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Biotestamento

Biotestamento

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In questi giorni in parlamento si discute sulla legge sul fine vita o “biotestamento”,  la DAT (Disposizoni anticipate di trattamento).
Vi proponiamo il parere di due esperti, pubblicati il 12 dicembre su Avvenire.

 

IL MEDICO

Ma in corsia questa legge non serve

Caro direttore, intervengo nel dibattito in corso su Avvenire perché da medico, anestesista-rianimatore per 20 anni e da 11 anni palliativista e direttore di un Hospice, mi sento di dire che il disegno di legge «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento », così come è strutturato, presenta molte più ombre che luci e sembra rispondere più a logiche politiche e ideologiche che cliniche e funzionali alle persone sofferenti. Credo anzi che se si trattasse realmente di garantire il consenso ai trattamenti e di evitare l’accanimento terapeutico non sarebbe proprio necessaria una legge, che tra l’altro non può prevedere tutte le possibili situazioni cliniche in cui ci si può venire a trovare. Infatti basterebbe applicare l’articolo 32 della Costituzione («Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ») e l’articolo 16 del Codice di deontologia medica («Procedure diagnostiche e interventi terapeutici non proporzionati ») per garantire un corretto rapporto fra curante e curato, per garantire il rispetto dell’autonomia del paziente ed evitare trattamenti non giustificati, non proporzionati e dannosi. È già un dovere di ogni medico, e soprattutto di quei medici che si tro- vano spesso ai confini tra la vita e la morte, decidere sulla base delle proprie competenze e delle conoscenze scientifiche del momento, e quindi proporre al paziente o al suo nucleo familiare il trattamento più appropriato, più utile (e quindi non ‘futile’) alla situazione clinica attuale.

Questa situazione può essere frutto di una lunga storia di malattia, durante la quale si può pianificare il percorso di cure appropriate, oppure può verificarsi più o meno improvvisamente, con decisioni affidate alla valutazione dell’équipe curante, spesso del Pronto soccorso o di Rianimazione, che non può prevedere l’esito del soccorso e delle cure e deve dedicarsi alla salvaguardia della vita. Chi può dire quante vite sono state salvate dal progresso e dall’affinamento delle tecniche di rianimazione, dai trapianti d’organo e dalle tecniche di supporto vitale, in via di continua evoluzione? Certo l’applicazione di queste tecniche può anche determinare un’evoluzione sfavorevole che non si conclude con la morte ma con una disabilità più o meno grave. Qui si pone il problema di decidere volta per volta l’opportunità e la proporzionalità delle cure proposte e applicate, non certo di costringere il medico se scegliere tra l’applicare meccanicamente le Dat, negando al paziente interventi salvavita, e disattenderle, rischiando di essere chiamato a risponderin caso di esito insoddisfacente.

Per le patologie croniche evolutive soprattutto neurologiche, così come per le malattie tumorali, sarebbe preferibile spostare il piano dalle Dat alle cure palliative. Il loro sviluppo nel nostro Paese, grazie alla legge 38/2010 «Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore» (questa sì una legge d’avanguardia in Europa!), rappresenta un’ulteriore garanzia per assicurare ai pazienti cure proporzionate evitando accanimenti inutili e gravosi. Il dolore, che fa più paura della morte stessa, può oggi essere sempre controllato con terapie appropriate e, a fronte di una sofferenza intollerabile, è possibile applicare la sedazione palliativa e rendere gli ultimi giorni di vita più dignitosi.

Credo poi che la parte del disegno di legge sulla nutrizione e l’idratazione artificiali sia fuorviante, perché esistono già linee guida di varie società scientifiche che pongono le indicazioni e i limiti del trattamento sostitutivo. È chiaro, ad esempio, che all’approssimarsi del fine vita, quando anche naturalmente viene meno il bisogno di mangiare e di bere, non ha indicazione un trattamento sostitutivo artificiale. Quando però, nonostante la gravosità della malattia, l’aspettativa di vita è lunga, a volte di anni, la sospensione della nutrizione e dell’idratazione diventerebbe la causa primaria della morte configurandosi quindi come una forma di eutanasia omissiva o di suicidio assistito, che tutti però dicono non essereo oggetto del progetto di legge, e che sono anche in contrasto con l’articolo 17 del Codice di deontologia medica («Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte»). Non è definendo nutrizione e idratazione artificiali ‘terapie mediche’, piuttosto che sostegno vitale, che le si rendono ‘cattive’ compagne del paziente, così come non lo sono gli strumenti che le veicolano (sondini, cateteri e quant’altro). È proprio la preoccupazione del legislatore di mettere al riparo il medico dal codice penale che lascia più dubbi sulla natura eutanasica della sospensione di cure che si vorrebbe autorizzare.

