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Il Cardinale Tettamanzi: Matrimonio,”coerenza tra il dono ricevuto e l’impegno affidato”

Il Cardinale Tettamanzi: Matrimonio,”coerenza tra il dono ricevuto e l’impegno affidato”

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La VI sessione del Consiglio Pastorale Diocesano del 17-18 febbraio 2007<br /> affronta il tema “Famiglia comunica la tua fede – le

La VI
sessione del Consiglio Pastorale Diocesano del 17-18 febbraio 2007 affronta il
tema “Famiglia comunica la tua fede – le famiglie soggetti di
evangelizzazione: trasmissione della fede ed educazione all’amore”. Si tratta
di una discussione in merito alla seconda tappa del Percorso pastorale
diocesano sul tema della famiglia, dal titolo generale “l’amore di Dio è in
mezzo a noi”. E’ in questo contesto spiccatamente pastorale che l’Arcivescovo
ha ritenuto di offrire l’intervento “Famiglia, trasmissione della fede e unioni
di fatto”.

 

Intervento dell’Arcivescovo

Cardinale Dionigi Tettamanzi

Alla VI Sessione del Consiglio Pastorale
Diocesano

Triuggio, 17 febbraio 2007

 

FAMIGLIA,
TRASMISSIONE DELLA FEDE E UNIONI DI FATTO

 

Carissimi
membri del Consiglio pastorale diocesano,

questa sesta
sessione del Consiglio pastorale è chiamata a offrire all’Arcivescovo il
proprio contributo alla delineazione della seconda tappa del Percorso pastorale
triennale “L’amore di Dio è in mezzo a noi”,
affrontando il tema:
Famiglia, comunica la tua fede – le
famiglie soggetti di evangelizzazione: trasmissione della fede ed educazione
all’amore
. Già da ora, conoscendo la vostra
passione per il cammino della nostra Chiesa e la competenza, anche per diretta
e ricca esperienza, che avete sul tema della famiglia, vi ringrazio per le
preziose indicazioni che vorrete darmi. Questa seconda tappa del Percorso per
l’anno pastorale 2007-2008 è inscindibilmente unita alla prima (
Famiglia
ascolta la parola di Dio!
) e alla terza che
metterà a fuoco la «presenza delle
famiglie nella storia e nella società quali artefici
di una nuova civiltà
: una civiltà veramente
umana e umanizzante, centrata sull’inviolabile dignità della persona umana» e
sarà connotata dal titolo:
Famiglia diventa anima del mondo! (L’amore di Dio è in mezzo a noi, n. 5). Il Percorso pastorale è quindi estremamente
unitario: ogni tappa accentua un particolare aspetto della stessa tematica,
senza però dimenticare le altre e sempre nella prospettiva missionaria espressa
nel sottotitolo del percorso:
La missione della famiglia a servizio
del Vangelo
. Perciò, quasi anticipando ciò
che sarà oggetto di considerazione tra due anni, mi soffermo su
una particolare questione che concerne
la famiglia nel contesto della società odierna e che si presenta assai viva e
discussa nel nostro Paese. Ho ricevuto, più volte e da più parti, in questi
giorni
la richiesta di una parola sul dibattito in corso circa le unioni di fatto. E’ una richiesta legittima e comprensibile anche
per la situazione così confusa, direi agitata, che sta connotando questo
dibattito. Ritengo che il contesto di questa sessione del Consiglio pastorale
dedicata al nostro impegno come Diocesi circa la famiglia – impegno che
non nasce certamente oggi – sia quello più adatto.

           

1. Ma quale
parola vi posso o vi devo dire?
Quale
parola di fronte alle tantissime, fin troppe, parole che vengono pronunciate
– e spesso “gridate” – con asserzioni nel segno dell’assolutezza, con
poca o nulla disponibilità all’ascolto reciproco e al dialogo? Di fronte ad
affermazioni così diverse e contraddittorie tra loro?

Quale parola di fronte alla
complessità dei problemi in gioco nel loro contenuto, nelle argomentazioni
addotte, nei livelli implicati?

