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La favola: LA BAMBINA CHE STAVA ALLA FINESTRA

La favola: LA BAMBINA CHE STAVA ALLA FINESTRA

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Una favola sul vivere la disabilità dalla parte dei bambini e con gli occhi dei bambini.

Era un ridente paesino ai piedi della collina, dove i bambini di ogni età si trovavano nella piazza dove sorgeva maestoso un bellissimo parco giochi con divertimenti proprio degni del paese dei balocchi. Un arco grandissimo formato da palloncini colorati accoglieva i bambini all’ingresso del parco: da dietro, spuntavano tanti personaggi delle favole più belle e accompagnavano i piccoli visitatori in questo posto magico, dove i bambini potevano sperimentare ogni sorta di giostre e caroselli con cavallucci a dondolo, altalene fatate e tazze magiche. In ogni angolo si potevano trovare dei baracchini che sfornavano zucchero filato con i colori dell’arcobaleno e pop corn con chicchi di cioccolata ricoperti di miele. Più in fondo, vicino alle fontane colorate, i clowns intrattenevano nonni e bambini con trampoli e piccole magie, e i giocolieri alzavano verso il cielo ogni sorta di pallina colorata facendola brillare e incantando gli occhi dei bambini.Sembrava proprio un piccolo angolo di paradiso fatato!

La vita in quel paese per i bambini era molto bella, perchè tra le famiglie c’era molta armonia, tutti si volevano bene e a tutti avevano a cuore anche i figli degli altri, perchè gli abitanti credevano nei valori veri, come la famiglia, la solidarietà, l’amicizia e il rispetto di tutti. Se una mamma doveva andare a lavorare, non serviva cercare disperatamente una babysitter a cui lasciare i bambini, perchè sicuramente la vicina di casa si rendeva disponibile; se una mamma aveva la febbre e non poteva preparare la pappa per i suoi bambini subito il quartiere imbadiva una tavola a festa, e tutte le famiglie facevano a gara per ospitare i piccoli a pranzo.
Per non parlare delle scuole!
Innanzitutto la scuola iniziava non prima delle nove di mattina: nessun piccolino assonnato o buttato giù a forza dal letto mentre fuori è ancora buio. Le maestre, invece, avevano deciso di accogliere i bambini con balli, canti e tante merendine buone che aiutavano a mettere in moto subito il cervello, per preparli alla loro giornata scolastica. Tutto ciò che le maestre insegnavano lo facevano attraverso il gioco: abolite le lunghe e massacranti spiegazioni !E i bambini erano tutti ubbienti: niente punizioni, niente castighi e … tutti svolgevano i compiti a casa senza inventare scuse!!

In quel paese così particolare, era raro vedere i bambini litigare, perchè i giochi li potevano usare tutti, e ognuno sapeva che l’avrebbe riavuto indietro e senza danni: niente play station, niente wii, niente game boy, ma tanti bambini che giocavano in strada a prestarsi la bicicletta, a giocare al pallone e a fare le corse dei sacchi, gare di tiro alla fune e a disegnare le campane per terra.
Le macchine e i camion avevano infatti in divieto assoluto di entrare in centro città, dove le strade erano trafficate solo dai bambini, anche quelli molto piccoli.
Per questo, con l’aria così sana e respirabile, i piccoli abitanti si ammalavano molto poco, e i pediatri erano spesso disoccupati.

Insomma, si può proprio dire che in quel paese si respirava l’aria dell’amore.

Però.. appena fuori dal centro.. c’era una casa che tra tutte si distingueva.. dai colori un pò scuri, quasi nascosta da alberi molto alti, con grandi finestre sempre semi oscurate dalle tende.Sembrava una casa disabitata, se non fosse che di tanto in tanto si vedevano degli adulti passare con le borse della spesa e alcune borse di vestiti che sembravano appartenere ad una bambina: ma di lei nessuna traccia.

Il tempo passava.. la vita andava avanti, e come succede in tutti i luoghi, un gruppetto di ragazzini appena un pò più monelli degli altri avevano iniziato a farsi delle domande su quel mistero della casa nascosta.
Qualcuno aveva messo in giro la voce che quella casa era infestata dai fantasmi, qualcun altro diceva che quella casa era stregata, altri pensavano che dentro vivesse un mostro cattivo che mangiasse i bambini e purtroppo, quella vicenda turbava un pò l’armonia di quel bellissimo paese.

Tutti i bambini del paese si tenevano alla larga da quello strano posto.