Marcello Ricciuti

 

LA GIURISTA

Si fa saltare la relazione di cura

«Sul consenso informato del paziente non c’è vuoto normativo perché è già un principio generale dell’ordinamento in materia sanitaria». Lo scandisce Giovanna Razzano, professore aggregato di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma riflettendo sul ddl da oggi al voto del Senato.

A quali norme si riferisce?

La Costituzione, la Convenzione di Oviedo e la Carta di Nizza, la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale e altre leggi, come quelle sui trapianti, nonché il Codice di deontologia medica. Di fatto i medici che operano senza il previo consenso sono condannati civilmente e penalmente.

C’è chi sostiene che però manchi una legge sul biotestamento…

Sia la Convenzione di Oviedo sia il Codice di deontologia medica prevedono che il medico tenga conto delle dichiarazioni espresse dal paziente.

Ma il biotestamento così com’è disciplinato dalla legge in discussione contraddice il consenso informato, che può essere espresso solo da un paziente in relazione di cura con un medico, mentre questa norma vorrebbe attribuire la facoltà di rilasciare dichiarazioni vincolanti da parte di chi oggi sta bene.

Quali rischi si corrono?

Che le scelte siano decontestualizzate, ispirate dalla paura per situazioni altrui, compiute senza la dovuta informazione e quindi poco ‘autodeterminate’.

Questa legge serve a evitare l’accanimento terapeutico?

Già ora il Codice deontologico e le buone pratiche lo vietano, con conseguenze civili e penali per il medico che somministra trattamenti sproporzionati.

La norma sulle Dat non cita l’eutanasia, ma per com’è congegnata ne rimuove nei fatti il divieto. È giuridicamente ammissibile?

No, perché non è compatibile con il primo diritto da cui discendono tutti gli altri: quello alla vita. E il nostro ordinamento costituzionale, nel suo complesso, ha fatto una chiara scelta per la vita, la salute, il sollievo della sofferenza. Non per la morte.

Strasburgo cosa ne pensa?

Sulla stessa linea. La Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza Pretty contro Regno Unito, già nel 2002 aveva chiarito che l’articolo 2 della Convenzione, sulla tutela della vita, non va interpretato come diritto di morire o di scegliere tra la vita e la morte. L’Assemblea parlamentale del Consiglio d’Europa, nel 2012 ha chiaramente auspicato che l’eutanasia venga sempre vietata.

Qual è la differenza tra il rifiuto delle terapie e l’eutanasia omissiva?

Il rifiuto delle terapie da chi è cosciente, già ora possibile senza nuove leggi, potrebbe avere intenti eutanasici nell’intenzione di chi rifiuta. Per capirci: una persona che chiede la sospensione di idratazione e alimentazione artificiali, che ancora le sono di beneficio, ma che vuole morire, è in una prospettiva eutanasica. Diverso il caso di chi rifiuta l’ennesimo ciclo di chemio, consapevole che la propria vita probabilmente si accorcerà ma conscia che la morte, non voluta, è ormai ineluttabile. L’eutanasia omissiva, insomma, implica l’uccisione di un paziente per sottrazione di cureproporzionate e dovute.

Tra i nodi della legge c’è la questione delle persone prive di coscienza o incapaci: cosa succede se si verifica un contrasto tra coloro che la rappresentano e il medico?

Deciderà il giudice tutelare, ma è gravissimo che scelte simili non siano compiute da un clinico, in contrato col diritto alla salute nell’articolo 32 della Costituzione. E pure con il Codice di deontologia medica, secondo cui ogni sanitario dovrebbe agire secondo scienza e coscienza. Qui invece sembra debba sottostare a un provvedimento giudiziario.

di Marcello Palmieri