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TREND DEMOGRAFICI E POLITICA ; SE L’ELETTORE MEDIANO È...

TREND DEMOGRAFICI E POLITICA ; SE L’ELETTORE MEDIANO È SEMPRE PIÙ VECCHIO

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FRANCESCO RICCARDI
G li ultimi indicatori demografici dell’I­stat ci hanno consegnato la fotogra­fia di un’Italia un po’ più incanutita. Un Paese con un’età media di 43,3 anni, una popolazione di anziani superiore al 20% e una platea di minorenni ridotta al 16%. Dati che hanno risvolti diretti anche sul prossimo voto amministrativo. In parti­colare per il rischio di vedere sempre più trascurati gli interessi dei giovani a favore invece della difesa delle prerogative delle generazioni più anziane.
Prima ancora che politica, infatti, la que­stione è sociale, matematica, e bastano poche cifre a descriverla. Se si esclude la popolazione straniera residente – per il 70% al di sotto dei 40 anni, ma al momento priva del diritto di voto – l’età media degli italiani risulta in realtà di 44,2 anni. La con­seguenza è che sale in misura ancora mag­giore l’età media dell’elettore, che ha or­mai quasi raggiunto la soglia dei 50 anni. Le prospettive per il futuro sono di una crescita sempre più accentuata: l’età me­dia supererà i 53 anni entro il 2027 e rag­giungerà i 56 anni prima del 2050. Ma già adesso sono impressionanti i dati relativi ad alcune città come Bologna. Secondo u­no studio svolto dal Comune, l’elettore fel­sineo ha un’età media di 54 anni, gli iscritti alle liste elettorali con più di 64 anni sono un terzo e gli ultraottantenni superano l’11%, mentre i giovani dai 18 ai 30 anni rappresentano appena il 10% dei votanti. Assai significativa è anche l’età dell’’elet­tore mediano’, cioè della classe di età maggiormente numerosa. A livello nazio­nale oggi si colloca poco al di sopra dei 47 anni ed è destinata a toccare i 54 anni nel 2027. La generazione dei baby boomers , i nati nei (mitici) Anni 60, insomma, tiene saldamente nelle proprie mani il potere di rappresentanza. E continuerà a farlo per parecchio tempo, a causa del calo del­le nascite intervenuto dagli anni 80 in poi. Se infatti negli anni 90 i giovani tra i 18 e i 35 anni (15 milioni di persone) erano un terzo dell’elettorato, oggi arrivano a ma­lapena a un quarto (12 milioni) ed entro 10 anni saranno ridotti a un quinto (10 mi­lioni). È chiaro che in una tale situazione il peso degli interessi specifici dei giovani rischia di diventare sempre più leggero e aleatorio e, allo stesso tempo, coloro che si candidano saranno portati a impegnar­si su temi in grado di colpire maggior­mente l’immaginario politico delle per­sone di mezza età e, progressimante, a ri­spondere ai bisogni dei più anziani. Sem­plificando, l’enfasi cadrà fatalmente più sulle pensioni che sugli aiuti ai precari, sulla sanità che non sulle case per le gio­vani coppie, sulle politiche per la sicu­rezza piuttosto che sull’investimento nel­la scuola. Il nostro voto, infatti, oltre che su alcuni pilastri valoriali, si basa soprat­tutto sulla proiezione che facciamo di noi stessi nel futuro, le relative aspettative e soprattutto le paure.
Negli anni scorsi, proprio per cercare di riequilibrare il peso elettorale delle ge­nerazioni, erano state avanzate alcune proposte come l’abbassamento a 16 an­ni del limite per l’elettorato attivo o, ipo­tesi ancora più suggestiva, quella di as­segnare ai genitori il diritto di voto anche in rappresentanza dei figli minori. Al di là delle difficoltà di applicazione, però, si tratta di misure utili ma non risolutive proprio per il numero esiguo degli ado­lescenti italiani. Tutto è perduto, allora, per le nuove ge­nerazioni in questa e nelle prossime tor­nate elettorali? I loro bisogni e i loro inte­ressi non riusciranno mai a fare massa cri­tica per pesare nella rappresentanza po­litica? No, perché l’innalzarsi dell’età me­dia dell’elettore almeno un vantaggio lo comporta: quello di riguardare in gran par­te padri e madri di ragazzi che stanno af­facciandosi all’età adulta, con i problemi di studio, di lavoro, di vita, che oggi que­sto passaggio d’età implica. Ciò che in­somma può in qualche modo salvare i gio­vani di oggi, e soprattutto di domani, è u­no sguardo da genitore, più che da singo­lo elettore, quando si tratta di depositare la scheda nell’urna. Più famiglia, più soli­darietà, più equilibrio sociale. La classe politica farebbe bene a pensarci.
Avvenire