Per la verità, parole sulla
famiglia le sto appunto dicendo – le stiamo dicendo insieme come Chiesa
ambrosiana – nel Percorso pastorale diocesano di questo triennio. Ci
sentiamo tutti chiamati ad essere, sulla misura del cuore di Cristo, comunità
accoglienti e in ascolto: in ascolto di quello che chiamiamo il “piccolo
vangelo delle famiglie” nella loro esperienza di vita quotidiana, intessuta di
sentimenti e di gesti sia di bene che di male, e soprattutto del “grande
vangelo di Gesù”, che per tutti ha una parola di verità e di grazia, di
richiamo e di speranza. Ma è in rapporto al dibattito in corso che sono
richiesto d’una parola. Quale parola, dunque? Vorrei dire una parola
connessa con il ministero del Vescovo,
quale
ministero di amore e di verità nella e per la Chiesa, nella e per la società. E
vorrei dirla con grande libertà interiore e vivo senso di responsabilità e
quindi con l’unico desiderio di essere fedele annunciatore del Vangelo di Gesù
e insieme particolarmente vicino alla gente, usando la massima chiarezza
possibile.

 

2. La mia
prima preoccupazione di Vescovo sono le coppie e le famiglie cristiane,
quelle fondate e sostenute dal Sacramento del
Matrimonio, e dunque con la grazia e la responsabilità di vivere il matrimonio
e la famiglia secondo il disegno di Dio e, proprio per questo, secondo le esigenze
più profonde e autentiche del cuore dell’uomo e della donna. Per questa strada,
sia pure in mezzo a non poche difficoltà e fatiche, e talvolta con il peso di
errori e di incoerenze, è possibile scoprire e gustare la grazia, la bellezza e
la gioia del vero amore, salvato e redento dal Signore Gesù. Certo, di ideale
si tratta, ma anche di reali esperienze di vita, che aprono alla speranza e
nello stesso tempo sollecitano a vivere il matrimonio e la famiglia secondo la
“logica” nuova, grande e possibile della grazia. E questo, sia nel segno di una
“coerenza” tra il dono ricevuto e l’impegno affidato e pertanto “facendo la
verità” nella vita d’ogni giorno, sia con il frutto di una “testimonianza” che
viene offerta con umiltà e semplicità (tutto è grazia!) agli altri: in primo
luogo agli stessi credenti e praticanti e poi a tutti gli altri, suscitando in
loro reazioni diverse: attenzione, indifferenza, domande, richiami, nostalgie.
Come cristiani, discepoli del Signore che vivono l’esperienza coniugale e familiare
siamo
quotidianamente “sfidati” nella nostra fede, chiamati cioè ad accogliere, vivere e testimoniare
nel matrimonio e nella famiglia il Vangelo di Gesù, secondo l’insegnamento
della Chiesa, nutriti dalla Parola e dai Sacramenti e sostenuti dalla catechesi
e da un cammino spirituale di preghiera. Per la Chiesa e la sua missione, per
il Vescovo e il suo ministero, per i credenti e la loro vita c’è qui
un
“primato” di grazia e di responsabilità che va assolutamente onorato,
rispetto a tutto il resto e perché tutto il resto
possa ricevere senso vero e profondo e forza di realizzazione coerente.

 

