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La cura per il malato

La cura per il malato

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Immaginiamoci un malato, che sa di essere ammalato.

Ma, per diversi motivi (pigrizia, sottovalutazione, altri impegni che ritiene prioritari), non segue alcuna cura medica.

Ogni anno il laboratorio di analisi gli porta gli esami, che indicano l’inesorabile avanzare della patologia.

Nel suo inconscio sa che la malattia lo può portare alla morte; allora esorcizza questo pensiero parlandone con i suoi amici per un paio di giorni, e promettendo a sé stesso di seguire una cura.

A questo buon proposito non farà però seguito nessun atto concreto, e il terzo giorno riprenderà a fare esattamente quello che faceva prima, lasciando che il male progredisca.

Fino alla morte.

Qual è il malato di cui parliamo? È l’Italia.

Non l’Italia geografica, che comunque deve già fare i conti con terremoti, cambiamenti climatici, inquinamento e sfruttamento del territorio.

Ma l’Italia degli Italiani.

Qual è il laboratorio di analisi? È l’ISTAT.

Che, impietosamente, ogni anno ci certifica il progredire della malattia.

Anzi, delle due malattie, che sono direttamente collegate tra di loro.

La prima è quella demografica.

Siamo un paese sempre più vecchio, che fa sempre meno figli, e che inizia ad avere un saldo demografico (morti superiori alle nascite) sempre più importante.

L’articolo di Gian Carlo Blangiardo per l’Avvenire del 13 agosto, che invitiamo a rileggere, ci ha aggiornato in maniera chiara sulla spirale demografica che è destinata ad avvitarsi sempre più su sé stessa.

Con le conseguenze che più volte abbiamo ricordato: mancata crescita economica e insostenibilità dell’attuale sistema di welfare, in particolare per pensioni e sanità.

Ma l’ISTAT certifica anche l’aggravarsi della seconda malattia, che è anche la principale causa della prima.

Parliamo della continua crescita della povertà per le famiglie con figli e per i giovani, cioè dei soggetti che rappresentano il futuro del nostro Paese.

I dati e le tabelle che seguono parlano da soli: le politiche di contrasto alla povertà hanno riguardato principalmente i single e gli anziani, questi ultimi attraverso la salvaguardia del sistema pensionistico.

Negli ultimi venti anni, i single che vivono al di sotto della soglia di povertà sono diminuiti dal 13,2% al 5,3%; le famiglie con 5 e più componenti sono aumentate dal 16,9 al 30,9%

La percentuale si riduce molto di più per le persone sola con 65 e più anni (dal 17,1% al 5,2%), mentre sempre più coppie con almeno un figlio sono entrate nella fascia di povertà relativa

Avere un figlio minore nel nucleo familiare aumenta il rischio di povertà relativa (42% per le famiglie con 3 e più figli minori, che arriva addirittura al 59,9% per quelle residenti al Sud!), mentre avere un anziano in casa, grazie alla sua pensione, riduce questo rischio

A livello generazionale, appare inoltre evidente il gap che divide gli anziani dai giovani, a cui stiamo garantendo un futuro sempre più povero e buio

Cosa fare per curare questa malattia, senza continuare a far finta di niente e voltarsi dall’altra parte?

Il primo immediato intervento deve partire sicuramente dai giovani, garantendo loro un lavoro certo, non precario e non sottopagato, come invece avviene oggi.

E contestualmente dare risorse, sin dalla prossima legge di stabilità, alle famiglie numerose.

Questo può realizzarsi attivando contemporaneamente queste azioni:

  • passaggio generazionale del lavoro da genitore a figlio, in particolare per i lavoratori e le lavoratrici a cui mancano pochi anni alla pensione. Il meccanismo prevede la possibilità per il genitore di passare dal tempo pieno a part time, con riconoscimento per intero dei contributi pensionistici, a fronte della contemporanea assunzione del figlio presso la stessa azienda, oppure presso altre aziende, attraverso un meccanismo di compensazione in una sorta di ‘borsa del lavoro’. In questo modo si favorisce, a parità di ore lavorate, la creazione di nuovi posti di lavoro attraverso il meccanismo ‘lavorare meno, lavorare tutti’;
  • corsie preferenziali e agevolazioni per l’assunzione dei figli delle famiglie numerose, in particolare per quelle a maggior rischio di povertà. È riconosciuto, peraltro, che chi ha vissuto all’interno di nuclei con più fratelli, si integra più velocemente e più efficacemente all’interno delle strutture aziendali;
  • destinazione di nuove risorse per le famiglie con figli, attraverso l’introduzione del Fattore Famiglia, a cominciare dai nuclei a maggior rischio di povertà, e con il raddoppio degli assegni famigliari, a partire dalle famiglie con almeno 3 o 4 figli a carico. Queste risorse entrano immediatamente nel ciclo economico attraverso i consumi, contribuendo quindi alla ripresa della economia e, conseguentemente, alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Il 28-29 di settembre si terrà a Roma la terza Conferenza Nazionale sulla Famiglia; questa è un’ottima occasione per affrontare l’argomento.

Rimane però un dubbio: sarà solo una chiacchierata tra amici, giusto per mettersi la coscienza in pace, oppure inizierà seriamente la cura del nostro Malato?

Alfredo Caltabiano