Ma.. quel gruppetto di bambinelli furbetti, non ci credevano, proprio non ci credevano che ci fossero quelle brutte cose, perchè avevano la sensazione che in quella casa si vivesse solo tanta tristezza, ma niente più.
Erano in quattro, due bambini e due bambine, che un bel giorno decisero di avvicinarsi alla casa misteriosa: il battito dei loro cuori si poteva sentire a distanza di metri, il loro respiro era affannoso, la paura bloccava e seccava la bocca.. ma il loro istinto li stava portando avanti.
Si avvicinarono al cancello, nascosti dietro la siepe e rimasero li ad aspettare, tremanti, perchè avevano paura che arrivassero gli adulti. Ad un certo punto scorsero un ombra strana passare davanti alla grande finestra ad arco e questo li fece rimanere paralizzati dalla paura. La prima reazione fu quella di scappare, poi però, ci ripensarono: no! Dovevano restare e capire.
Fecero capolino da dietro la siepe e rimasero ad aspettare che quell’ombra ripassasse, ma aspettarono invano. Poi, una bambina, scorse un passaggio che andava attorno alla casa e che sembrava portare proprio sul retro della stessa. Non servirono parole ma i quattro amici si capirono al volo e si lessero negli occhi: decisero, senza parlarsi, di percorrere quello strano vialetto per scoprire dove portasse, nonostante la paura di essere scoperti. Appena svoltato l’angolo, rimasero a bocca aperta: era il più bel giardino che avessero mai visto.
Un tappeto di un’erbetta verde splendente e profumata profumata si stendeva davanti ai loro occhi: qua e là composizione floreali con fiori dai mille colori da sembrar quasi dipinti. Fontane spumeggianti che si alzavano al suono di una dolce melodia, e tutto intorno si scorgevano volare farfalle rare, rosse, gialle, viola e uccellini che riempivano l’aria con il loro cinguettio che ad ascoltarli bene sembrava quasi che cantassero davvero: sembrava perfino impossbile! Davanti, quella casa era così triste, mentre dietro nascondeva un giardino incantato.

I ragazzi vennero risvegliati dal rumore di una macchina che stava passando e così, subito, scapparono via.

Inutile dire che la notte non riuscirono a dormire, perchè continuavano a pensare cosa mai potesse nascondersi dentro quella casa.