3. Questa
prima preoccupazione – mia e della comunità cristiana – sprigiona uno
sguardo attento e un profondo interesse anche per tutte le altre situazioni
di coppia,
sia che si tratti di famiglie
nate da un vincolo matrimoniale civile o religioso non cristiano, sia che si
tratti di realtà di “convivenza”. Al riguardo non dobbiamo dimenticare che la
grazia di Dio si fa presente e operante in tutte le situazioni umane. Lo
ricordavo nel Percorso pastorale diocesano anche a proposito di realtà nate
successivamente al fallimento del matrimonio, per le quali occorre saper
«valorizzare quegli elementi umani ed evangelici che possono comunque essere
presenti anche nelle unioni e nelle famiglie che spesso nascono da
un’esperienza di separazione o di divorzio»
(L’amore
di Dio è in mezzo a noi,
n. 41).
Queste esperienze di convivenze toccano non soltanto le singole persone
coinvolte ma anche la stessa società nel suo complesso: rivestono, infatti,
un’innegabile dimensione sociale, ma prima ancora sono oggetto di una cura
pastorale della Chiesa attenta alla persona e alla società secondo il disegno
di Dio. Prima di una questione politica queste esperienze di relazione tra le persone
interessano la Chiesa e la sua missione di annuncio e di testimonianza del
“Vangelo dell’amore”. E’ questa un’azione da vivere con sincero spirito di
collaborazione con tutti coloro che, anche partendo da punti di vista diversi,
operano nella società per la promozione della persona, della famiglia,
dell’educazione dei giovani ai valori più autentici. In particolare, non vorrei
che l’enfasi di questi giorni sulla questione legislativa facesse dimenticare o
attenuare per noi cristiani l’azione evangelizzatrice e pastorale e, in
generale, per chi vive nella società l’impegno sociale, culturale ed educativo.
Ciò non toglie che è pure importante
un’azione propriamente “politica” a favore della famiglia fondata sul
matrimonio, che si faccia carico anche della concretezza delle condizioni di
vita personale e sociale. La
Chiesa poi incoraggia chi si
impegna nel “sociale” e chi si assume una responsabilità propriamente
“politica” – responsabilità non sempre facile soprattutto in una società
pluralistica che richiede una paziente e coraggiosa opera di confronto
veritiero e di costruttivo dialogo -, responsabilità da attuare sempre in una
prospettiva di autentico servizio alla persona e alla società. In questo
contesto va decisamente rilevata
l’esigenza prioritaria della elaborazione e promozione di una adeguata
politica familiare
in ordine al bene comune
di tutta la società.
 

           

 

 

 

 

 

4. Il primo
aspetto della politica familiare è di riconoscerne la specificità, che deriva dall’unicità propria della famiglia
fondata sul matrimonio. In realtà, la famiglia è – come amava dire la
saggezza antica – il
seminarium civitatis, ossia il
nucleo sociale di base in quanto nucleo sorgivo ed educativo della società. E
questo in forza del contributo che la famiglia offre alla società: la
generazione e l’educazione dei figli, la cura delle persone specialmente quelle
più deboli e bisognose. Come l’esperienza attesta, il dono della vita ai figli,
l’opera formativa al “senso” della vita e la tutela della persona in qualsiasi
condizione ed età sono valori non solo fondamentali ma propriamente “fondanti”
dell’ “essere” stesso e del “ben-essere” della società, nel presente e per il
futuro. Vorrei qui richiamare con forza che
alle “radici” della
famiglia
nella società sta una
ben precisa antropologia
centrata sulla
dignità personale dell’uomo e della donna, e sul loro reciproco rapporto di
comunione d’amore e di vita. In tal senso la famiglia si costituisce come luogo
primario della realizzazione della persona. Si tratta, poi, di una politica
familiare che deve caratterizzarsi per la sua
globalità: la famiglia, quale nucleo sorgivo ed educativo
della società, può adeguatamente realizzarsi solo a condizione che siano
garantiti
e promossi
tutti i valori sociali
di giustizia e di solidarietà, riguardanti
la tutela della vita, la casa, il lavoro, l’economia, l’educazione, la salute,
la cultura, la pace, ecc. Per questo l’attenzione alla famiglia non può mai
essere separata dall’attenzione a tutti gli altri valori sociali, così come
l’interesse e l’impegno per questi ultimi sono inscindibili rispetto
all’interesse e all’impegno per la famiglia. E’ necessario però procedere
oltre. Non basta dire che la politica familiare non è un semplice “settore”,
seppure importante, della politica generale. Così come non basta sottolineare
che la politica familiare possiede una “dimensione” sociale globale, in quanto
coinvolge tutti i valori e le responsabilità della società come tale. In
verità, la politica familiare deve essere considerata uno degli
elementi
fondanti, centrali e strutturanti dell’intera azione politica
. Mi piace riprendere, perché conserva piena
attualità, una parola di Giovanni Paolo II rivolta ai Vescovi italiani il 14
maggio 1993: «Il rinnovamento del Paese passa attraverso un’attenzione concreta
alla famiglia. Se questa deve assumersi con più coraggio il suo compito sociale
e politico, la società e lo Stato devono sottrarla alla condizione di
marginalità, e spesso di penalizzazione, nella quale è tuttora confinata;
devono fare della politica familiare
la chiave centrale e risolutiva
dell’intera politica dei servizi sociali…
».
Nel dibattito in corso si è giustamente parlato delle famiglie come di una
priorità, in particolare per quanti operano in politica. Più
ancora si dovrebbe parlare di una
necessità, anzi di una emergenza, data la situazione attuale di ritardo, di scarsità
di risorse, di gravi e generali difficoltà. Come tale, la politica familiare
nel senso detto non può non avere
precedenza su tutto il resto: precedenza anche nei tempi di intervento, e
comunque come criterio per valutare o “misurare” ogni altro intervento. Quanti
amano la famiglia e il suo contributo sociale hanno il diritto e il dovere di
impegnarsi e insieme di chiedere che la politica sia finalmente e concretamente
rispettosa della priorità-necessità-emergenza detta.

