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Diario di una maestra numerosa: a scuola non c’è nulla di ripetitivo

Diario di una maestra numerosa: a scuola non c’è nulla di ripetitivo

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Siccome ripetersi non è mai opportuno, la prima regola che tento di inculcare nella testolina dei miei alunni quando iniziano a scrivere testi di senso compiuto più lunghi di cinque righe, è che ogni parola dovrebbe comparire una sola volta per evitare di annoiare il lettore e dimostrare di sapersi districare tra sinonimi e significati simili. Fare tutto ciò è ben più complicato di quanto possa sembrare ma possiamo contare su un amico alquanto fidato che non tradisce mai: il vocabolario, meraviglioso strumento cartaceo che consente di rintracciare il significato di ogni vocabolo presentando anche vari esempi che portano a scoprire immediatamente gli eventuali concetti analoghi. Ancora meglio se i bambini imparano a giocarci utilizzandolo come libro di lettura, quasi fossero detective che cercano ogni giorno almeno un termine che ancora non conoscono per poi sorprendere i genitori con un lessico da grandi e, magari, interrogando gli adulti che hanno intorno sull’accezione di espressioni poco utilizzate nelle conversazioni quotidiane.
Ne consegue che il principio del non reiterare vale anche per me e riguardando i miei precedenti ventotto Diari di Maestra numerosa onde evitare di ripresentare gli stessi quadretti scolastici, mi sembra, da una parte, di aver già scribacchiato tutto e più di tutto e, dall’altra, di non avere nemmeno cominciato. Credo di provare questa sensazione perché la scuola, a chi la vive dal di fuori, rischia di apparire un’istituzione statica e per classe ci si limita ad intendere un gruppo di circa venticinque scolari che trascorrono la giornata in un’aula più o meno colorata; ma per chi, invece, la vive tutti i giorni, la realtà non è esattamente così. Quindi, per farla breve, potrei continuare fino alla pensione a mettere nero su bianco in modo differente quelle che sembrano identiche situazioni che si ripresentano ogni giorno da settembre a giugno, anno dopo anno ma che, invece, assumono ogni volta sembianze diverse se si ha voglia e forza di accostarsi con determinazione e coraggio a questo mestiere che, prima ancora che un lavoro, dovrebbe essere uno stile di vita e, soprattutto, mai un ripiego ma una scelta. Ed è questo che fa la differenza: se c’è la tenacia di affrontare il carico lavorativo con impegno, curiosità, originalità, immedesimazione e con atteggiamento collaborativo e solidale, si riesce a fare spazio nel concreto, e non solo in teoria, a quello che è il bisogno fondamentale di ogni ragazzino: sentirsi uguale agli altri pur nella singola diversità perché ognuno è diverso dal suo compagno di banco ma tutti devono avere le stesse possibilità. Se ci accostiamo ai bambini misurando il percorso della classe con il metro dell’inclusione, ci accorgiamo che non esiste un giorno uguale all’altro, né lezioni ripetitive. Lo spirito di squadra che si crea permette a tutti di fare le stesse cose in modo diverso e ad ognuno di imparare come può, anche solo disegnando il medesimo argomento che gli altri riescono ad esporre esprimendosi con le frasi. Io trovo che ci sia sempre un pizzico di speciale magia che rende nuova qualsiasi giornata di scuola e qualunque testimonianza che si può stendere per tenerla viva e credo anche ne valga la pena: sarebbe troppo grosso il rischio di dimenticare momenti sia normali che fuori dal comune. Durante i limiti imposti dall’emergenza sanitaria ho avuto la conferma che la scuola può bastare, diventando, insieme alla famiglia, l’unica altra vera necessità di questi scolari che non avrebbero nessunissimo bisogno di vedersi riempita la settimana di mille attività: c’è già tutto nelle ore di istruzione, in modo particolare se i maestri non dimenticano l’aspetto ludico della didattica.
Come il dizionario ben ci spiega, divertimento è quanto può servire a sollevare l’animo dalle cure quotidiane, dalle fatiche del lavoro e dalle preoccupazioni. Questo dovrebbe essere la scuola: un gioco straordinario che permette di imparare provandoci gusto e con la voglia di non smettere mai.

Barbara Mondelli