Il giorno dopo a scuola, i quattro amici non fecero parola con nessuno di quanto avevano visto, sbrigarono in fretta le loro faccende e si diedero appuntamento al solito posto davanti all’arco di palloncini dai colori dell’arcobaleno davanti l’entrata del parcogiochi.
Ognuno con una scusa diversa, riufiutarono gli inviti dei loro amici per passare il pomeriggio come al solito insieme, perchè erano troppo elettrizzati dal desiderio di scoprire il mistero.
Arrivati alla casa, restarono nascosti dietro la siepe il tempo necessario per assicurarsi di non essere visti, e subito dopo ripercorsero il vialetto carichi di curiosità. Con passo felpato e stando attenti ad ogni minimo rumore sospetto, raggiunsero il punto esatto del giorno prima, da dove avevano potuto scoprire quell’angolo magico e, restarono ad osservare.
Dopo un pò di tempo, i bambini videro aprirsi la porta che affacciava sul giardino, e riconobbero la figura che il giorno prima avevano visto passare davanti alla grande finestra ad arco sul lato della casa che dava sulla strada e… rimasero ancora una volta increduli:
si stropicciarono gli occhi.. si diedero i pizziccotti … “Ahi”, disse uno, “mi hai fatto male” . “E’ proprio vero?” disse un’altra?
Ebbene si, ciò che stavano vedendo non era frutto della loro immaginazione, ma era proprio la realtà: poteva avere circa dieci anni, più o meno la loro età, bionda, alta, snella, occhi azzurri, pelle liscia e paffuta, guance rosate, capelli lunghissimi, vestita con una gonnellina con le balze colorate e magliettina bianca… la vedevano volteggiare in giardino, scalza, danzare sulle note che gli uccellini stavano intonando per lei.. e le farfalle la accompagnavano in quella sua coreografia degna dei più bei spettacoli esistenti, ma… Oddio.. d’un tratto i quattro amici si resero conto.. c’era qualcosa che non andava! Impauriti, scapparono a casa, con il tacito accordo di non far parola con nessuno, nemmeno con i genitori, di ciò che avevano visto: non erano servite tante parole, era bastata una semplice occhiata d’intesa.
Dopo quell’episodio, i quattro amici decisero di non tornare più alla casa misteriosa, perchè troppo era stato lo stupore e grande la paura.
Passarono i giorni, e la vita al paese trascorreva come al solito, ma i quattro amici, da quel giorno, non erano stati più gli stessi.
Che poteva nascondere quella bambina? Che cos’era quella cosa strana che avevano visto?
Dopo qualche titubanza decisero di farsi coraggio e di ritornare a scoprire qualche cosa di più.
Il giorno dopo, finita la scuola, i quattro amici si affrettarono a raggiungere il luogo dell’appuntamento per andare alla casa: come al solito, arrivarono al giardino attraverso il vialetto e si nascosero dietro la siepe decisi a non andarsene se non prima aver scoperto quello che non li aveva lasciati dormire per settimane.
Aspettarono pazienti per un pò di tempo, ma il tempo non riuscivano a contarlo perchè rapiti dalle meraviglie che ogni volta scoprivano: d’un tratto eccola, la porta si apre, lei esce, volteggia e canta e balla sulle note degli uccellini, quasi come cantassero all’unissono. Raggiunge il centro del giardino e balla a piedi nudi attorno alle sculture fiorite, la guardano bene, è ancora più bella di quanto la ricordassero mah… ecco, ancora quel senso che chiude lo stomaco, stupore e incredulità: allora è proprio vero!
Quella stupenda creatura non ha le braccia! Ma come, come è possibile, saranno nascoste, nascoste sotto i capelli lunghi e biondi, oppure le avrà nascoste sotto la maglietta perchè magari, faranno parte del balletto! Ci deve essere un motivo!
Increduli, non resistono proprio, non riescono proprio ad andarsene: per fortuna arrivò una macchina che li destò da tanto stupore.
Svelti scapparono a gambe levate, era quasi il tramonto, e di sicuro i genitori si sarebbero arrabbiati: ma proprio loro non riuscirono a torgliersi qualla immagine indefinita da davanti agli occhi. Con il cuore sentivano che quell’atmosfera era sana, amorevole, immersa nella pace, ma con la testa e con la razionalità non potevano credere che quella bambina avesse un corpo così storpiato.

I giorni successivi, i quattro amici non perdevano tempo, e ogni giorno diventavano sempre più svelti a fare i loro compiti per poi andare a osservare quella bambina bionda che spesso stava ad osservare nascosta dietro la tenda della grande finestra ad arco, tutti i suoi coetanei mentre giocavano al parco giochi in centro paese.

“Bella, vieni, è l’ora del thè” le disse la nonna, mentre Bella (questo il nome della bambina) si struggeva dal dispiacere di non partecipare ai giochi insieme a tutti gli altri compagni.
Bella passava le giornate così, nella solitudine, e spesso i sui occhioni azzurri si riempivano di lacrime, perchè lei non si sentiva diversa dagli altri, lei si sentiva scoppiare la vita dentro, ma i suoi genitori pensavano che il mondo non fosse pronto per accettare Bella: era nata affetta da una malattia genetica che le aveva impedito la crescita delle braccia, per cui fin da subito, era stata esposta agli sguardi indiscreti della gente. Così i suoi genitori, pur soffrendo perchè sapevano di condannarla ad una vita di solitudine, avevano proprio pensato di evitarle il dolore del confronto con gli altri bambini così detti “normali”.
Ma che cos’è la normalità? Per Bella era normale camminare scalza e sedersi a tavola e prendere forchetta e coltello con i piedi per tagliarsi la bistecca; era normale sedersi a terra e prendere la spazzola con il piede destro e spazzolarsi i lunghi capelli biondi e poi, magicamente, intrecciarli in una lunga treccia; era normale prendere la penna con il piede sinistro (era pure mancina, si dirà così?) per fare i compiti che un maestro pagato per venire a casa le assegnava, ma quello che a Bella piaceva fare di più era dipingere. La mamma le aveva organizzato una stanza degna della più grande pittrice, con tavolozze cariche di colori che Bella reggeva con un piede, mentre con l’altro teneva in mano il pennello, ma a volte lo faceva anche con la bocca. Sparse qua e là, decine di tele tutte dipinte da Bella, che rappresentavano il suo animo e la sua voglia di evasione: Bella dipingeva il parco giochi sebbene non l’avesse mai visto, dipingeva le classi della scuola dove i bambini si riunivano nonostante non ci fosse mai andata.
Bella dipingeva la sua voglia di libertà.

