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Europa, spesa sociale per la famiglia: l’Italia è in coda

Europa, spesa sociale per la famiglia: l’Italia è in coda

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Solo il 4,4% della spesa sociale italiana va alla famiglia. Uno dei valori più bassi, insieme a quello della Spagna, contro l’8,5% a livello europeo. Lo sottolinea il documento finale della commissione Affari sociali della Camera, dopo l’indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia realizzata a partire dal giugno scorso anche attraverso un giro di audizioni che ha coinvolto l’Istat, i sindacati, gli istituti previdenziali, le associazioni datoriali come Confindustria, le associazioni che lavorano con la famiglia.
«L’obiettivo – si legge nel rapporto – è quello di incrementare e riorientare la spesa, per sostenere politiche più adeguate» ponendo fine a intervanti sporadici e meramente assistenziali e attuando una «convergenza della politica fiscale, del lavoro, dell’istruzione, della salute, della casa, dei servizi sociali, delle pari opportunità».
Un esempio su tutti può aiutare a capire la scarsa attenzione che in Italia viene dedicata ancora alle politiche a sostegno della famiglia: la situazione degli asili nido. L’Italia, sottolinea la Commissione nel rapporto, è ancora ben lontana dal raggiungimento dell’obiettivo del 33% della copertura territoriale entro il 2010 fissato dal Consiglio europeo di Lisbona nel 2000.
I bambini di età compresa tra 1 e 2 anni con la madre che lavora vengono affidati ai nonni per il 52,3%, al nido privato per il 14,3%, al nido pubblico per il 13,5% e infine alla baby sitter per il 9,2%, secondo quanto emerge dai dati Istat. Da sottolineare che il 28,3% delle madri che non si avvalgono di un nido, avrebbero in realtà voluto usufruirne ma non lo hanno fatto per l’assenza o la lontananza delle strutture (22%), per la carenza dei posti disponibili (19,5%), per i costi elevati (28,5), per la rigidità dell’offerta (16,3%)
Altro capitolo dolente evidenziato dall’indagine della Camera, è quello della tassazione. Sul fronte delle politiche pubbliche per la famiglia, le «sfasature maggiori si riscontrano nel settore del fisco» che «non è adeguatamente orientato in favore dei nuclei con figli, di quelle monoreddito e dei contribuenti cosiddetti incapienti, cioè dei più poveri». «Gli squilibri del sistema fiscale risultano particolarmente evidenti con riferimento all’Irpef, all’Ici, alla tassa sullo smaltimento dei rifiuti, che non prevedono adeguate agevolazioni in relazione al numero dei componenti del nucleo familiare (spesso monoreddito)», si legge nella bozza conclusiva dell’indagine. Considerazioni analoghe vengono fatte sulle modalità di calcolo delle tariffe, «non sufficientemente rapportate alle peculiari esigenze delle famiglie numerose».
L’indagine punta l’indice contro l’indicatore della situazione economica dei contribuenti (Isee) che sarebbe da riformare perché «non consente l’emersione dei fenomeni di elusione ed evasione fiscale» e non assicura una «adeguata ponderazione delle varie fonti di ricchezza del nucleo familiare».
«Se in assoluto – si legge nel documento – il valore monetario del reddito può essere molto elevato in concreto il suo valore reale decresce al crescere del numero dei figli».
Nel corso dell’indagine è emersa «l’importanza che riveste il meccanismo delle deduzioni o delle detrazioni d’imposta ai fini di una maggiore equità» dell’imposizione fiscale sui redditi. Tra le categorie interpellate sono stati in molti invece a sottolineare di rivedere il tema degli assegni per il nucleo familiare, «valutando l’estensione di tale beneficio nei confronti delle categorie attualmente escluse e potenziandone i benefici in rapporto al carico familiare».
Tra le misure a favore della non autosufficienza (nelle famiglie con disabili sono le famiglie ad assicurare per l’85% il mantenimento del congiunto) che dovrebbero essere prese c’è il potenziamento degli sgravi fiscali per le badanti.
Il testo definitivo dell’indagine dovrebbe essere presentato a Montecitorio il 3 maggio.

eco di bergamo

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