 

5. Da quanto precede risulta che solo nel
contesto di una vera e autentica politica familiare, nel senso ora indicato,
può avere spazio la considerazione dei problemi personali e sociali connessi
alle unioni di fatto. L’esistenza stessa di queste situazioni, infatti, anche a
prescindere dalla loro consistenza numerica e dalla loro notevole
diversificazione, ha un evidente risvolto sociale, sia sulle coppie e famiglie,
sia sulla società come tale. Non è possibile non affrontare i problemi che
vengono sollevati da queste situazioni: tutti, anche se in modi diversi, siamo
coinvolti e quindi impegnati. L’aspetto prevalente nel dibattito attuale, se
non esclusivo, sembra essere quello di una regolamentazione giuridica di questo
fenomeno che aiuti le persone che lo vivono. Ora non può non preoccuparci il
clima di confusione, anzi di deformazione che sta caratterizzando il dibattito.
Non è esagerato – penso – parlare di “deformazione”, se guardiamo,
anzi tutto, alla forte politicizzazione, che tende a spostare i termini stessi
del problema: in primo piano non sta la questione delle unioni di fatto, ma
quella degli schieramenti politici, sia al loro interno sia nel loro rapporto.

 



Di “deformazione” poi si deve parlare per
la forte spinta culturale di un radicale “soggettivismo” e “individualismo”,
che da un lato ritiene “diritto” ciò che è “desiderio” e rivendica diritti
cancellando doveri, e dall’altro lato giunge a negare la rilevanza personale e
sociale della differenza e complementarità sessuale. L’esito di questa spinta
culturale è la richiesta, più o meno mascherata, di dare riconoscimento
pubblico alle unioni omosessuali.

 

Non si può negare che a diffondere e a
rafforzare una simile “deformazione” contribuiscono in maniera rilevante gli
strumenti della comunicazione sociale ogniqualvolta derogano al loro dovere di
fornire un’informazione libera e corretta e finiscono per essere succubi degli
interessi del “potere” economico, politico e culturale. Il rischio che si corre
è di giungere ad una “strumentalizzazione” di un preciso fenomeno sociale per
fini ben diversi dal dichiarato intento di dare risposta – anche
giuridico-legale – a disagi e a richieste dei conviventi.

 

In questo
clima confuso e deformato gli stessi interventi del Papa e della Conferenza
Episcopale Italiana
sono spesso accolti, in
particolare dai media, nella logica di volere a tutti i costi determinarne una
collocazione politica. Così si dimentica che il loro senso preciso è quello di
richiamare a quei valori etici fondamentali che si presentano come
particolarmente urgenti nelle circostanze attuali e a favorire un preciso
giudizio storico.

 

Una
conseguenza quanto mai facile di tutto ciò è il fatto che anche i credenti possono essere tentati di inserirsi
in questa stessa logica
, così che il clima
di contrapposizione spesso frontale, di divisione, di sospetto può contagiare
non poco il vissuto delle nostre comunità cristiane, minacciando di ostacolare
il cammino ecclesiale di obbedienza alla verità, di confronto e di dialogo nel
rispetto di tutte le persone, di crescita nella comunione.

 

Dobbiamo
quindi impegnarci tutti a uscire da prospettive ristrette e distorcenti: con la
vigilanza morale, il ricupero della razionalità umana, l’esercizio di un paziente
e coraggioso discernimento su quanto è veramente necessario e utile per le
sorti della famiglia e della società, nel rispetto della dignità della persona.
E’ inoltre da rilanciare con convinzione e forza l’inscindibile legame tra
verità e carità, tra ideale normativo e cammino esistenziale verso di esso.

