«Un problema centrale nelle democrazie moderne riguarda l’invecchiamento dell’elettorato e il conseguente squilibrio delle politiche pubbliche a favore delle generazioni più mature» osserva Matteo Rizzolli. «La spesa pubblica infatti è impegnata principalmente sulle voci di spesa come le pensioni e le prestazioni sanitarie che riguardano maggiormente la generazione più anziana e meno sulle voci di spesa come l’educazione e le politiche per la famiglia che interessano i giovani e le famiglie. Questo squilibrio è ulteriormente aggravato dal fatto che i giovani hanno meno propensione a votare e quindi di influenzare direttamente le politiche che li riguardano. Un esempio emblematico è il risultato del referendum sulla Brexit, dove, se i giovani avessero votato in massa, il risultato avrebbe probabilmente avuto un esito differente».
Nel contesto attuale, il voto fiduciario è stato di recente menzionato nella campagna elettorale americana: il candidato repubblicano alla vicepresidenza JD Vance ha espresso sostegno per questa misura, come strategia per contrastare la denatalità e incentivare politiche più favorevoli alle famiglie».
«Vero. Oltre al voto fiduciario, c’è un movimento parallelo che promuove l’abbassamento dell’età minima del voto oggi fissata a 18 anni. Diversi paesi hanno permesso ai sedicenni di votare alle recenti elezioni europee. Ma perché 16 e non una soglia ancora minore? Diversi studiosi e attivisti sostengono la necessità di abbassare l’età minima molto di più ed alcuni genitori hanno deciso di passare all’azione cedendo il proprio voto ai propri figli: in primavera se ne è parlato su Avvenire e proprio questi giorni il Guardian ha dato spazio ad una simile iniziativa globale. Una delle obiezioni più comuni all’abbassamento dell’età del voto o al voto fiduciario riguarda le presunte carenze cognitive dei minori. Si argomenta spesso che i giovani non abbiano ancora la maturità necessaria per prendere decisioni informate e razionali. Tuttavia, diversi studi e casi pratici mettono in discussione questa affermazione. In molti paesi, i giovani già godono di diritti e responsabilità significativi. Ad esempio, possono sposarsi, diventare genitori, prendere decisioni mediche importanti e, in alcuni paesi, possono essere processati penalmente già a partire dai 14 anni. E al tempo stesso nessuno mette in discussione il diritto di voto degli adulti che hanno seri e comprensibili limiti cognitivi. Ed allora perché discriminare solo i giovani sulla base di una non meglio definita soglia di maturità?»
«Il voto fiduciario dei bambini e l’abbassamento dell’età del voto, non sono due misure alternativa m al contrario possono andare tranquillamente insieme: si potrebbe infatti avere una soluzione inclusiva e dinamica per garantire una piena rappresentanza politica delle giovani generazioni. Il voto fiduciario permetterebbe ai genitori di rappresentare i figli fino a quando questi non raggiungano un’età sufficiente per votare autonomamente. E quale sarebbe quest’età? Perché non lasciare ai ragazzi decidere quando si sentono pronti, facendo un’apposita richiesta per avocare a se il voto fiduciario esercitato fino ad allora dai genitori (naturalmente dovrebbe passare automaticamente ai giovani con la maggiore età). In questo modo, si eviterebbe la totale esclusione dei bambini dal processo democratico durante la loro infanzia, garantendo comunque che, al raggiungimento dell’età della maturità politica individuale, possano esercitare il voto in prima persona. Questa combinazione crea un continuum di partecipazione: da una fase iniziale in cui i diritti dei minori sono protetti tramite i loro genitori, fino a un passaggio graduale verso l’autonomia politica grazie all’abbassamento dell’età del voto. Unire queste due proposte favorisce non solo l’inclusione politica delle famiglie, ma anche la graduale educazione e responsabilizzazione dei giovani, che entreranno nella vita democratica già consapevoli e preparati, rafforzando così l’intera struttura democratica».