei oversize da tutta Europa: c’è chi ha 16 figli. Il presidente: «Senza futuro lo Stato che dimentica i figli». Unioni gay, no alle trascrizioni: «Non sono matrimoni»

Difendono il matrimonio tra uomo e donna. Che, insieme, decidono di mettere al mondo i figli. Le loro famiglie, di bambini ne hanno almeno quattro ciascuna. In Italia hanno 17mila nuclei iscritti, ma contando anche la prole (c’è chi ha quattro figli, chi ne ha sedici) arrivano a qualcosa come 102mila persone, quanto una città di medie dimensioni, ad esempio Piacenza o Ancona. Un piccolo esercito che ha deciso di combattere. La battaglia è quella della verità: la società e lo stato nascono dalla famiglia. E’ questa la base di tutto, il luogo che genera vita e la comunica agli altri. Sono i membri dell’Associazione nazionale famiglie numerose, che quest’anno, a ridosso del Natale, la «festa del futuro» come la chiama il presidente nazionale Giuseppe Butturini, compie dieci anni.

«Nel 2014 dello sboom demografico – ha sottolineato il portavoce Andrea Bernardini aprendo la conferenza stampa alla Camera dei Deputati – Roma diventa la capitale europea delle famiglie numerose». La proposta per il decennale: un progetto di legge che favorisca l’accesso al mercato del lavoro dei papà con prole numerosa, la garanzia di contributi figurativi alle mamme che fanno figli, il rinforzo degli assegni familiari («i più bassi d’Europa»), il superamento delle iniquità su tariffe, contributi e servizi.

Il culmine della tre giorni che si apre il 26 dicembre è l’incontro con Papa Francesco programmato in Sala Nervi per il 28, la domenica della Santa famiglia.

Presidente Butturini, che cosa significa incontrare Papa Bergoglio?

«Significa tornare alle nostre origini. Non siamo un movimento ecclesiale ma un’associazione i cui valori sono quelli della famiglia, che precedono ogni confessione religiosa. Sono gli stessi che si rifanno a quella realtà naturale strutturalmente uguale per tutti: la famiglia costituita da un papà e da una mamma aperti alla vita, che vivono in fedeltà reciproca e ogni giorno decidono di darsi l’uno all’altro, si sposano e cercano di comunicarsi i propri desideri e aspirazioni. Uno dei limiti più seri nelle coppie di oggi è la mancanza di comunicazione. Ci si sopporta a lungo ma poi scoppia tutto. Occorre imparare a comunicare. Non giudicare l’altro, ma donare il proprio vissuto».

Come nasce l’associazione?

«Dieci anni fa, da uno scontro tra due carrelli in un supermercato. Erano condotti da due padri con famiglie numerose. Entrambi guardavano un pesce fresco, e dicevano: non possiamo permettercerlo. Da lì l’intuizione: perché non mettersi insieme per fare sentire la voce delle famiglie con tanti figli, costretti alla periferia della società? È lì che inizia un percorso. In pochi mesi l’associazione arriva a 500 iscritti, tutti con almeno quattro bambini. Ricordo l’incontro avvenuto nel novembre 2004 in piazza San Pietro con Papa Benedetto XVI. Al vedere le nostre famiglie disse: in voi vedo il futuro. Ecco, incontrare oggi il Santo Padre significa ripensare il nostro inizio, i primi momenti bellissimi dell’associazione».

Come concepite il rapporto tra stato e famiglia?

