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“E la politica cambierebbe”

“E la politica cambierebbe”

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Il 21 febbraio 2008 un’assemblea parlamentare democraticamente eletta si è pronunciata, per la prima volta, sulla questione della rappresentanza politica dei minorenni. Il Parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, una risoluzione sul futuro demografico dell’Europa, relatrice Françoise Castex, nella quale, all’articolo 104, si afferma che esso «pone problemi nuovi per quanto riguarda i meccanismi democratici e i canali attraverso cui la voce della pluralità delle sue componenti può trovare ascolto e peso sul piano della decisione politica; ritiene che il problema centrale, in una società sempre più anziana, sia la questione della rappresentanza politica dei minori, che rappresentano il futuro comune, e quindi politico, della comunità, ma che attualmente non hanno alcuna voce e peso sul piano delle decisioni; constata che, per ragioni diverse, si pone un problema di ascolto della voce degli immigrati, sia degli adulti che dei loro figli; ritiene che la questione della voce e della rappresentanza politica dei gruppi sociali che oggi ne sono privi, in particolare i minorenni, rappresenti un nodo fondamentale che richiede un dibattito ampio e approfondito».

Una parziale e controversa risposta a questo nodo è stata proposta dal cancelliere socialdemocratico austriaco, Alfred Gusenbauer, nel 2007, con la diminuzione a 16 anni dell’età minima per l’esercizio del diritto di voto: «Un modo per reagire all’invecchiamento della popolazione e occuparsi dei giovani», ha affermato il governo, evidenziando le ragioni più profonde di un provvedimento che ha colto di sorpresa l’Europa. Sul piano politico si discute in Austria su quali saranno i partiti che maggiormente potrebbero beneficiare dall’estensione del suffragio, che secondo alcuni potrebbero essere i verdi, ma che, non v’è dubbio, porterà anche a un nuovo posizionamento dei partiti e quindi a un esito elettorale in realtà molto più aperto: in Italia il Partito democratico ha seguito la medesima strada per le votazioni delle cosiddette primarie, ma senza alcun seguito successivo di dibattito o di programma elettorale. Il problema più complicato, in Italia come in Austria, è come decidere quando gli interessi riguardano i bambini.
La questione della rappresentanza politica dei minorenni va emergendo per due motivi: il primo, di tipo politico, riguarda la grande difficoltà delle moderne democrazie nel prendere decisioni che riguardano il futuro lontano, introducendo da subito dei rimedi alle cause e alle conseguenze dei grandi mutamenti demografici in atto. Il secondo motivo riguarda invece la sfera più profonda dei diritti umani, della famiglia, dell’uguaglianza e della lotta alla discriminazione sociali.

Per quanto riguarda il nostro Paese, la situazione è di grande urgenza sociale ed economica: il tasso di natalità in Italia – 1,35 nel 2006 e 1,34 nel 2007 – è più basso di quello in Austria – 1,4 nel 2006 – senza che sia diffusa un’adeguata consapevolezza del legame fra il declino demografico e le questioni più dibattute del nostro Paese, come le pensioni, l’assistenza a un numero crescente di cittadini molto anziani, il potenziale di popolazione attiva e la crescita economica, il tenore di vita delle famiglie, l’immigrazione, l’impatto sulla domanda e l’offerta abitativa.

Fra Austria e Italia vi è tuttavia una fondamentale differenza: mentre in Italia il numero medio ideale di figli è di circa 2 per entrambi i sessi e tutte le classi di età, il che consentirebbe la stabilità demografica, per l’Austria il numero è invece sistematicamente inferiore a due. Il declino demografico dell’Italia è quindi un esito complessivo che non corrisponde a quanto gli individui considerano personalmente desiderabile, mentre nel caso dell’Austria il declino sembra essere proprio la conseguenza della somma delle scelte individuali. In Austria il problema politico è quello di rovesciare una tendenza collettiva al declino senza interferire con la libertà individuale – ed è quanto sottende la decisione sul diritto di voto ai 16enni – mentre per l’Italia il problema è quello di eliminare gli ostacoli impediscono la piena espressione della libertà individuale.
Alcuni Stati, come la Francia e la Svezia, hanno avuto la capacità politica di decidere una politica a favore della famiglia, dei figli e del futuro del Paese, ma ciò è avvenuto in situazioni storiche particolari e favorevoli al cambiamento, come la fine della II Guerra mondiale o il timore di un collasso sociale come conseguenza del declino demografico. In democrazia, e in tempo di pace, è invece molto più difficile prendere decisioni che riguardano il futuro lontano, perché come già aveva compreso John Stuart Mill, le regole della politica sono tali per cui costi e benefici delle decisioni politiche sono ingabbiate nell’orizzonte limitato di una legislatura.

L’evidenza empirica ci dice con chiarezza che l’efficacia della spesa sociale in Europa, misurata come diminuzione della povertà, è tanto più efficace quanto è maggiore l’incidenza della spesa per famiglia, bambini e disabili. Ma per realizzare questo ambizioso progetto in Italia occorre un processo di decisione politica che faccia prevalere l’interesse generale e di lungo periodo su quello di gruppi di interesse particolari e limitati, ma determinanti sul piano della vittoria elettorale.
Se consideriamo invece la questione della rappresentanza dei minori dal punto di vista dei diritti occorre sottolineare come il problema della deprivazione economica e della povertà fra i bambini e i ragazzi sia una malattia endemica dei Paesi avanzati. Tutte le Costituzioni moderne, così come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989, affermano solennemente il principio dell’uguaglianza e della tutela degli interessi dei minori, ma ciò rimane una dichiarazione puramente formale quando, come in Italia, il 24 percento dei minori vive in famiglie a rischio di povertà (19% per l’Europa a 25. Fonte Eurostat).

Il problema è quindi quello di modificare il meccanismo di decisione politica in modo tale che gli interessi dei minori abbiano un peso politico ed elettorale: la soluzione più naturale, sia all’esigenza strumentale che alla questione dei diritti, è quella di attribuire il diritto di voto fin dal momento della nascita, lasciando ai genitori il diritto di esercitarlo. I genitori già rappresentano in via primaria gli interessi dei minori in ogni momento della loro vita, ma non nei rapporti politici, che in tempo di pace sono anche in gran parte economici.
Per il genitore non esiste, ovviamente, un problema di interpretare gli orientamenti “politici” dei suoi bambini: l’innovazione investirebbe invece il comportamento dei partiti politici, con conseguenze decisionali immediate. Infatti nel mercato della politica italiana si aggiungerebbero 10 milioni di nuovi voti e il problema dei partiti sarebbe quello di interpretare al meglio, con proposte e decisioni, gli interessi sottostanti: e per una volta l’interesse politico di breve periodo coinciderebbe con quello del futuro lontano della nazione.

Ma allora perché finora ben poco si è fatto? Perché, come la storia ci insegna, le forze che vogliono conservare l’esistente hanno una tenacia straordinaria, e possono trascinare con sé l’intero Paese: per questo bisogna dare l’importanza dovuta alla risoluzione del Parlamento europeo, che finalmente ha riconosciuto, pienamente e con autorevolezza, la necessità di affrontare il nodo cruciale della rappresentanza politica dei minori.
Luigi Campiglio, Avvenire