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Diario di mamma: spaccato di vita familiare al tempo del Coronavirus

Diario di mamma: spaccato di vita familiare al tempo del Coronavirus

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La vita familiare al tempo del Coronavirus?

O meglio, la vita familiare di una famiglia numerosa, anche se siamo soltanto in sei?

Provo a farne un ritratto, assolutamente personale, naturalmente e con qualche premessa.

Mi piace leggere e tenermi informata: da ogni parte mi si dice di fare tesoro di questi giorni per ricercare la mia interiorità, di approfittare di questi momenti difficili per ritrovare valori dimenticati, di riscoprire il piacere della lentezza, della buona e sana cucina, di una casa sempre pulita e disinfettata. Addirittura, dovremmo avere ormai imparato, perlomeno in famiglia, a lavarci spesso le mani, a non sputacchiare quando parliamo, a toglierci le scarpe prima di entrare in casa, a starnutire nel modo corretto… incredibile, sembra quasi che ci sia voluta una pandemia per acquisire comportamenti civili e rispettosi almeno con chi abita con noi!!!!
Da tutte le parti si legge anche che ne usciremo e che andrà tutto bene ed è giusto, perché ai nostri ragazzi non potremmo dire nulla di diverso: fiducia, ottimismo e buon senso devono essere gli ingredienti della linea conduttrice che ci guida nel rapporto con i figli e tra genitori. Eccomi tornata al punto, uno spaccato della vita familiare da quaranta giorni a questa parte. Particolare di fondamentale importanza: stiamo, per ora, tutti bene e nessun parente si è, al momento, ammalato. Tre persone su sei continuano, tutti i giorni, ad uscire per recarsi al lavoro e gli altri tre vivono collegati in videolezione con la loro classe, sempre al mattino, spesso al pomeriggio. Siamo una famiglia privilegiata, ancora con lo stipendio per chi lavora, con un dispositivo a testa per collegarsi ad Internet, con un grande giardino in cui trascorrere tutto il tempo che vogliamo in queste splendide giornate di sole. Mi correggo, non semplicemente privilegiati, ma completamente immersi nell’abbraccio di Dio, sempre comunque qualunque cosa accadesse, ma ora più che mai.

Per questo motivo, non mi sono mai permessa di lamentarmi per la situazione anche perché non sono certo in trincea come le forze dell’ordine, i medici, gli infermieri, i
cassieri dei supermercati. Sono semplicemente chiusa in casa ed è, lo ripeto, un privilegio.
Cerco di ricambiare facendo quello che posso per chi posso: i miei scolari e le loro famiglie, tanti dei quali bisognosi di sostegno emotivo e di empatia, prima ancora che di didattica. La tecnologia, quando ben utilizzata, dimostra tutto il suo incredibile potenziale: chat di gruppo, videochiamate singole e in numero ristretto, se ben gestite, si rivelano uno strumento eccezionale. Come dire, distanti ma uniti e l’unione fa la forza.
Una videochiamata di trenta minuti, con un alunno che la sta aspettando, sarà il motivo del suo sorriso, la spinta a continuare il lavoro, per non parlare del fatto che, a livello didattico, equivale a varie ore di lavoro collettivo in classe. Certo, manca la dimensione comunitaria ma…si fa di necessità virtù, soprattutto perché nessuno di noi era preparato ad affrontare un’emergenza simile. Ed ecco che in questo quadro di maestra mamma chiusa in camera e incatenata al proprio scrittoio, si inseriscono i quattro figli, tre dei quali abbondantemente maggiorenni, che sono gelosi dello smart working della sottoscritta per cui se le patate al forno sono poco croccanti o, al contrario troppo bruciate, la colpa è della madre in perenne contatto con i suoi discepoli senza che nessuna legge la obblighi a farlo. E che dire di quando non sanno come impiegare il tempo e quindi si scocciano per il mio continuo “avere sempre un impegno che potrei evitare di avere”? Più che dire, bisogna agire e quindi, vengono dirottati in giardino: ci sono due cani da spazzolare, un mini gregge di caprette da liberare un’oretta al giorno, un orto da vangare, l’erba da tagliare e, soprattutto, tanti sport da poter praticare. Hanno infatti riscoperto un vecchio canestro da basket, hanno costruito, insieme al papà, un campo da tennis utilizzando una rete per imballare il fieno, hanno improvvisato in cantina una sorta di palestra per fare ginnastica al ritmo dell’asciugatrice in perenne funzione.
La spesa per i nonni e per noi sei è a carico dei due figli grandi che al lavoro hanno orari ridotti rispetto al papà, pane e pizza sono fatti in casa dal figlio chef che dovrebbe preparare l’esame di maturità ma che si trova in un ovvio e comprensibile stato di smarrimento. La dodicenne, malgrado non si stacchi mai dalle sue videolezioni e dai compiti da fare, si occupa dei cani che si sono talmente abituati ad averci intorno continuamente che, una volta tornati alla normalità, avranno bisogno dello psicologo. Grosse pulizie della casa non ne ho fatte: dove pulisco si sporca subito essendo sempre in ogni stanza, meglio continuare con le normali pulizie quotidiane e rimandare a tempi migliori quelle più approfondite.

Cosa potrei aggiungere? Che a un po’ meglio di quanto temessi all’inizio, che la convivenza forzata ha i suoi alti e bassi ma che ci insegna senz’altro qualcosa, che è proprio ero che ci si abitua a tutto, che alcune angolature di chi vive con noi non sono poi così male e che l’isolamento forzato, paradossalmente, ci permette di comprendere meglio chi e quali sono le persone delle quali vogliamo circondarci.

Scrivo nella domenica delle Palme e non ho l’ulivo benedetto ma ho un messaggio del sacerdote che ci ha sposato: ognuno di noi sia il ramoscello d’ulivo di quest’anno, segno di pace in famiglia. E allora, coraggio, procediamo!

di Barbara Mondelli