E fu proprio quella voglia di libertà, quella spinta che da sempre l’aveva sostenuta nel affrontare a testa alta tutte le difficoltà che aveva incontrato fino allora a sviluppare in lei un senso senso speciale: quello di sentire la presenza delle persone, di avvertire sensazioni che stimolavano le sue emozioni: da giorni, infatti, si era accorta della presenza dei quattro ragazzi che rimanevano ad osservarla mentre lei danzava in giardino, ma lei si lasciava osservare compiaciuta, perchè finalmente aveva compagnia, e quando i bambini si allontanavano la sera per rientrare nelle loro famiglie, Bella, da dietro la tenda della finestra ad arco, piangeva, in silenzio e di nascosto, perchè sarebbe stata di nuovo sola.
I quattro bambini, d’altraparte, non sapevano come fare ad avvicinarsi a lei, anche se lo desideravano molto.
Un bel giorno, Bella decise di prendere in mano la situazione, come era sua abitudine fare. Invece di uscire dalla porta che si affacciava al giardino, quel giorno uscì da una porta laterale che i ragazzi non potevano vedere perchè nascosta dalla legnaia e, nonostante sentissero la voce incantevole di Bella emettere melodie celestiali, proprio non riuscivano a vederla. Quasi dispiaciuti, se ne stavano andando, convinti che quel giorno non l’avrebbero vista e, mentre stavano girandosi per andarsene, non riuscirono a trattenere un urlo misto di gioia, stupore e paura.
“Ciao, ragazzi, io mi chiamo Bella. Perdonerete se non vi posso dare la mano per conoscervi, e non posso porgervi neppure i miei piedi, che mi sono sporcata passando dalla legnaia, ma fa lo stesso no?” ammicco’ Bella strizzando l’occhiolina e scoppiando in una fragorosa risata! “Visto che mi state osservando e spiando da settimane, ho pensato che è propio un peccato non conoscerci di persona, così, visto che voi non avete avuto il coraggio di venire da me, ho pensato di venire io da voi. Forza, di che cosa avetre paura, anche se vi rincorro, non vi posso mica acciuffare: sono senza braccia!!” e Bella continuò la sua risata sonora.
Bella era proprio bella, ancor di più da vicino.
I quattro amici non riuscivano a balbettare nemmeno un ciao, e quasi come robot seguirono Bella in casa, passando attraverso la legnaia.
Entrati in soggiorno, si trovarono davanti una tavola bandita con ogni tipo di leccornia: torte al cioccolato, croissants, palline di zucchero e zucchero al velo colorato, latte, cacao, bombons, frutta candita e caramellata, succhi di frutta e aranciate. Un banchetto così non lo vedevano neanche alla festa del paese.
” Nonna” esclamò Bella, “ti presento i primi miei nuovi amici… ehmmm si chiamano… ” e in quel momento i ragazzi si resero conto della figura da fantoccio che stavano per fare: loro, che davanti ai compagni di scuola erano i più bravi della classe, i più spigliati, furbi e trascinatori, erano rimasti senza parole. Se li avessero visti sarebbero stati presi in giro p er il resto della loro vita.
“Insomma, mi volete dire come vi chiamate?” esclamò la nonna. “Io sono Lucas, lui è Tommy, questa è Vera e lei è Cindy” rispose tutto ad un fiato Lucas riprendendosi a stento.
“Bene, accomodatevi e finite tutto quello che c’è sulla tavola: buttare il cibo è la cosa che mi infastidisce di più” affermò la nonna con il suo vocione sonoro ma sereno.
I ragazzi non potevano credere ai loro occhi: l’abilità di Bella nell’afferrare il cibo con i piedi lavati poco prima e di metterselo in
bocca non aveva paragoni. Tanto era lo stupore da non riuscire neanche a mangiare.
Bella, che si aveva vissuto da sola fino allora, ma che stupida non era, capiì in quel momento che era giunto il tempo di dare spiegazioni: invitò i ragazzi a mettersi su divano e iniziò a parlare con loro.
“Ragazzi” disse, ” non abbiate paura a farmi tutte qulle domande che sento risuonare nel vostro cuore da tanto tempo. Io non sono un mostro, sono una bambina come voi, ma sono nata focomelica, cioè con una malattia genetica che ha impedito lo sviluppo delle mie braccia mentre stavo nella pancia della mia mamma. Mentre la mia mamma era incinta di me, i dottori gliel’avevano detto, e le avevano anche proprosto di interrompere la mia vita, perchè semplicemente sarei stata diversa, cioè senza braccia. La mia mamma e il mio papà piansero tanto, perchè non sapevano quale decisione fosse la migliore per me, ma per fortuna i miei genitori hanno capito e hanno scelto la vita. Una sera, il mio papà prese tra le braccia la mia mamma e le disse: cara, se questa bambina è arrivata a noi vuol dire che noi la meritiamo e che lei merita noi. Chi siamo noi per decidere se deve vivere o morire? Vedrai che il Cielo ci aiuterà. E così è stato. Quando sono nata, la mia famiglia ha fatto una grande festa, anche se la mia mamma ha molto sofferto per le tante chiacchere che si sono create attorno al mistero della mia nascita: i grandi dicevano che era nato un mostro e quando la mia mamma usciva a passeggio per le vie del paese qui accanto, tutti la evitavano, per paura di essere contagiati dalla mia malattia. Fu così che, insieme al mio papà e alla mia nonna Gemma, decisero di trasferirsi qui, ma la paura di rivivere tutto il dolore già vissuto li portò a rinchiudersi e a nascondersi dietro quella siepe che vedete la davanti. Ma dentro di me, io sapevo che non sarebbe stato così per sempre!” disse Bella sfoderando un sorriso disarmante. “Io lo sapevo che qualcuno sarebbe venuto a cercarmi prima o poi”
I quattro amici erano sempre più senza parole, disarmati e attoniti.
“Vedete,” preseguì Bella, “io in fondo non sono tanto diversa da voi, faccio tutto quasi come voi, solo che invece di usare le mani io uso i piedi, sempre accuratamente lavati, però!” E strizzò l’occhiolino.
“Per me questa è la normalità! Venite, vi faccio vedere una cosa.” E Bella li portò nella stanza dei dipinti: inutile dire lo stupore dei ragazzi che riuscirono, però, finalmente, a emettere un tremulo suono.. “Guardate” disse Lucas,” il parco giochi”, “e c’è pure la classe di musica a scuola” continuò Vera. “Non ci posso credere” aggiunse Tommy, ” questa è l’entrata della nostra scuola”. “Perchè non hai visto questo” disse infine Cindy “è la piazza del paese con le fontane danzanti”
“Ma come hai fatto?” esclamarono ad una sola voce?
“Vedete” disse Bella con voce dolce e paziente, ” durante le mie giornate in solitudine, osservo spesso da dietro la tenda le persone che passano e i bambini che giocano, e tanta è la voglia di andare a giocare con loro che è come se io davvero fossi li. Così un giorno ho preso il mio pennello e ho cominciato a trasferire sulle tele ciò che mi veniva dalle mie emozioni: e questo è il risultato”
“Sarà meglio che torniate a casa voi quattro ora” tuonò la nonna con fare sornione, “altrimenti i vostri genitori non vi lasceranno tornare domani.. ammesso che lo sapessero che siete qui.” Disse la nonna strizzando l’occhiolino a Bella.
In effetti, le famiglie si stavano un pò preoccupando dalle continue e ripetute assenze pomeridiane dei quattro furfantelli, e non erano riusciti a capire dove diavolo si andassero a cacciare.
Quella sera, i ragazzi a cena non avevano proprio fame e sembravano tutti persi nei loro pernsieri, talmenti eccitati e frastornati ma ancora increduli da quello che avevano visto.
“Mamma” chiese Cindy prima di addormentarsi, ” ma se mentre io ero nella tua pancia un dottore ti avesse detto che sarei nata senza una parte del mio corpo, e che sarei stata diversa dagli altri bambini, tu che cosa avresti fatto?”
Cindy stava trattenendo il respiro per paura della risposta.
La mamma si chinò su di lei, l’accarezzò dolcemente e la baciò. ” Figlia mia” sussurrò la mamma, ” Io ti amo per quello che sei e per come sei, non per ciò che hai o per come sei fatta, e dal primo momento in cui mi accorsi che tu eri dentro di me sapevo che saresti stata un dono dal Cielo, nonostante tutto. Ma perchè mi fai questa domanda? ” chiese la mamma.
“Niente, così” rispose Cindy evasiva.
Stranamente, quella stessa sera, ogni bambino aveva chiesto la stessa cosa, e ognuno di loro aveva avuto la stessa risposta.

