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Diario di maestra numerosa: ultimo giorno di scuola

Diario di maestra numerosa: ultimo giorno di scuola

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Venerdì 4 giugno, ultimo giorno dell’anno scolastico 2020/2021 in Emilia Romagna.
Alle 12,15 ero ferma, con le mie colleghe, sul portone della scuola per consegnare ogni singolo alunno alla propria famiglia. Ho notato, inizialmente con poca attenzione, una distinta signora che mi si avvicinava. Subito non ci avrei potuto fare caso nemmeno volendo perché l’attimo dello smistamento è molto delicato e non ci possiamo distrarre per nessun motivo. Ogni pulcino va riaffidato nelle giuste mani e, in pochissimi istanti, ciascun insegnante deve controllare quasi trenta bambini abbinandoli, uno ad uno, ai volti, più o meno conosciuti, della mamma di corsa, del papà al cellulare, della tata nascosta tra la folla, della fidanzata del fratello senza delega, della vicina di casa con delega, della nonna con la sorellina in passeggino, del nonno impaziente perché ha la macchina sul marciapiede, della mamma del compagno in sostituzione della mamma vera che sta cercando parcheggio, dello zio sconvolto perché questi bambini hanno tutti la stessa faccia, della zia che non capisce da dove esca la classe e ce l’ha davanti al naso.
In questo scenario, moltiplicato per tante altre classi in uscita allo stesso orario, non c’è spazio per la disattenzione che potrebbe tradursi in pericolosa inadempienza. Ecco allora che, per mero spirito di sopravvivenza, ogni persona che si avvicina viene considerata in base a chi rappresenta: un dono del cielo se viene a liberarci da almeno un venticinquesimo dei pargoletti adorati o un personaggio inutile, per non dire di troppo, se ostacola la veloce e agognata distribuzione dell’amatissima merce umana in questione. Eppure, stavolta, la persona che mi si era avvicinata, pur non dovendo ritirare nessun nanetto, meritava tutta la mia riconoscenza. Sapevo chi era, ma lei ha creduto doveroso ricordarmelo, quasi impacciata per il disturbo che temeva di arrecare. “Maestra, mi scusi, so che non è il momento, sono la nonna di G. L’ho intravista mentre aspettavo l’altro nipotino e non ho potuto fare a meno di venirla a salutare. Posso augurarle buona estate dopo un anno così faticoso?” Tutto qua. Meno di cinque secondi. Era la nonna di un monello del ciclo precedente, uno di quelli che non ho mai smesso di sgridare cinque anni, per intenderci. Mentre ancora avevo per mano quattro scolari e con la coda dell’occhio guardavo gli altri ventuno allontanarsi per novanta lunghi giorni, ho resettato l’anno dell’emergenza Covid-19: nove difficilissimi mesi ai quali siamo arrivati in fondo sfiniti, con una mascherina che faremmo in mille pezzi, con mille regole che non comprendiamo nemmeno più, con il distanziamento che ci ha lasciato annichiliti e frastornati. Eppure, come un attimo dopo aver partorito prendi il tuo bebè in braccio e nulla ha più importanza, così, come per incanto, restano solo le emozioni positive, quelle che ti fanno pensare che ne è valsa la pena, quelle che, se ci ripensi, ti commuovono e ti riportano all’emozione del primo giorno a settembre, alla nostalgia della classe che hai lasciato dopo cinque anni, ma anche al naturale desiderio di nuove sanguisughe che non ti toglierai più di torno per svariati anni. L’ultimo giorno di scuola, equiparabile ad un parto, ha riposizionato il primo arricchendo tutte le settimane in mezzo di un sentimento molto, molto vicino alla Felicità: quella pura letizia data non dal soddisfare i propri desideri, ma dalla consapevolezza di avere un privilegio che non ha prezzo: portare avanti il lavoro più bello del mondo.
Grazie, nonna del ciclo scorso: con forma, sostanza e cuore non si sbaglia mai, a scuola come nella vita.

di Barbara Mondelli