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Voto a 16 anni? Un primo passo

Voto a 16 anni? Un primo passo

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La proposta del neo segretario del PD Enrico Letta di abbassare il diritto di voto ai sedicenni ha scatenato una fitta discussione che non può che farci piacere.
In un paese come il nostro, in coda alle classifiche per natalità, occupazione giovanile, che brilla per record di neet, di anziani, di povertà infantile, stanco, invecchiato e impaurito fino alla stasi, dare voce a una fetta un po’ più consistente di giovani può significare dare un po’ di fiato a una democrazia stanca e rassegnata come i suoi abitanti.

Il tema dell’ampliamento del suffragio universale tra l’altro non è nuovo, e l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose lo ha già sollevato in passato: nel 2007 e 2008 due convegni nazionali avevano stabilito chiaramente come le basi filosofiche per assegnare ai minori il diritto di rappresentanza politiche ci fossero tutte.
Già con il filoso Antonio Rosmini, si capiva infatti che non è bastato estendere il voto a tutti gli uomini e alle donne perchè la democrazia (una testa, un voto) fosse compiuta.
Ne resta fuori ancora una fetta consistente di popolazione, circa il 18% di quella Europea, il 14% di quella Italiana.

I minori di 18 anni infatti non solo non possono votare ma non godono nemmeno del diritto di votare. Per la politica, fino ai 18 anni, non esistono. E per il Senato devono aspettare addirittura fino a 25 anni (mentre comunque possono lavorare, pagare le tasse, sposarsi, vendere e comprare).

Non è un caso allora che questa assenza degli under 25/18, questa “dimenticanza” si accompagni alla storica mancanza di politiche per l’infanzia, la gioventù, le famiglie con figli.

I politici, sotttolineano gli esperti, hanno un orizzonte temporale piuttosto ristretto, preferiscono agire sul risultato a breve termine: minori, giovani e famiglie numerose hanno bisogno di politiche a lungo termine che non interessano all’elettorato maggioritario, quello degli over 60. E nemmeno ai politici che li rappresentano.

Le condizioni di crisi economica, la povertà infantile, la nascita del figlio come fattore di rischio povertà (secondo solo alla perdita del lavoro), la mancanza di politiche di transizione giovanile e di supporto organico e strutturale per le famiglie con figli stanno conducendo l’Italia verso un inesorabile calo demografico, che si sta già traducendo in spopolamento delle aree rurali, nella diminuzione dei servizi locali, nella difficoltà di reperire manodopera in diversi campi professionali. Ma è in tempi di crisi che avvengono le grandi rivoluzioni, come dimostra il voto alle donne, accordato alle donne dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Per ripartire con slancio, è forse arrivato il momento di dare più peso politico alle giovani generazioni. La proosta del segretario Letta è un primo passo che già diversi stati, in Europa e nel mondo hanno intrapreso: in Austria, in Estonia,

ma nel dibattito globale sui diritti dei minori, al centro anche della politica europea, avanza con forza l’idea che anche i minori di 16 anni hanno diritto ad essere rappresentati politicamente: c’è chi invita a cancellare il limite di età per l’accesso al voto, consentendo ai ragazzi che vogliano e siano in grado di votare, la possibilità di farlo, oppure- come proposto da ANFN e da ELFAC, la confederazione Europea delle Famiglie numerose, concedendo ai genitori la possibilità di rappresentare i propri figli – così come fanno davanti alla legge, nei tribunali- anche nelle votazioni, sicuri di interpretare il bene dei propri figli fino a quando i figli non saranno in grado di farlo (a 12 anni? a 14?) personalmente, assumendosene anche la responsabilità.

Si possono già sentire le obiezioni di quelli che i filosofi chiamano “epistocratici”, gli aristocratici della conoscenza, che già propongono di limitare il diritto di voto a chi, per esempio, è in grado di passare un test e dimostrare conoscenza e coscienza politica. Una posizione chiaramente pericolosa (chi decide il livello di conoscenza?) che non riconosce il valore etico della democrazia, quello della dignità personale di ogni uomo, indipendentemente dalle sue capacità, della sua cultura, della sua ricchezza o posizione lavorativa…

Non vale quindi nascondersi dietro l’argomento per cui “i bambini non capiscono”, perchè – come affermano gli epistocratic i- ci sono adulti con basse competenze che esercitano il diritto di voto, o persone con disabilità psichiche a cui comunque è garantito il diritto di voto. Perchè quindi un bambino non dovrebbe essere titolare di un eguale diritto?

C’è chi potrebbe obiettare che i bambini sono illogici, che voterebbero secono le emozioni e le pressioni degli adulti, ma a ben vedere anche queste ragioni sono poco solide, perchè sono le stesse utilizzate al tempo per scoraggiare il diritto di voto alle donne. Così come chi temeva che il voto alle donne avrebbe consentito loro di comandare: “purtroppo” abbiamo visto che la conquista del potere non passa facilmente attraverso le urne.

Riconoscere il diritto di voto ai minori, diretto o, fino ad una certa soglia di età, attraverso una delega ai genitori o tutori che ne sono responsabili, consentirebbe però di portare nell’agenda politica temi che sono cari all’infanzia, “snobbati” dai saggi adulti: il clima, l’ambiente, l’aria pulita, il diritto al gioco, al tempo libero, alla famiglia, alle pari opportunità, alla felicità, al futuro.

Forse aiuterebbe a cambiare lo sguardo sul mondo, portandolo sulle cose davvero importanti.

di Regina Maroncelli
Presidente Elfac