L’indomani Tommy, Lucas, Cindy e Vera si trovarono all’entrata della scuola intenzionati a raccontare tutto alla maestra perchè ora che avevano visto e capito non potevano più fare finta di niente. Dovevano solo aspettare il momento oppurtuno.
Quel giorno, durante l’ora di educazione sociale, venne introdotto un argomento nuovo: con una serie di giri di parole, l’insegnante cominciò a balbettare qualcosa circa i fiori e gli alberi, che a volte nascono belli dritti, mentre a volte con qualche curva in più, che a volte sono carichi di fiori, invece a volte hanno solo qualche bocciolo, o alcuni sono addirittura senza. Ma la maestra era visibilmente a disagio a dover affrontare quell’argomento.
I quattro furbetti, intuendo subito dove la maestra volesse arrivare chiesero: ” Scusi maestra, ma queste diversità le possono avere solo le cose come le piante e i fiori e possono succedere anche ai bambini come noi?” La maestra, sopresa dalla domanda, in evidente difficoltà rispose: “purtroppo caro Tommy, a volte ci sono bambini meno fortunati di voi che nascono con difetti fisici, e per questo sono più delicati e bisogna portar loro rispetto. Loro non possono fare tutto qullo che fate voi, sono molto tristi e piangono tutto il giorno”
“Certo” esplose Cindy “piangono tutto il giorno perchè nessuno li vuole, ma non perchè non siano bravi come noi, anzi, a volte lo sono di più!”
“Cindy”, intervenne la maestra, “ma che discorsi stai facendo?” “Chi ti ha messo in testa tutte queste stupidaggini?”
Fu così che allora i quattro amici decisero di raccontare tutto alla classe e ai compagni e, la maestra, che non poteva credere alle sue orecchie, pianse per la vergogna di quello che aveva detto: in quel momento,pur non conoscendola, si era resa conto che anche lei aveva trattato Bella come una persona diversa e dalla quale prendere le distanze.