 

6. Oltre il
“clima”, si pone il tema del “contenuto” degli interventi che la società, e in
essa la politica, elabora per affrontare la problematica delle unioni di fatto, in particolare dei tentativi, attraverso varie
proposte di legge, per una loro
regolamentazione giuridica.

 

L’interrogativo riguarda il “come”, a quali
condizioni e verso chi deve attuarsi tale intervento: a prescindere da una
concreta attenzione globale e complessiva ai valori e alle esigenze della
famiglia? riconoscendo uno “status” giuridico analogo a quello della famiglia?
Personalmente ritengo che a queste domande si debba rispondere negativamente. I
diritti e i doveri delle singole persone che convivono possono essere infatti
adeguatamente regolamentati ricorrendo al diritto comune e ad eventuali
modifiche della normativa civilistica.

 

Facciamo
nostre, in tal senso, le preoccupazioni espresse nel discorso di Papa Benedetto
XVI alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi:
«Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio,
la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo
giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più
difficile. Si aggiunge poi, per l’altra forma di coppie, la relativizzazione
della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo
e una donna o di due persone dello stesso sesso» (22 dicembre 2006).

 



7.
Permettetemi di concludere queste riflessioni, che ho voluto condividere con
voi, ritornando a ribadire la necessità di un’azione pastorale verso i
conviventi.
E’ un campo dove la Chiesa è
chiamata tutta intera ad agire in prima persona, senza sottrarsi alle
complessità attuali e alla fatica di cercare forme nuove di vicinanza e di
sostegno. Il Vangelo è parola di speranza per l’oggi, per ogni uomo e donna che
vive in questo mondo che cambia: questa deve essere la nostra ferma e gioiosa
convinzione.

 

Vorrei
semplicemente rileggere con voi quanto scrivevo in proposito nel Percorso
pastorale: «Un numero sempre crescente di persone, pur provenendo dalle
comunità cristiane, non sceglie l’istituzione del matrimonio per dire e per
vivere il proprio amore. Alcuni, per i motivi più diversi, legati alla loro
storia o alle loro paure, agli esempi negativi vissuti, alle loro convinzioni
civili o religiose, alla precarietà delle situazioni di vita o alle condizioni
economiche, all’insicurezza reciproca o all’incertezza sul futuro, preferiscono
non celebrare in chiesa il loro rapporto affettivo, ma scelgono o il semplice
matrimonio civile o la convivenza come espressione del loro amore. Queste
condizioni di vita non possono lasciare indifferente e assente la comunità
cristiana. Essa si sente obbligata ad interrogarsi su come essere più vicina a
queste persone e a queste situazioni, sia nel loro sorgere come nel loro
evolversi lungo gli anni. Sì, essere più vicina nel senso di offrire,
anzitutto, esempi semplici e convincenti di una vita coniugale secondo verità
e, insieme, di condividere con amore paziente e incoraggiante un cammino verso
la verità dell’amore, la sola che libera e dona autentica felicità» (L’amore
di Dio è in mezzo a noi
, n. 34).

 

Sono solo
pochi accenni, ma al riguardo mi attendo molto dai vostri consigli e
suggerimenti nati da un saggio discernimento sotto la luce e la guida dello
Spirito operante nella Chiesa. Del resto anche la tematica che oggi e domani
affronteremo non può prescindere dal considerare la situazione delle convivenze
e dei bambini e dei ragazzi che crescono in esse. Anche a loro va trasmessa e
testimoniata la fede. Chi convive, se credente, pur in una situazione non
facile e con la presenza di aspetti oggettivamente non coerenti con il Vangelo,
è chiamato, con l’aiuto e il sostegno della comunità cristiana, a trasmettere
alle nuove generazioni il senso di Dio e il gusto della vita.         

 

Certamente di
fronte a questi problemi vediamo che il nostro vino viene a mancare: ma abbiamo
fiducia che, come a Cana, Maria – la madre di Gesù e madre nostra – saprà
ancora una volta intercedere per noi. E il vino nuovo e sovrabbondante non
mancherà. 

 

+ Dionigi card. Tettamanzi

                                                             Arcivescovo
di Milano