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Come una famiglia

Come una famiglia

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I beni, la proprietà, la condivisione

In una vera famiglia non c’è proprietà privata. Nel senso che è abbastanza difficile imporre l’idea a chi vive sotto lo stesso tetto che qualcosa appartiene esclusivamente a qualcuno. In un nucleo numeroso, poi, dove i figli sono tanti e magari nella condivisione degli spazi entrano in gioco anche altri parenti, è praticamente impossibile avanzare qualunque diritto di proprietà esclusiva. Lo si capisce presto e ci si abitua in fretta. Ci sono dei margini, d’accordo: c’è la camera dei genitori da difendere, i fratelli tendono ad avere i loro giochi e i loro spazi preferiti, ci sono i cassetti da non toccare, gli oggetti personali. Ma diciamo che più la famiglia è grande e unita e più il concetto di condivisione, dei beni e degli spazi, di abbandono delle pretese di esclusività, diventa un dato acquisito, scontato, naturale.

Chissà, forse papa Francesco avrà avuto in mente qualche situazione specifica, viva e reale, di famiglia numerosa e anche un po’ chiassosa quando nell’incontro con la società civile a Quito, in Ecuador, martedì ha parlato di famiglia come della cellula sociale in cui le persone vengono educate ai «valori fondamentali dell’amore, della fraternità e del reciproco rispetto», che nella pratica si traducono nei «valori sociali essenziali: la gratuità, la solidarietà, la sussidiarietà». Sì, perché è solo pensando a una situazione di famiglia autentica, il luogo dove ogni persona con tutti i suoi limiti «si sente veramente a casa», che si può leggere e interpretare uno dei molti spunti consegnati alla riflessione, quello che lega il concetto di gratuità a quello di proprietà privata.
«I beni sono destinati a tutti – ha rimarcato il Papa – e per quanto uno ostenti la sua proprietà, pesa su di essi un’ipoteca sociale. Così si supera il concetto economico di giustizia, basato sul principio di compravendita, con il concetto di giustizia sociale, che difende il diritto fondamentale dell’individuo a una vita degna».

È bello vedere in queste parole, freschi di lettura dell’enciclica Laudato si’, l’invito ripetuto al mondo perché tutti possano riconoscere di appartenere a un’unica famiglia umana, figli dello stesso padre, abitanti della stessa casa comune. Ma è guardando i volti di una famiglia vera, magari come quelle che a decine, numerosissime tra figli, zii e nonni, ogni giorno affollano l’aeroporto di Quito aspettando l’arrivo di un parente, che si può trovare una chiave per leggere alcuni messaggi. Ce n’è uno, volendo, rivolto all’Europa alle prese con la crisi greca, dove Francesco ricorda che in una vera famiglia «se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando “se l’è cercata”, gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono»; e uno ancora più grande, che racconta di molte sofferenze in Sudamerica e in tanti Paesi in via di sviluppo, nel passaggio in cui si toccano i concetti di «proprietà» e «dignità».

Più che ai limiti e alle opportunità della proprietà privata all’europea, Francesco dall’America Latina guarda allo scandalo della sottrazione di terre o allo «sfruttamento delle risorse naturali» nei Paesi in via di sviluppo, fenomeni che comprimono il diritto a una vita degna dei poveri – che assai spesso coincidono con i popoli indigeni – condannano intere popolazioni alla fame o alla migrazione, generano conflitti. Sono temi forti della Laudato si’, dove i problemi dell’Amazzonia o del bacino fluviale del Congo, delle risorse sfruttate in Patagonia, dalle grandi falde acquifere ai ghiacciai, vengono elencati come esempi di una dinamica distorta nei rapporti di forza del mondo. Terre e ambiti in cui il dominio di multinazionali senza volto (ma con artigli) trova la Chiesa al fianco delle popolazioni locali in una battaglia in difesa della giustizia e della dignità, ovvero nella custodia del significato più autentico di famiglia umana.

È dai «nostri genitori», dunque da una famiglia, che abbiamo ricevuto il mondo in eredità, ci ricorda il Papa, ed è alle generazioni future, ai figli, che lo dobbiamo consegnare. Ed è nella vita familiare che impariamo a essere «responsabili l’uno dell’altro», a «rispettare l’altro», a riconoscere «ciò che c’è di buono negli altri, anche con i loro limiti», scorgendo tutta «la ricchezza che caratterizza la diversità e il valore di complementarietà». Custodiamo questa famiglia, salveremo l’umanità e la terra.

Fonte: avvenire.it di Massimo Calvi