Quel pomeriggio fu il giorno più bello della sua vita: Bella sentì suonare il campanello di casa , andò ad aprire e.. sorpresa: tutta la classe di Tommy, Lucas, Cindy e Vera erano li, proprio davanti al cancello di casa sua, ed erano venuti per lei.

La nonna, che da sempre aveva vissuto sperando e attendendo che arrivasse quel momento, attirò a sè i quattro furfantelli e li baciò così teneramente che ancora ora, a distanza di tempo, se lo ricordano ancora il calore trasmesso da quell’abbraccio.

Nei giorno successivi, la preside della scuola volle incontrare i genitori di Bella e proprose loro di permetterle di frequentare la scuola insieme agli altri bambini: per l’appunto, avrebbe fatto costruire dal miglior falegname del paese, dei banchi e delle sedie su misura apposta per lei, in modo da renderle più facile lo scrivere. La mensa della scuola abbassò tutti i mobili dove venivano apoggiati piatti, bicchieri, forchette e cucchiai, e tutti i pavimenti della scuola da quel giorno erano super puliti perchè Bella non poteva sporcarsi i piedi.

Da quel momento in poi, la vita sportiva e scolastica di tanti bambini cambiò. Volete sapere come? Il gioco della pallavolo diventò il gioco del pallapiede, cioè tutti i bambini seduti per terra che si lanciavano il pallone con i piedi anzichè con le mani, mentre al corso di disegno non si disegnava più con le mani, ma con il pennello fra le labbra.

Per Bella fu veramente come rinascere un’altra volta, il raggiungimento di tutti quei sogni che fino ad allora le avevano permesso credere nella vita.

Da quel giorno, in quel paesino si respira un’aria diversa, e tutti sono più felici tanto che il sindaco ha voluto perfino apporre un insegna alle porte della città:
“IN QUESTO PAESE OGNUNO METTE A DISPOSIZIONI LE DOTI CHE HA, PERCHE’ IL VERO AMORE E’ ACCOGLIERE LA VITA COSì COME SI E’ SENZA GUARDARE COME SIAMO FATTI O DI CHE COLORE ABBIAMO LA PELLE, PERCHE’ OGNI PERSONA E’ UNICA E SPECIALE”

Sono trascorsi diversi anni da quel giorno che ha cambiato il corso della vita a tante persone e ora Bella insegna proprio in quella stessa scuola… ma questa.. è un’altra storia.
Franca Borin