«Se la società vuole avere un futuro, parte dalla famiglia; se cerca la fiducia reciproca, guarda alla famiglia. È tragico che le famiglie sentano il bisogno di unirsi. E lo stato non si rende conto che è fondato sulla famiglia. E’ qui che si genera la possibilità di andare avanti nella misura in cui c’è responsabilità, fiducia reciproca, senso del limite e della coesione. Se le famiglie sono obbligate a mettersi insieme, ad associarsi, vuol dire che lo stato ha perso questi valori. Non ci si fida più, non c’è senso di responsabilità. Certo, le famiglie sono all’origine della società, e se da una parte il fatto che si mettano insieme è un segno di speranza, dall’altro, come dicevo, è tragico. Perché è la prova che si è perso il vero senso dello stato, di ciò che lo costituisce. E i politici non se ne accorgono. Lo dicevo ai parlamentari alcuni giorni fa in conferenza stampa: presi uno ad uno siete brave persone, ma quando vi mettete insieme perdete la testa. Aveva ragione Cicerone: “Senatores boni viri, senatus mala bestia”».

In Italia si registra un forte calo demografico. Viviamo in un paese inospitale per i figli? Perché gli italiani hanno paura di procreare?


«Manca la speranza, la fiducia. Quando domandi ai giovani dai 18 ai 25 anni se sperano ancora nella famiglia, ti rispondono di sì. Poi però si scontrano con la realtà e rinunciano. I problemi sembrano più grandi di loro. C’è anche la questione economica: chi paga la casa? E il lavoro dov’è? Il 17% dei nostri giovani appartiene alla cosiddetta generazione ‘neet’, non studiano e non lavorano, e neppure cercano un’occupazione. E lo stato non fa nulla. Non apre la porta. Che tu abbia uno o quattro figli per lo stato non conta niente. Perché la famiglia e i figli sono considerati erroneamente un fatto privato, non pubblico. Lo stato non considera avere i figli come la base del proprio essere, non ci si rende conto che i figli generano la società, quindi lo stato»

«Oggi fa più notizia un gay che parla, rispetto ai problemi di chi ha molti figli. Con tutto il rispetto per gli omosessuali. Ma che non trasformino i loro desideri in diritti, mettendo sullo stesso piano il matrimonio di madre natura, con quello che non ha nulla a che vedere con la “generatività”, con il “per sempre”, insomma con il futuro. Oggi puoi detrarre forse alcune spese per gli animali e i cani, non quelle che fai per mantenere i figli».

Cosa proponete a riguardo?

«Abbiamo intrapreso molte iniziative. Chiediamo ad esempio che il costo legato al mantenimento dei figli non sia tassato, e questo secondo gli articoli 31 e 53 della Costituzione, che è favorevole alla famiglia. Un vero paradosso: una carta fondamentale che difende la famiglia e una legislazione che la penalizza. E questo rimanendo sul piano economico. Sul piano culturale, poi, come ho anticipato, l’errore è considerare la famiglia un fatto privato: hai fatto i figli? Bravo, ci viene detto, ora arrangiati. Come se i figli riguardassero solo il proprio benessere privato e non anche il futuro della società. È un controsenso. Basta riflettere sulla previdenza: chi pagherà le pensioni future, se non i nostri figli? Una situazione al limite dell’assurdo”.

Ha toccato il tema delle unioni gay. Pensa che sia giusto o sbagliato trascrivere i matrimoni tra omosessuali contratti all’estero?

«Penso che sia un errore semplicemente perché non si tratta di matrimoni. Il matrimonio a che fare anzitutto con la vita, non con il tuo benessere personale. Non si può mettere sullo stesso piano le unioni omosessuali e il matrimonio, il cui vero significato, quello latino, viene da “mater” e “munus”, “compito della madre”: ma dov’è la madre?»

Non è un caso che celebriate il decennale dell’associazione proprio a Natale. Come vivete questa festa?

«Per noi il Natale è la festa del domani, del futuro che ricomincia. E non bisogna confondere il 25 dicembre con il Natale. Pur non essendo confessionale, la nostra associazione porta avanti i valori cristiani. Per noi vivere il Natale significa chiedersi che cosa vuole Dio dalle nostre famiglie, qual è il bene per noi oggi. Perché la forza del bambino che nasce non termina né nella grotta né nel sepolcro, ma arriva fino a noi ed è una realtà viva, che opera ogni giorno».

Fonte: www.informatore.eu di Luca Piacentini